DDL nomi femminili, Mori (Pd): Lega costretta al ritiro ma restano i tentativi misogini e antistorici
“‘Rigurgiti misogini’ si può titolare il disegno di legge leghista che, depositato nei giorni scorsi in Senato, voleva vietare e sanzionare la declinazione al femminile delle cariche pubbliche, professionali e istituzionali. Registriamo che la proposta, ora e solo ora dopo giorni di reazioni, sembra bollata come atto personale del senatore Potenti e forse ritirata. L’iniziativa non va comunque sottovalutata in quanto misogina, illiberale, antistorica, oppressiva, finalizzata a neutralizzare la soggettivitĂ peculiare delle donne e riportare l’ambito del potere ad un indistinto rigorosamente tutto maschile. Da innumerevoli dichiarazioni giĂ sentite si evince che per tanti esponenti della destra termini come Sindaca, Assessora, Deputata, Avvocata o Magistrata sarebbero impropri ed eccessivi, mentre non lo sono declinati al maschile anche quando a svolgere il ruolo di potere è una donna. Ricordiamo che la questione non è certo nuova tanto che risalgono al 1986 le “Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana” di Alma Sabatini assunte dalla presidenza del Consiglio e che l’Accademia della Crusca ha ammesso da tempo, anzi ha invitato a ricorrere all’uso della declinazione femminile dei nomi che indicano professioni o cariche istituzionali seguendo le semplici regole grammaticali. Per quanto ridicoli e magari anche destinati a finire in una bolla di sapone, questi sono tentativi di ritorno al passato che da formali si fanno sostanziali, dal momento che le parole pesano, rispecchiano chi siamo e vogliamo essere, condizionano le relazioni di convivenza. Evidente è la volontĂ di estromettere dallo spazio pubblico e politico, dalla dimensione del potere, il vissuto e il punto di vista femminile in quanto differente. Evidente è il fatto che la soggettivitĂ delle donne fa paura ad una parte politica che non riesce ad emanciparsi da un ordine sociale fondato sull’impronta maschile e patriarcale”.
Così in una nota Roberta Mori, portavoce nazionale della Conferenza delle donne democratiche.
Roma, 22 luglio 202
“‘Rigurgiti misogini’ si può titolare il disegno di legge leghista che, depositato nei giorni scorsi in Senato, voleva vietare e sanzionare la declinazione al femminile delle cariche pubbliche, professionali e istituzionali. Registriamo che la proposta, ora e solo ora dopo giorni di reazioni, sembra bollata come atto personale del senatore Potenti e forse ritirata. L’iniziativa non va comunque sottovalutata in quanto misogina, illiberale, antistorica, oppressiva, finalizzata a neutralizzare la soggettivitĂ peculiare delle donne e riportare l’ambito del potere ad un indistinto rigorosamente tutto maschile. Da innumerevoli dichiarazioni giĂ sentite si evince che per tanti esponenti della destra termini come Sindaca, Assessora, Deputata, Avvocata o Magistrata sarebbero impropri ed eccessivi, mentre non lo sono declinati al maschile anche quando a svolgere il ruolo di potere è una donna. Ricordiamo che la questione non è certo nuova tanto che risalgono al 1986 le “Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana” di Alma Sabatini assunte dalla presidenza del Consiglio e che l’Accademia della Crusca ha ammesso da tempo, anzi ha invitato a ricorrere all’uso della declinazione femminile dei nomi che indicano professioni o cariche istituzionali seguendo le semplici regole grammaticali. Per quanto ridicoli e magari anche destinati a finire in una bolla di sapone, questi sono tentativi di ritorno al passato che da formali si fanno sostanziali, dal momento che le parole pesano, rispecchiano chi siamo e vogliamo essere, condizionano le relazioni di convivenza. Evidente è la volontĂ di estromettere dallo spazio pubblico e politico, dalla dimensione del potere, il vissuto e il punto di vista femminile in quanto differente. Evidente è il fatto che la soggettivitĂ delle donne fa paura ad una parte politica che non riesce ad emanciparsi da un ordine sociale fondato sull’impronta maschile e patriarcale”.
Così in una nota Roberta Mori, portavoce nazionale della Conferenza delle donne democratiche.
Roma, 22 luglio 202