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Contro i femminicidi brucia alto un fuoco che non si spegne

Il femminicidio di Giulia Cecchettin, il pronunciamento della sorella Elena, le manifestazioni salite come un’onda che si trasforma in tsunami, il dibattito pubblico finalmente risvegliato: una linea di confine fra un prima e un dopo che coinvolge tutte e tutti. Il silenzio non è un destino, e per fare rumore gli strumenti, i modi, i luoghi sono diversi. Irene Pantani ha scelto quello della canzone, diffusa sui social network, ma non solo. L’abbiamo intervistata.

Irene, cosa ha fatto scattare dentro di te la vicenda di Giulia e cosa ti ha spinto a scrivere questa canzone?

Quello che ho provato a seguito della notizia riguardante Giulia Cecchettin è fuoco. Un fuoco dentro che sarebbe limitante chiamare rabbia. Perché la rabbia passa, il fuoco ci vuole un po’ per spegnerlo. Penso che questa sensazione sia stata scaturita dall’esasperazione per l’ennesima vittima. La definirei come rabbia accumulata, femminicidio dopo femminicidio. Personalmente quando ho un pensiero fisso in testa cerco di scrivere qualcosa, di buttare giù due righe come se fosse uno sfogo riguardo a una tematica sulla quale non ho il controllo. L’ho fatto spesso, riguardo a diversi argomenti e il caso di Giulia più che mai mi ha fatto sentire la necessità di farlo. Ho sentito necessità di espormi, come ho sempre fatto perché credo sia nella mia natura, credo che lo “stare zitta”, come spesso noi donne ci sentiamo dire, non faccia per me. Nasce quindi come uno sfogo personale e il fatto che io abbia poi deciso di condividere il video sui social penso sia dovuto alla speranza di poter sensibilizzare qualcuno sull’argomento. Se anche una sola persona ascoltando le mie parole ha avuto modo di riflettere allora mi ritengo fortunata nel mio piccolo, perché una è sempre meglio di zero.

La tua canzone, dai social network, dove ha ottenuto centinaia di migliaia di visualizzazioni, è arrivata alla Direzione nazionale del PD. L’hai mandata tu stessa, su Instagram, alla segretaria Elly Schlein, che ha deciso di proiettarla all’inizio della riunione della Direzione dem. Perché hai scelto di mandarla proprio a lei? Cosa può e deve fare la politica secondo te per provare a risolvere questa piaga?

Ho deciso di condividere il mio video con molti personaggi pubblici che hanno a cuore questa battaglia nella speranza che qualcuno potesse condividere le mie parole con l’obiettivo di sensibilizzare. Ho mandato il video anche alla segretaria Elly Schlein sempre per lo stesso motivo, sapendo che è solita battersi per tematiche sociali. A livello politico credo che ci sia bisogno di uno schieramento più deciso su questo tema, da parte di tutti, perché come ho detto sono temi che riguardano tutti a livello sociale, non c’entrano partiti o schieramenti politici, c’entra la partecipazione, c’entra il far sentire la propria voce soprattutto se si ha la possibilità di essere ascoltati da un certo numero di persone. Credo che tematiche come queste non vadano gestite come temi politici su cui schierarsi. Sono temi sociali riguardo ai quali non esistono schieramenti o pareri. Per cambiare una condizione sociale come il contesto patriarcale in cui viviamo c’è sicuramente bisogno di educare, sensibilizzare, parlarne e disobbedire. Con “disobbedire” faccio riferimento alle centinaia di manifestazioni che si sono tenute negli ultimi giorni in tutta Italia contro la violenza di genere. Credo che manifestazioni del genere in grado di generare una tale risonanza debbano avvenire più spesso, non solo il 25 novembre, c’è bisogno di continuare a parlarne, fino allo sfinimento. La perseveranza e la disobbedienza credo che in questi casi siano necessarie. Sono dell’idea che il cambiamento riguardo a temi estremamente radicati nella società come la violenza di genere non avvenga in pochi anni, forse neanche in un secolo. Probabilmente noi non vedremo i risultati delle battaglie che stiamo portando avanti, ma la speranza è che possano smuovere le coscienze e che possano far cambiare qualcosa in futuro.

 

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Si parla tanto di educazione all’affettività, di educazione alle emozioni, ai sentimenti, alla conoscenza del corpo e dei rapporti umani. È evidente che serve un cambio di approccio dal punto di vista culturale. Secondo te quanto è importante il ruolo delle famiglie e quanto quello della scuola?

Credo siano fondamentali entrambi i ruoli. Per quanto riguarda le famiglie non è possibile però interferire sull’educazione affettiva e sentimentale impartita dai genitori se non provando a lanciare degli spunti di riflessione tramite i mezzi disponibili (televisione, giornali, radio). Per quanto riguarda invece la scuola credo che sia effettivamente possibile provare a sensibilizzare i ragazzi su tematiche riguardo alle quali magari in famiglia non si discute. La scuola ha il compito di educare e formare il cittadino, per questo ha un’importante responsabilità sociale. lLa maggior parte del tempo i bambini e i ragazzi lo passano all’interno degli istituti scolastici ed è proprio in questi luoghi che si ritrovano ad interagire con loro coetanei, professori e personale scolastico. È il primo luogo in cui si prende coscienza della diversità che ci circonda e si impara a relazionarci con essa. Imparando a conoscere il mondo intorno a noi si impara a conoscere meglio anche se stessi e solo grazie alla giusta sensibilizzazione si può essere in grado di capire, accettare o anche solo ascoltare.
L’auspicio è che la scuola insegni l’ascolto, il rispetto e fornisca gli strumenti per crescere in quanto individui comprendendo le proprie emozioni e quelle degli altri.

Il femminicidio di Giulia Cecchettin ha avuto un impatto mediatico enorme. Ora è fondamentale tenere accesi i riflettori su quanto è successo e tenere alta l’attenzione su quella che è una vera e propria emergenza. Quanto può aiutare, da questo punto di vista, un contributo del mondo della cultura, della musica, del cinema? Pensiamo all’ultimo film di Paola Cortellesi e anche alla stessa Barbie, campioni di incassi forse anche perché di questo argomento non si è mai parlato abbastanza, oppure in maniera solo retorica.

Penso che il mondo della cultura in questo campo faccia molto. La musica, la televisione e il cinema sono una costante nella nostra vita quotidiana e credo che la sensibilizzazione non debba essere per forza urlata, se non in casi estremi, perché può avere effetto anche la sensibilizzazione costante, che sia attraverso una canzone, un libro, un film, basta anche sentire un discorso in televisione per offrire uno spunto di riflessione nella speranza che qualcuno possa coglierlo. Il film di Paola Cortellesi credo che sia uno dei film più belli degli ultimi anni e la motivazione è che purtroppo si parla di un tema ancora troppo attuale. Le sensazioni di rabbia e rivoluzione che si provano guardando il film ci appartengono tutt’oggi e gli ultimi fatti lo dimostrano. La speranza è che sia in grado di sensibilizzare sulla tematica, perché l’emancipazione femminile è una strada in salita che stiamo ancora percorrendo con affanno.

Chiudiamo con un’ultima domanda sulla galassia dei social. Tu sei una ragazza molto attiva soprattutto su TikTok e Instagram. Il web, e i social in particolare, nati come spazi di libertà e di democrazia dal basso, sono diventati spesso veicolo di messaggi che rispondono a interessi di diversa natura. A tuo parere c’è bisogno di una maggiore o diversa regolamentazione?

I social possono essere un buon mezzo attraverso cui condividere le proprie idee e portare avanti le proprie battaglie. Permettono a tante persone di crearsi uno spazio per farsi ascoltare o più semplicemente per condividere dei bei ricordi ed è proprio questo il modo in cui io in primis sono solita utilizzarli. Questa enorme libertà viene sicuramente sfruttata da molti per attaccare, denigrare o promuovere comportamenti sbagliati. Già esistono dei modi per poter segnalare sui social atteggiamenti di questo tipo, ma purtroppo non sempre risultano efficaci o immediati. Una maggiore regolamentazione potrebbe essere d’aiuto per limitare o prevenire atti di cyberbullismo e di violenza di genere che, molto spesso avviene anche sui social. Ma rimane il fatto che in questo modo si potrà eliminare un commento o bloccare un account, ma non sradicare tale mentalità dall’artefice del gesto perché, ribadisco, la libertà di insultare o di sentirsi in diritto di dire e fare certe cose è un fatto culturale.

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