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Rider: vinta una battaglia per i lavoratori, per un’Europa più giusta

“Dopo forti resistenze, ieri in si è raggiunto l’accordo sulla direttiva che riconosce diritti a 30 milioni di lavoratori delle piattaforme e pone garanzie democratiche sugli algoritmi. Una battaglia vinta dal Partito dei socialisti europei, un passo decisivo con il salario minimo per l’Europa sociale”, scrive su X Peppe Provenzano, responsabile Esteri della segreteria nazionale del Pd. “Grazie alla tenacia di Nicolas Schmit, nostro candidato alla guida della Commissione, alla competenza della nostra relatrice Elisabetta Gualmini, alla lungimiranza di chi, come Andrea Orlando dal governo, aveva schierato l’Italia dalla parte di un’Europa più giusta”, conclude.

Non era affatto scontato, soprattutto dopo il voto contrario di poche settimane fa, e invece è finalmente arrivato l’ok del Consiglio Ue alla direttiva sui lavoratori delle piattaforme, la Platform work directive.  Le nuove regole riguardano 28 milioni di lavoratori in base ai dati del 2022, e secondo le stime Ue raggiungeranno i 43 milioni entro il 2025. Il fine della direttiva è riconoscere diritti e migliorare le condizioni lavorative dei lavoratori della gig economy, ed è la prima al mondo ad adottare norme specifiche in materia.

Per Elisabetta Gualmini, una delle relatrici del testo, si tratta di “un accordo storico,che renderà l’Ue prima al mondo» nella tutela di questi lavoratori”. “Sono grata – ha dichiarato Gualmini – ai governi che hanno deciso di votare questo accordo che introduce per la prima volta al mondo una regolazione dell’algoritmo nel mercato del lavoro. Io e Nicolas Schmit siamo entusiasti dopo un lavoro importantissimo durato tre anni, perché con questo provvedimento tocchiamo la carne viva delle persone”.

“La direttiva” riferisce Avvenire, “mira ad aiutare a determinare il corretto status occupazionale delle persone che lavorano per le piattaforme digitali”. Si tratta di rider, i fattorini che consegnano cibo a domicilio, ma anche impiegati in lavori di traduzione, immissione dati, babysitting, assistenza agli anziani.

“Attualmente sono considerati formalmente autonomi ma in molti casi devono rispettare le stesse regole e restrizioni di un lavoratore dipendente, con un rapporto di lavoro che secondo i co-legislatori dovrebbe godere dei diritti del lavoro e della protezione sociale concessi ai dipendenti”, spiega ancora Avvenire. Si tratta di far emergere i falsi autonomi, che in realtà sono sottoposti a in trattamento che nulla ha di autonomo, ma non godono dei diritti garantiti ai dipendenti.

Si rovescia dunque lo schema secondo cui i lavoratori vengono contrattualizzati come autonomi, presumendo invece che siano dipendenti, con l’onere di dimostrare il contrario a carico delle società datoriali. Un punto su cui c’è stata una battaglia molto accesa e molto lunga, su cui è stato trovato un accordo che cancella i criteri precedentemente in discussione per stabilire il rapporto di dipendenza, derogando agli Stati membri il compito di fissarne le modalità.

Parimenti viene introdotta una maggior tutela sull’utilizzo degli algoritimi di monitoraggio e valutazione dei lavoratori interessati, che passa innanzitutto attraverso una corretta, e più trasparente, informazione. Il testo “assicura che i lavoratori siano debitamente informati dell’uso di monitoraggio e di sistemi decisionali automatizzati sul loro reclutamento, le condizioni di lavoro, i guadagni”, vietando al contempo “l’elaborazione di alcuni dati personali“, anzitutto dati biometrici o sullo stato emotivo o psicologico dei lavoratori.

“La direttiva sui rider è oggettivamente un passo in avanti dopo anni di assoluta deregulation in Ue”. Commenta Arturo Scotto, capogruppo del Pd in commissione Lavoro alla Camera. “Un segnale a milioni di lavoratori e di lavoratrici: la precarietà e il sotto-salario non sono un destino. Appena Bruxelles avrà varato definitivamente la direttiva sui rider chiederemo al Parlamento italiano di recepirla immediatamente. Auspichiamo che questa norma di civiltà non faccia la stessa fine del salario minimo”, conclude

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