“Siamo andati nella sezione nido del carcere di Rebibbia femminile per incontrare di persona ‘Giacomo’, innocente assoluto di due anni e sua madre. Un’esperienza drammatica, com’è sempre la visita al nido di un carcere. Al momento in quello di Rebibbia ci sono tre bambini, che abbiamo incontrato e di cui dalle madri abbiamo ascoltato le storie, molto diverse fra di loro. Ma simile è la sofferenza. È inaccettabile che ci siano bambine e bambini nelle nostre carceri. Sulla situazione particolare di Rebibbia verificheremo con i garanti territoriali quali possono essere le soluzioni da perseguire. Da questa settimana come senatori saremo impegnati nella discussione del decreto carceri, che inizia il suo iter a Palazzo Madama. Un decreto vuoto, che non affronta l’emergenza carceri e il sovraffollamento. I nostri emendamenti intervengono per umanizzare davvero le carceri, per riempire quel vuoto e anche per liberare finalmente i bambini dal carcere. Continueremo la nostra battaglia per abolire questa situazione crudele, aumentare le case famiglia e gli istituti a custodia attenuata. Ci auguriamo che le forze di maggioranza accolgano queste nostre proposte, che sono proposte di civiltà”. Così la senatrice Cecilia D’Elia e il senatore Walter Verini, i parlamentari del Pd che, insieme a Gianni Cuperlo, hanno visitato il piccolo e la madre nel carcere di Rebibbia.
Il caso del bambino recluso con sua madre nel carcere romano era stata portata alla luce da un articolo di Repubblica, ma l’attenzione del Partito democratico su questo tema non nasce oggi. Già nella passata legislatura, era stata presentata una proposta di legge, a prima firma Paolo Siani, a tutela dei bambini costretti a vivere tra le sbarre insieme alle madri detenute, prevedendo destinazioni presso le case famiglia o gli istituti a custodia attenuata. Il testo, però, approvato a Montecitorio, non era approdato al Senato a causa della fine anticipata della legislatura. Di nuovo presentata all’inizio della corrente legislatura, era stato poi ritirato a seguito delle modifiche apportate in Commissione Giustizia dalla maggioranza di governo, che snaturavano del tutto la proposta originaria.