È l’ennesima strage. Le decine di vittime, forse centinaia, tra loro molti bambini, oggetto dell’ennesima macabra conta nelle acque greche, sono il prodotto di scelte, sconsiderate. Sono vittime, lo voglio ripetere, di una strage.
E sono (ovviamente) il racconto perfetto e più tragico del contesto politico e culturale che si è determinato in questi anni. Quella al largo della Grecia che commentiamo oggi è allora un’altra pagina terribile dell’atteggiamento disumanizzante che ha reso “loro”, i migranti, una cosa sola: numeri.
“Loro”: l’oggetto di una rimozione collettiva sconcertante rispetto a cui è fin troppo facile ricordare, in queste giornate, come si dia un peso diverso alla vita dei disperati e a quella dei potenti.
“Loro” che possono essere trattati come un ostacolo da rimuovere o un danno da ridurre perfino dalle istituzioni europee (e nel gioco che determina le scelte pure da governi retti spesso da componenti progressiste).
Il senso dell’urgenza che questa strage – lo ripeto: strage – ci consegna è quindi quello di rovesciare le politiche che hanno prodotto il clima torbido nella quale si è realizzata.
Il ritardo e l’immobilismo, o il complice cinismo di governi come quello di Giorgia Meloni, hanno prodotto danni davvero incalcolabili. Il tempo è stato già perso. Ora si deve organizzare in azione politica coerente quel poco di coscienza che ha saputo resistere, e nonostante tutto, è rimasta.