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Conferenza nazionale per l’industria e il lavoro. Relazione di Antonio Misiani

Ringrazio il PD Piemonte, il PD Torino, il PSE e tutti coloro che hanno lavorato in tutta Italia per la buona riuscita del progetto di Impresa Domani.

La Conferenza nazionale per l’industria e il lavoro è la tappa conclusiva di un percorso che il PD ha avviato nel luglio 2023, con la presentazione del documento “Impresa Domani”[i], e sviluppato con un ciclo di iniziative a:

  • Legnago il 23 marzo, nell’ambito del Forum Europa
  • Milano il 5 aprile, per discutere il documento sulle politiche industriali presentato dalla Fondazione Demo
  • Genova il 5 e 6 aprile, per confrontarci sul ruolo della logistica per lo sviluppo dell’industria
  • Terni il 13 aprile, con un dibattito sul futuro dell’automotive e della siderurgia
  • Catania il 20 aprile, per approfondire le politiche per l’innovazione, le tecnologie e l’Intelligenza Artificiale
  • Roma il 9 maggio, per discutere del ruolo delle semplificazioni e del credito per la crescita delle piccole imprese.

Concludiamo questo percorso a Torino, nella città che incarna la storia dell’industria italiana e del movimento operaio. La città della FIAT, che ha saputo reinventarsi senza perdere la sua vocazione manifatturiera.

Stiamo vivendo una fase di profonda trasformazione: la crisi climatica, le guerre alle porte dell’Europa, la frammentazione geopolitica e geoeconomica, la rivoluzione tecnologica e l’Intelligenza Artificiale stanno cambiando l’economia mondiale, le catene globali del valore, i flussi commerciali e di investimento. Ne abbiamo parlato a lungo a Genova.

È un passaggio epocale e drammatico, che determinerà vincitori e perdenti. L’industria è al centro di questi processi e in tutto il mondo stanno tornando le politiche industriali[ii].

Nel maggio del 2015 la Cina ha lanciato il programma Made in China 2025. La Belt and Road Initiative (conosciuta anche come Nuova via della Seta) è, per molti versi, anche un’iniziativa di politica industriale.

Negli USA l’amministrazione Biden ha varato tre provvedimenti di grande portata: l’Inflation Reduction Act (IRA), il Chips and Science Act, l’Infrastructure Bill. Sono programmi che mettono in moto centinaia di miliardi di dollari di investimenti pubblici e privati.

In Europa hanno preso l’iniziativa i singoli paesi membri e poi, negli anni più recenti, l’Unione con una serie di programmi legati al Green Deal Industrial Plan[iii], dal Net Zero Industry Act al Critical Raw Materials Act fino a Step. Passi nella giusta direzione, ma di portata molto più ridotta rispetto ai progetti cinesi e americani.

Le politiche industriali di cui abbiamo bisogno devono imparare dagli errori del passato[iv] ed essere orientate al futuro, all’innovazione, ai settori e alle tecnologie il cui sviluppo è ostacolato dai fallimenti di mercato. Devono essere strettamente connesse alla doppia transizione ecologica e digitale e favorire la creazione di lavoro di qualità, stabile e qualificato. E devono andare oltre la contrapposizione Stato-mercato novecentesca per ricercare una nuova complementarità tra intervento pubblico e iniziativa privata.

Questa sfida si gioca innanzitutto a livello europeo.

Per molti anni l’Europa è stata un continente erbivoro tra i carnivori, grazie alla sicurezza garantita dagli USA nell’ambito della NATO, all’energia fossile comprata a basso costo dalla Russia e alla Cina come grande mercato di sbocco. Questa stagione è al capolinea.

Il bilancio degli ultimi cinque anni dell’Unione è fatto di luci e ombre.

La legislatura 2019-2024 ha segnato una fortissima accelerazione delle scelte per la transizione verde e digitale.

Da una parte il Green Deal e il pacchetto Fit for 55 con i suoi provvedimenti, dalla riforma del sistema ETS all’introduzione del CBAM, dai nuovi standard per le emissioni dei veicoli alle direttive sulla performance energetica degli edifici e l’energia rinnovabile.

Dall’altra, le iniziative di regolazione dell’economia digitale: il Digital Service Act (DSA), il Digital Markets Act (DMA), il Data Governance Act (DGA), il Data Act (DA) e, da ultimo, l’Artificial Intelligence Act (AIA).

La crisi pandemica ha portato l’Unione a varare nuovi strumenti comuni (SURE, Next Generation EU) di portata senza precedenti ma temporanei.

Il nuovo patto di stabilità si è invece rivelato un’occasione persa, perché la proposta iniziale di Paolo Gentiloni, in molti aspetti una svolta positiva rispetto al passato, è stata snaturata dall’accordo intergovernativo.

Da ultimo, la legislatura europea che si va chiudendo ha segnato l’avvio (timido) di una politica industriale comune.

In questi anni la destra italiana ed europea su molti di questi provvedimenti ha fatto muro. Ha provato a bloccarli o a rallentarne l’iter di approvazione.

Spinge per ammorbidire gli obiettivi e allungare i tempi del Green Deal, per archiviare la fase del debito comune, per restituire più spazio decisionale ai Paesi membri.

È una strada che non ci porta da nessuna parte!

Non abbiamo più tempo, per affrontare la crisi climatica: il 2023 è stato l’anno più caldo di sempre. Secondo il rapporto State of Global Climate 2023 della World Meteorological Organization (WMO) il 2023 è stato l’anno più caldo mai registrato nei 174 anni di osservazioni, con una temperatura media globale di superficie di 1,45° Celsius al di sopra del valore di riferimento pre-industriale[v]. L’impegno della Conferenza di Parigi del 2015 era mantenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto di 2°C in più rispetto ai livelli preindustriali e proseguire gli sforzi per limitarlo a 1,5°C.

Nel 2023 sono stati nuovamente superati, e in alcuni casi infranti, i record relativi ai livelli di gas serra, alle temperature superficiali, al surriscaldamento e all’acidificazione degli oceani, all’innalzamento del livello del mare, alla copertura del ghiaccio marino antartico e al ritiro dei ghiacciai. Ondate di calore, inondazioni, siccità, incendi e cicloni tropicali in rapida intensificazione hanno causato sofferenza e caos, sconvolgendo la vita quotidiana di milioni di persone e causando perdite economiche per molti miliardi di dollari.

La sfida va posta su un altro terreno.

Quello che dobbiamo chiedere all’Europa non è più tempo, ma più strumenti e più risorse per accompagnare le imprese nella doppia transizione, per potenziare la capacità industriale e l’autonomia strategica europea nei settori chiave per il futuro,

Più strumenti e risorse per cogliere le opportunità aperte da questi processi di trasformazione, perché il Green Deal non è una sciagura caduta dal cielo.

Non vuol dire meno industria, ma un’industria diversa.

Andare in ordine sparso, però, è inefficace, perché nessun Paese europeo può competere da solo con Cina e USA, e dannoso, perché porta dritti alla fine del mercato unico. L’Italia ha tutto da perdere, in questo scenario, perché non ha spazi di bilancio paragonabili a quelli della Germania o della Francia per sostenere la propria industria.

L’Europa non deve tornare indietro. Deve cambiare marcia. Non possiamo rimanere fermi al vecchio detto “l’America innova, la Cina copia, l’Europa regolamenta”. Cambiare marcia vuol dire non limitarsi a dettare regole e tempi, ma costruire una vera politica industriale comune:

  • Un Industrial Act che punti su missioni strategiche e alleanze industriali su progetti di interesse comune europeo (idrogeno, batterie, chip, cloud, materie prime strategiche), riformando e potenziando strumenti come gli IPCEI (i Progetti importanti di interesse comune europeo)
  • La revisione del regime sugli aiuti di Stato per favorire gli investimenti e l’emersione di campioni europei nei settori strategici, anche connettendo le grandi società nazionali a partecipazione pubblica.

Il Green Deal europeo deve avere un cuore rosso, la transizione verde deve essere una transizione giusta:

  • SURE deve diventare uno strumento permanente per accompagnare e proteggere lavoratrici, lavoratori e imprese nelle transizioni
  • La direttiva sui salari minimi in Italia va attuata approvando una legge. Stiamo raccogliendo le firme sulla proposta condivisa dalle opposizioni, è tempo di passare dalle parole ai fatti.

L’Europa ha bisogno di una politica energetica comune, supportando e accompagnando con particolare attenzione i settori più direttamente investiti, da quelli hard to abate fino all’automotive. Di questi punti abbiamo discusso a Terni.

È strategico, come sottolinea il rapporto Letta[vi], completare e modernizzare il mercato unico, allargandolo a finanza, energia, comunicazioni elettroniche e affiancando alle quattro libertà una quinta: indagare, esplorare e creare senza confini disciplinari o limitazioni artificiali

Per raggiungere questi obiettivi sono necessari enormi investimenti aggiuntivi pubblici e privati. Mario Draghi ha parlato di 500 miliardi annui in più[vii]. Per finanziarli, serve un grande volume di risorse pubbliche e private, attraverso:

  • Una governance economica che apra più spazi alle politiche nazionali di investimento, preveda strumenti comuni permanenti e un bilancio UE più ambizioso.
  • la “Unione di risparmio e investimenti” di cui parla Enrico Letta, per indirizzare verso l’economia reale europea e la transizione equa, verde e digitale una quota maggiore dei 33 mila miliardi di euro di risparmi privati europei.

In questo contesto, l’Italia rimane la seconda potenza manifatturiera d’Europa, dopo la Germania. Nel 2023 la nostra industria manifatturiera ha generato un valore aggiunto di 328 miliardi, il 17,5 per cento del totale, e ha dato lavoro a 4 milioni di persone, il 15,3 per cento del totale.

Sono numeri ridimensionati, rispetto a quelli del 2007, prima della grande crisi finanziaria. Ma sono superiori alla media europea.

La vocazione manifatturiera dell’Italia è un patrimonio da difendere e sostenere.

Non ci sarà nessuna nuova stagione di sviluppo se l’Italia si arrenderà alla deindustrializzazione.

Negli anni 90 abbiamo privatizzato gran parte delle aziende pubbliche e abbandonato le politiche industriali.

È merito del centrosinistra averle riproposte, prima con Industria 2015 di Bersani[viii] e poi con Industria 4.0 di Epifani e Calenda[ix].

Oggi siamo in una fase diversa.

I salari fermi da trent’anni, la diffusione del lavoro povero e dequalificato, la stagnazione della produttività sono sintomi di un malessere profondo dell’economia.

Emergono i limiti del nostro modello di capitalismo, basato su milioni di microimprese che in molti casi arrancano, schiacciate dalla burocrazia e dalle difficoltà di accesso al credito (i temi che abbiamo affrontato nell’iniziativa di Roma); su quattro-cinque mila medie aziende competitive; su poche, pochissime grandi imprese, in gran parte a partecipazione pubblica.

Vengono al pettine i nodi di una forza lavoro e imprenditoriale sempre più anziana e poco istruita; di un mercato dei capitali asfittico; di un capitalismo familiare troppo chiuso in sé stesso.

Su questo terreno il governo Meloni sta conducendo una battaglia di retroguardia.

Da una parte, difende il vecchio modello economico e il blocco sociale che vuole conservarlo: no al salario minimo, una riforma fiscale che premia la rendita e colpisce le imprese più strutturate, no a qualunque riforma che aumenti la concorrenza nei mercati protetti, difesa delle rendite corporative, nessun intervento per la crescita dimensionale delle imprese.

Dall’altra, sono sempre più gravi i ritardi su una serie di partite molto importanti. Dal PNRR, che dobbiamo completare entro la metà del 2026, al fondo automotive che è rimasto in mezzo al guado, fino al mancato avvio di Transizione 5.0, a nove mesi dall’annuncio. Penso anche ai rallentamenti, alle incertezze e alle operazioni criticabili sul fronte del digitale e delle telecomunicazioni, a partire dalla cessione della rete TIM al fondo infrastrutturale americano KKR.

Non possiamo permetterci di perdere ulteriore tempo. L’Italia è intrappolata in un modello di sottosviluppo, per uscirne abbiamo bisogno di un nuovo Patto sociale tra lo Stato, il mondo del lavoro e le imprese che metta al centro una nuova politica per l’industria e il lavoro.

Proponiamo di lavorare su quattro versanti.

Il primo è la governance delle politiche industriali: la creazione di un Ministero per lo Sviluppo sostenibile e di un Forum permanente per le politiche industriali, la trasformazione di Invitalia in un soggetto attuatore delle politiche industriali, la creazione di una Agenzia che coordini le partecipazioni pubbliche. Sono le proposte avanzate dal documento della Fondazione Demo[x], che condividiamo e facciamo nostre. Sul fronte dell’economia digitale, la creazione di un Ministero dell’Innovazione e dello Sviluppo tecnologico, la previsione di una Legge annuale per il Digitale, il potenziamento e il coordinamento del network dell’innovazione. I temi che abbiamo posto con il Digital Innovation Act, il disegno di legge presentato dal PD in Senato su cui a Catania ci siamo confrontati con gli stakeholders del settore[xi].

Il secondo sono gli incentivi pubblici, che vanno riorganizzati secondo criteri di selettività, condizionalità ambientali e sociali, con un orizzonte temporale almeno decennale e grande attenzione alla riduzione dei divari territoriali, a partire da quello tra centro-nord e Mezzogiorno.

Nel documento base di Impresa Domani abbiamo delineato le nostre proposte chiave:

  • Per le PMI, il voucher per la trasformazione digitale e il credito d’imposta per l’autonomia energetica
  • Un credito d’imposta unificato per gli investimenti in beni tecnologicamente avanzati, esteso ai beni legati alla transizione ecologica
  • Il Fondo Italia 2035 con una dotazione di almeno 5 miliardi annui, per la conversione ecologica del manifatturiero, a partire dai settori Hard to Abate e dell’automotive
  • Il potenziamento e la proroga del Fondo Microchip
  • Un grande piano per la formazione delle competenze per la transizione digitale ed ecologica

Terzo punto, il ruolo dello Stato nell’economia.

Il programma di privatizzazioni del governo Meloni è una scelta senza senso, totalmente slegata da qualunque visione industriale. Serve solo per fare cassa e va contrastato con forza.

Bisogna andare in una direzione totalmente diversa, definendo una serie di missioni strategiche, razionalizzando il sistema delle partecipate e istituendo una Agenzia per coordinarle.

Quarto e ultimo versante, le risorse da mettere in campo.

Quelle pubbliche, innanzitutto, indirizzando verso le nuove politiche industriali le risorse liberate dalla riduzione dai Sussidi ambientalmente dannosi e dalla riorganizzazione degli incentivi per le imprese.

Quelle private, mobilitando verso l’economia reale una parte dei 1200 miliardi fermi sui conti correnti delle famiglie e una quota maggiore dei 300 miliardi gestiti da Fondi pensione, fondazioni di origine bancaria, casse privatizzate dei liberi professionisti. Sono state avanzate proposte interessanti, bisogna discuterle e provare a concretizzarle.

Queste è la nostra piattaforma, queste sono le nostre idee.

Le mettiamo a disposizione dell’Italia, con lo spirito costruttivo di una grande forza politica che in questa fase è collocata all’opposizione ma sente la responsabilità di lavorare per un nuovo Patto sociale che metta al centro l’industria e il lavoro.

 

[i] Partito Democratico, Impresa Domani - Una proposta aperta per una strategia di politiche industriali per l’Italia, luglio 2023

[ii]Aiginger e Rodrik, Rebirth of Industrial Policy and an Agenda for the Twenty-First Century, gennaio 2020;

ISPI, The comeback of industrial policy, dicembre 2023

[iii] Commissione UE, Un piano industriale del Green Deal per l'era a zero emissioni nette, febbraio 2023

[iv] Commissione UE, Industrial Policy for the 21st Century: Lessons from the Past, gennaio 2022

[v] WMO, State of global climate 2023

[vi] Enrico Letta, Much more than a market, aprile 2024

[vii] Mario Draghi, Propongo un cambiamento radicale, intervento alla High-level Conference on the European Pillar of Social Rights (Bruxelles, 16 aprile 2024)

[viii] Ministero dello Sviluppo Economico, Industria 2015, Sintesi del ddl, 2007

[ix] Ministero dello Sviluppo Economico, Piano nazionale Industria 4.0, 2016

[x] Fondazione Demo, Governance e strumenti per il rilancio delle politiche industriali in Europa e in Italia, aprile 2024

[xi] S. 964, Misure per la governance, la sostenibilità e lo sviluppo dell’innovazione digitale e tecnologica, 12 dicembre 2023

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