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Mahmoud “Una vergogna trattarli come un cataclisma. Per l’Italia sono una risorsa”

«È negativo e fuorviante gridare all’emergenza o all’invasione, non si possono definire le persone con il linguaggio che usiamo per i cataclismi. Non sono sbarchi ma salvataggi e non abbiamo di fronte solo e sempre migranti o richiedenti asilo. Nel migliore dei casi, braccia per lavorare. Sono uomini e donne e l’Italia è in grado di gestire quello che è un dato ormai strutturale: siamo un Paese multietnico. Serve una “mare nostrum” europea, mentre i provvedimenti del Governo mirano solo a tenere alta la tensione, a disumanizzare chi arriva fuggendo».

Marwa Mahmoud, membro della nuova segreteria del Pd di Elly Schlein, da tutta la vita si occupa di migrazioni. Lei stessa, che ha 38 anni ed è consigliera comunale a Reggio Emilia, è nata ad Alessandria d’Egitto e ha dovuto affrontare la lunga trafila per ottenere la cittadinanza, anche se ha frequentato tutte le scuole in Italia, fin dall’asilo nido.

Marwa Mahmoud, lei non crede che i mille arrivi al giorno citati dal ministro Matteo Salvini giustifichino la definizione di uno stato eccezionale?

«Io ho l’ossessione dei numeri. Noi siamo un Paese da 60 milioni di abitanti, con i rifugiati censiti nel 2021, meno di 200 mila, non ci si riempie neanche il Circo Massimo. In Germania nello stesso periodo troviamo 478 mila rifugiati. Questo dà l’idea dell’esasperazione di un linguaggio che va ridimensionato. Siamo noi a definire le persone “irregolari”, ma non c’è nessun essere umano irregolare, non parliamo di alimenti scaduti».

Non si tratta di un problema di cui l’Europa tutta deve farsi carico, come sostengono i membri dell’esecutivo?

«I migranti fuggono da crisi ambientali, persecuzioni politiche, conflitti e povertà, è un dovere di Eleonora Capelli dell’Italia valutare la protezione internazionale di fronte a sofferenze e difficoltà. E giusto dire che deve farsene carico l’Europa, ma bisogna modificare il regolamento di Dublino e sono proprio le forze della destra sovranista a impedirlo. E un corto circuito che permette di condurre politiche fondate sulla diffidenza e la diversità, come se fosse un’emergenza un fenomeno che va avanti da 40 anni».

Pensa che servano regole più rigide e stringenti, come quelle in discussione al Senato?

«Quello che serve è la promozione di percorsi regolari per arrivare in Italia, come i corridoi umanitari che invece continuiamo a ostacolare. L’idea che si vuol far passare è che i migranti non sono neanche persone, ma la migrazione è un atto che non definisce tutta la tua vita, solo un passaggio di questa. Perché per gli italiani che vanno all’estero scegliamo di parlare di cervelli in fuga? Anche le persone che arrivano in Italia possono esserlo, non lo sapremo mai finché non capiremo che progetti hanno e cosa sperano. Magari hanno le stesse ambizioni di chi è emigrato in America dall’Italia 100 anni fa…»

Perché parla di dato strutturale?

«Ci sono tanti aspetti del fenomeno migratorio, in Italia i lavoratori stranieri oggi contribuiscono con 1’11% del Pil, i figli e i nipoti dei migranti sono arrivati ormai alla terza o quarta generazione. Io stessa ho una figlia, non credo che il fatto che i miei genitori siano originari dell’Egitto debba ricadere su lei come un fardello. L’Italia è un Paese multiculturale, che ha una presenza rilevante di cittadini di origine straniera nelle scuole, nelle aziende, nello sport. Quello che fa di una persona un italiano non è avere un nonno nato in Italia, come i calciatori che acquisiscono la nazionalità in pochi giorni. Il punto è avere studiato qui, riconoscersi nella Costituzione, nella democrazia e nell’antifascismo, nei valori che condividiamo. Non ha più senso chiedere alle persone da dove vengono, pensiamo insieme dove vogliamo andare come Paese».

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