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Minniti: “Abbiamo aperto il primo corridoio umanitario dalla Libia”

«Sei mesi fa, quando l’Italia ha visto approdare in un solo giorno 26 navi cariche di migranti, nessuno ci avrebbe creduto. Invece, dopo aver contenuto i flussi, abbiamo messo in piedi il primo corridoio umanitario della storia, dalla Libia a un Paese europeo».

Il ministro dell’Interno, Marco Minniti, esce dal Senato dopo il via libera alla legge di bilancio, con negli occhi ancora le immagini dei rifugiati atterrati venerdì sera a Pratica di Mare: «Nel 2018 fino a 10mila profughi potranno raggiungere senza rischi l’Europa attraverso corridoi umanitari, mentre stando agli obiettivi dell’OIM 30mila saranno i migranti senza diritto all’asilo che potranno tornare a casa con rimpatri volontari. Quest’anno già lo hanno fatto in 18mila. Con la cooperazione delle autorità libiche, abbiamo costruito un nuovo modello di gestione dall’altra parte del Mediterraneo».

Intanto però in Senato affonda definitivamente la legge sulla cittadinanza.
«Purtroppo siamo arrivati troppo tardi a porla come centrale in questa legislatura. Ma è una riforma necessaria, che deve restare all’ordine del giorno del Paese. Lo ius soli infatti non è una legge sull’immigrazione, ma sull’integrazione, tassello cruciale delle politiche migratorie, di cui fanno parte anche controllo dei flussi e corridoi umanitari».

Come funzioneranno i corridoi?
«Grazie anche agli accordi tra Roma e Tripoli, il personale Unhcr ha potuto selezionare in Libia chi ha diritto alla protezione internazionale. Chi arriva in Italia, insomma, è rifugiato e non più richiedente asilo. Le organizzazioni internazionali inoltre sono già messe in condizione di visitare i centri d’accoglienza e migliorarne le condizioni di vita, oggi ancora inaccettabili».

Non si poteva fare questo prima di chiudere la rotta mediterranea e intrappolare migliaia di migranti in Libia?
«Con i corridoi si è raggiunto il completamento di un disegno complessivo del fenomeno. Solo dopo esserci mostrati credibili nel contrasto all’illegalità dei flussi, abbiamo potuto costruire percorsi legali per i migranti presenti in Libia. Per questo, prima si è agito sul controllo del confine marittimo, attraverso il potenziamento della Guardia costiera libica. Poi di quello terrestre a sud della Libia, che ha impedito al Paese di trasformarsi in un collo di bottiglia. E in questa direzione va letto l’invio di un contingente militare italiano in Niger. E ancora: col premier al-Serraj abbiamo messo in piedi un’operation room italo-libica contro il traffico di esseri umani, basata sulla collaborazione tra Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo e procura di Tripoli. A gennaio prevediamo infine il completamento di un intenso programma di aiuti umanitari già avviato verso le città libiche crocevia dei trafficanti. Bisogna capire che se l’immigrazione è un fenomeno strutturale, non può essere più risolta con politiche emergenziali».

Com’è la situazione sul fronte accoglienza?
«Siamo fuori dall’emergenza di qualche mese fa. Registriamo un significativo calo degli sbarchi e un’impennata dei ricollocamenti: quest’anno abbiamo trasferito in altri Paesi Ue oltre 11mila migranti, lo scorso anno eravamo fermi a quota 2.500».

A febbraio lei ha firmato un Patto con le principali associazioni islamiche. Qual è il prossimo passo?
«Se l’unificazione dei musulmani andrà avanti, potremmo passare presto dal Patto all’Intesa, che formalizzerà la costituzione di un islam italiano. Una piccola rivoluzione copernicana».

Recentemente lei ha rilanciato l’allarme foreign fighters di ritorno. L’Italia è pronta alla sfida della minaccia terroristica?
«Quest’anno abbiamo già espulso 103 persone, utilizzando uno straordinario strumento di prevenzione: il rimpatrio per motivi di sicurezza nazionale. Basta infatti l’abbozzo di un disegno terroristico per intervenire, senza che ci sia una progettualità effettiva. Abbiamo poi preso misure eccezionali di controllo del territorio, anche sotto questo Natale. Per il resto, in una fase di prevedibilità zero degli attacchi terroristici, come ha dimostrato l’attentato al mercatino di Berlino, mantengo un atteggiamento scaramantico e prudente. Ma intanto ricordo ancora con gioia lo scorso Capodanno, quando a Roma, via dei Fori imperiali blindata per motivi di sicurezza fu invasa da gente festosa. E anche quando durante il 60° anniversario dei Trattati di Roma non impedimmo a nessuno di manifestare. Ecco, per me sicurezza e libertà vanno sempre tenuti assieme».

A proposito di sicurezza, un liceale 17enne è stato accoltellato pochi giorni fa a Napoli.
«Di Napoli me ne occupo dall’inizio del mio mandato. Già è in corso da parte delle forze dell’ordine un’operazione di saturazione del territorio, portata avanti anche con la videosorveglianza, come nel rione Sanità. Lo Stato è presente e non mollerà mai, come a Ostia, dove dobbiamo liberare il litorale dalle organizzazioni criminali. Ricordo che quest’anno abbiamo sciolto 21 consigli comunali per mafia, contro gli 8 dello scorso anno: uno scioglimento non è certo una festa per la democrazia, ma uno strumento utile a colpire le infiltrazioni mafiose nelle istituzioni. Ma tutto questo da solo non basta».

Di cos’è fatta allora la sicurezza?
«La sicurezza è fatta anche di lavoro sulle periferie, inclusione sociale, educazione. È un problema di modelli di vita, di costruzione delle coscienze, per questo è stata bella la manifestazione di Napoli in risposta all’aggressione del liceale. La verità me l’ha detta Massimo, un ragazzo che ha costruito un centro sociale al Corviale, a Roma: la maggioranza delle persone è perbene e una politica riformista deve impedire che una minoranza criminale vinca su questa maggioranza».

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