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Manovra, Misiani: «Errori su evasori e Pnrr. La nuova austerity è colpa di Meloni»

La manovra economica dela il governo? Una manovra rinunciataria e inadeguata, che arriva dopo mesi di sottovalutazione del rallentamento dell’economia e delle conseguenze dell’inflazione e dell’aumento dei tassi di interesse. Per troppo tempo ci hanno raccontato che le cose andavano bene, finché il ministro Giorgetti, tardi, ha dato la sveglia a tutti, riportando Meloni e i ministri di fronte alla realtà. Una serie di scelte andavano impostate prima, altre andavano evitate.
 
Andava impostata con anticipo un’azione seria di contrasto all’evasione fiscale. Invece il governo è andato in direzione opposta, al punto che ha dovuto eliminare dal Pnrr l’obiettivo di riduzione del tax gap. E fa sorridere che lunedì Meloni, come una maestrina, abbia invitato i ministri a riorganizzare i capitoli di spesa: non è un lavoro che si fa a ridosso della legge di bilancio. Il risultato è che oggi vanno a caccia di coperture per due terzi della manovra che ipotizzano. Una situazione che può portare a scelte improvvisate e dannose. Sento aleggiare l’idea di deindicizzare le pensioni: indebolirne ulteriormente il potere d’acquisto, facendo cassa sui pensionati, sarebbe iniquo dal punto di vista sociale ma anche controproducente sotto il profilo economico, perché deprimerebbe ancor di più i consumi.
 
La congiuntura difficile non è colpa della destra. Ma alcune scelte del governo hanno peggiorato le cose: i ritardi nell’attuazione del Pnrr, il mancato rilancio del programma Transizione 4.0 per le imprese, il taglio delle risorse per combattere la povertà. E il brusco stop alla cessione dei crediti fiscali legati agli ecobonus.
 
Per il governo il superbonus ha scassato i conti. Sono in difficoltà, cercano capri espiatori: ieri la BCE, oggi il superbonus, domani sarà il destino cinico e baro.
 
Dalla lotta all’evasione fiscale potrebbero venire molte risorse. Ridurla non è una mission impossible. I governi di centrosinistra hanno recuperato miliardi, con interventi come la fatturazione elettronica. Questo governo ha fatto l’opposto, a colpi di condoni, e di una riforma fiscale che indebolisce il contrasto all’evasione. Poi l’efficientamento della macchina pubblica: su 850 miliardi di spesa primaria corrente, ci sono parecchi spazi di razionalizzazione. Ma se non si fa un lavoro attento e programmato per tempo, il rischio è che alla fine si vada con l’accetta sulla sanità e le pensioni.
 
Il salario minimo non costa un euro allo Stato. Sono i datori che devono retribuire dignitosamente i lavoratori sottopagati. La nostra proposta ricalca la strada seguita da 22 paesi su 27 della Ue, abbiamo superato le 400mila firme in pochissimo tempo. Il governo dovrebbe scegliere il pragmatismo, superando i pregiudizi ideologici.
 
Per fare cassa il vicepremier Tajani vuole privatizzare i porti. Ma per carità: la gestione dei servizi portuali è già affidata ai privati. Un forte regolatore pubblico è indispensabile: non lasceremo trasformare l’Italia nella Grecia che ha venduto il Pireo ai cinesi.

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