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Laureti: “Produrre cibo deve tornare sostenibile, questa è la risposta agli agricoltori”

Dilaga la protesta degli agricoltori in diverse parti d’Europa, dalla Germania alla Francia, a casa nostra. Eppure l’UE e gli stati nazionali sostengono da decenni e non poco questa categoria.

Cosa chiedono, e perché, lo chiediamo a Camilla Laureti, europarlamentare e responsabile politiche agricole nella segreteria nazionale del Pd.

Germania, Francia, Spagna, Italia, Polonia, Romania, Repubblica Ceca, Paesi Bassi e altri ancori: una protesta che si espande ma che assume anche contorni diversi, sul piano politico, da paese a paese, ovviamente. I motivi sono molteplici: in Germania protestano contro la fine degli aiuti per il gasolio agricolo, in Francia contro l’aumento dei costi dell’acqua, mentre gli agricoltori dei paesi dell’Est contro la concorrenza dei prodotti provenienti dall’Ucraina, soprattutto i cereali, il grano, che importati a dazio zero impattano negativamente sulla produzione agricola interna. Una situazione non facile, quella dell’agricoltura europea, di cui siamo consapevoli e che merita risposte. In Italia gli agricoltori sono colpiti dal calo della produzione per gli eventi climatici, dal crollo del reddito, dai costi spropositati delle materie prime e dell’energia, dall’aumento del costo del denaro per fare investimenti indispensabili, dalla concorrenza sleale di prodotti esteri che hanno standard inferiori ai nostri per qualità e sostenibilità.

L’Unione europea da decenni sostiene i comparti agricoli dei paesi membri, se dal 1990 al 2010 sono progressivamente diminuiti, da allora sono rimasti stabili. Cosa è cambiato, perché l’Unione europea non viene più considerata un alleato?
Un terzo del bilancio comunitario è dedicato alla Pac, la politica agricola comune. Questo lo dico per evidenziare quanto l’Ue sia consapevole del valore strategico di questo settore e di quello dell’agroalimentare, di cui l’Europa e l’Italia sono protagonisti mondiali. Quello che è cambiato è il clima, nel senso che il cambiamento climatico ci impone di attuare il Green Deal, salvare il Pianeta per salvare noi stessi. Ogni settore produttivo deve fare la sua parte, agricoltura compresa. Non sfugge però a nessuno che l’agricoltura vive una condizione particolarmente complessa: paga il clima ma al tempo stesso può essere fra le maggiori alleate nel contrasto al climate change attuando la transizione ecologica. Ecco allora che servono misure di sostegno da parte dei governi e dell’Unione.

La contrapposizione fra agricoltori e ambientalisti è un paradosso a cui stiamo assistendo e che non può essere eluso. Perché sembra tanto difficile stabilire un’alleanza?
È un tema antico, certo. La protesta in corso viene principalmente letta come risposta al Green Deal ma il tema vero, la ragione profonda di un malessere così radicato è dovuta al fatto che la produzione agricola e agroalimentare, il produrre cibo, è diventato sul piano economico quasi insostenibile. Quindi il nodo da sciogliere è quello del reddito degli agricoltori, schiacciati dalla grande distribuzione: a questo va data risposta. Per altro intervenire sul reddito di chi produce cibo, significa anche dare risposta all’inflazione che si abbatte sui consumatori. L’obiettivo deve essere garantire a tutti cibo sano, nutriente e sostenibile, sul piano ambientale e della coesione sociale. Dobbiamo insistere sul fatto che la transizione verde abbia un cuore rosso, cioè non si scarichi su lavoratori e forze produttive, ma li sostenga in questa trasformazione, come tutte le trasformazioni non semplice. Se penso all’agricoltura, oltre a quello che ho detto, mi preme ricordare l’urgenza di garantire un cambio generazione e di genere: donne e giovani, quando guidano le aziende agricole, sono protagonisti dell’innovazione tecnologico-scientifica che realizza la sostenibilità; sono aperti a produzioni sostenibili, penso al biologico; sono promotori dell’agricoltura in una forma estesa, come l’attività degli agriturismi o delle fattorie didattiche. Se non realizziamo la transizione, tra qualche anno non parleremo proprio più di agricoltura…

Come valuti la politica del ministro Lollobrigida?
Dalla legge di Bilancio al Dl Milleproroghe non si vede una visione sul futuro del settore in particolare sull’emergenze che segnalavo prima, il costo del cibo e il reddito degli agricoltori nella filiera. Vedo però molta propaganda, accresciuta dall’avvicinarsi delle elezioni europee. Una serie di leggi bandierina e misure spot – come è tipico di questo Governo- che non hanno efficacia, anzi in alcuni casi sono perfino dannose. Il riconoscimento di “Maestro dell’Arte e della Cucina Italiana” che ha impegnato il Parlamento – sottolineo questo aspetto- oppure il divieto alla carne coltivata, per cui la Commissione non ha ancora ricevuto alcuna domanda di autorizzazione. Quindi vietano qualcosa che “non esiste”, su cui l’Ue garantirà, un domani, il massimo del controllo avendo nell’Efsa un prezioso ente di vigilanza per la sicurezza alimentare che garantisce standard elevati. Anche sul tema dell’agricoltura, è evidente che l’approccio della destra sovranista si basa sulla negazione di fatto del cambiamento climatico. Inconcepibile per qualsiasi persona di buon senso e per una politica responsabile.

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