Trentasei anni fa, l’11 giugno del 1984, ci lasciava Enrico Berlinguer. Quattro giorni dopo aver portato a termine con uno sforzo sovrumano, già colpito dal male, quell’ultimo comizio a Padova, in una Piazza della Frutta gremita, di sera, di persone venute ad ascoltarlo.
Sono però restate con noi, anche a distanza di tanto tempo, alcune delle sue idee. Resta con noi il ricordo della sua figura, del suo modo di vivere l’impegno pubblico
Il motivo, semplice e grande insieme, è quello che fece scrivere ad un importante quotidiano, quel giorno, che “Berlinguer predicava rigore, moralità, equilibrio, pazienza, fatica, tenacia. Tutte cose così fuori moda”. Temo che un’affermazione di questo genere potrebbe essere valida anche oggi. Anzi, soprattutto oggi.
Berlinguer aveva, agli occhi degli italiani, una dote rara e perciò preziosa: quella di far sentire che credeva realmente in ciò che diceva
Berlinguer aveva, agli occhi degli italiani, una dote rara e perciò preziosa: quella di far sentire che credeva realmente in ciò che diceva. L’integrità e l’intransigenza ideale erano per lui i presupposti, la legittimazione, di qualsiasi politica. Egli muoveva dalla convinzione che senza poggiare sul terreno dei valori la politica si risolve in un puro rapporto di forza, rischiando di ridursi a pratica quotidiana o peggio ancora a un’attività volta a perseguire solo il tornaconto individuale o di gruppo.
Lo “strappo” con l’Unione Sovietica, il discorso al Cremlino per affermare il valore universale della democrazia: è chiaro che oggi alcune delle innovazioni che da segretario del Pci Berlinguer affermò nella sinistra italiana possono apparire delle ovvietà. Ma ciascun uomo è figlio del suo tempo, e nel suo tempo dimostra la misura del proprio coraggio, la quantità dei suoi dubbi, l’energia della sua capacità di cambiamento.
Quella, ad esempio, con cui insieme ad Aldo Moro stava avviando una stagione che avrebbe dovuto aprire una fase diversa della vita politica italiana. O ancora quella, allargando lo sguardo, che animò l’intuizione della “austerità”, il suo ragionare sulla sostenibilità dello sviluppo e sull’uso equilibrato delle risorse, su come rendere armonici lo sviluppo economico e l’innovazione tecnologica con la difesa dell’equità sociale e la tutela dell’ambiente.
Per tutto questo, e per molto altro ancora, credo non sia vano, che sia anzi cosa preziosa, ricordare trentasei anni dopo un uomo, un grande italiano, come Enrico Berlinguer.
Andrea Martella, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’Editoria e al Programma di governo