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Amendola: “Chiudere la partita europea entro giugno”

“L’obiettivo è chiudere tutto entro giugno”. Il ministro agli Affari europei Enzo Amendola guarda positivamente all’esito del Consiglio europeo di ieri, che ha dato mandato alla Commissione Ue di dettagliare la creazione di un fondo di ripresa dopo la crisi Covid-19 legato al bilancio pluriennale europeo. Ma Amendola sottolinea le richieste italiane: “I prestiti a lungo termine non sono l’unica proposta, anche per non gravare ulteriormente sui debiti pubblici. Abbiamo detto che preferiamo un sostegno economico diretto insieme ad altri paesi”. Respinta la mittente la proposta del centrodestra di ampliare ulteriormente i poteri della Bce: “Senza polemica”, ci dice, “sono proposte realizzabili in tre anni”, loro “non vogliono “più Europa”, ma chiedono di ridurre al minimo la solidarietà verso gli altri Stati: slogan vuoto”. Quanto al Mes, tema divisivo nella maggioranza di governo M5s-Pd, comunque “si esprimerà il Parlamento”. E all’orizzonte non c’è il problema del Patto di stabilità e crescita, per ora sospeso ma destinato a riattivarsi dopo l’emergenza con le sue regole ferree su deficit e debito: la crisi cambia tutto, argomenta Amendola, “non ci sarà tuttavia un’ora ‘x’ in cui torneremo d’incanto al “business as usual”.

 

Ministro, come valuta l’esito del Consiglio europeo?

Abbiamo aperto una strada nuova come ci eravamo ripromessi poche settimane fa. Con Francia, Spagna e altri paesi abbiamo messo all’ordine del giorno proposte inimmaginabili negli scorsi Consigli europei. L’idea di bond emessi dalla Commissione era un tabù, così come la possibilità di una politica fiscale comune tra i 27. Non per fare paragoni, ma nella crisi finanziaria del 2008 l’Europa ci mise anni per trovare un accordo e nel frattempo alcuni paesi furono travolti. Ieri sono stati messi da parte timori ed egoismi nazionali per superare una grave crisi sanitaria, diventata anche crisi economica e sociale. Visto il recente passato e le condizioni di partenza, lo trovo il miglior risultato possibile. La sfida però inizia adesso: bisogna passare all’azione, rendere operative le decisioni e liberare nuove risorse.
 

Si è dato mandato alla Commissione europea di creare un fondo di ripresa legato al bilancio pluriennale europeo: ma così non si rischia di andare per le lunghe? I leader sono in alto mare rispetto all’accordo sul bilancio, a febbraio sono usciti spaccati da un vertice durato ben due giorni…

Per la prima volta l’Europa istituisce un Fondo garantito dai 27 e di portata senza precedenti, con il quale la Commissione emetterà titoli europei, raccogliendo così risorse sui mercati per proteggere aree geografiche e settori economici più colpiti. È un passo importante di cui bisogna cogliere tutte le implicazioni: l’Europa unita decide di investire su sé stessa. Non era mai accaduto in questi termini. Il Recovery Fund pochi giorni fa non era nemmeno sui radar. Lo abbiamo chiesto e voluto noi insieme ad altri paesi, con il sostegno dei commissari Breton, Gentiloni e dell’Europarlamento. Il 6 maggio la Commissione presenterà la proposta di bilancio pluriennale (QFP) ma le risorse per il Recovery Fund saranno disponibili molto prima dell’entrata in vigore del QFP.

 

Come?

Si lavora su un anticipo con garanzie, un frontload da attivare al momento della ratifica.

 

Non era meglio sostenere fino in fondo la proposta francese di un piano slegato dal bilancio?

Serviva uno strumento europeo immediatamente attivabile. Abbiamo sostenuto l’idea francese, ma ieri si è arrivati ad una soluzione comune che garantisce tempi più rapidi e una gestione condivisa. Sarà necessario adesso lavorare sui dettagli e altri compromessi saranno inevitabili. Ma stiamo alla novità politica. L’Europa ha detto ai mercati e ai suoi competitori globali che i 27 paesi hanno scelto di unirsi e di proteggersi a vicenda. Assieme all’argine innalzato dalla Bce, era necessario dare una risposta politica ispirata alla solidarietà e alla difesa dell’interesse comune.

 

L’Italia ha prima detto di sostenere la proposta francese, ora sostiene quella della Commissione. Nel frattempo non c’è una proposta italiana sul tavolo. Anche la Spagna l’ha fatta. A quando una proposta italiana?

L’Italia ha negoziato sulla base dei propri interessi e ha sempre chiesto tempi rapidi per un’azione comune, un Fondo dalle dimensioni importanti e obiettivi di spesa chiari. Su come inquadrare giuridicamente il Recovery Fund non abbiamo avuto preclusioni, ci muoviamo di più per la condivisione e la celerità delle scelte. Ora parte il negoziato tecnico sul bilancio europeo 2021-27 e il fondo ad esso collegato. Sarà una trattativa serrata e in tempi ristretti. Sono fiducioso: tra Roma e Bruxelles, oltre al Presidente Conte e al governo, abbiamo un’ottima squadra di diplomatici e funzionari impegnati a difendere i nostri interessi. Dobbiamo esserne orgogliosi.

 

L’altra divisione tra i leader è su prestiti e Loans. Come se ne esce e che tempi dà alla trattativa? Cioè entro quando vorremmo ottenere un fondo di ripresa con bond comuni operativo?

L’obiettivo è di chiudere tutto entro giugno. I prestiti a lungo termine non sono l’unica proposta, anche per non gravare ulteriormente sui debiti pubblici. Abbiamo detto che preferiamo un sostegno economico diretto insieme ad altri paesi. L’articolo 122 del Trattato, base per questa operazione, parla di “assistenza finanziaria” e non preclude nessuna opzione su come usare il Fondo a favore degli Stati. La Von der Leyen ieri sera in Conferenza stampa ha parlato di un mix tra Loans e Grants. Ma è chiaro a tutti che i nostri obiettivi devono essere tre: sostenere il mercato unico e le sue catene di valore, evitare divisioni sempre più marcate tra i vari paesi, e programmare un piano di ripresa coordinato che difenda l’Europa industriale da acquisizioni extraeuropee. Nessuno si salva da solo. È la natura stessa delle nostre economie a unirci. Si figuri che la Germania ha un interscambio commerciale con la sola Lombardia e il Veneto superiore a quello con la Corea del Sud o il Canada.

 

Il centrodestra teme tempi lunghi e propone di ampliare i poteri della Bce. Cosa rispondete?

Noi ci muoviamo in base al principio di realtà: il miglior risultato possibile nelle condizioni date. Per scelta non polemizzo mai con le opposizioni, soprattutto in questo momento così delicato. Leggo proposte su modifiche dei Trattati e sul cambio di statuto della Bce. Non voglio nemmeno entrare nel merito. Al netto del livore antieuropeo, sono proposte realizzabili tra anni, mentre a noi servono soluzioni subito, perché la crisi non aspetta. Oltretutto, i loro alleati nei rispettivi parlamenti nazionali sarebbero contrari a quelle proposte perché non vogliono “più Europa”, ma chiedono di ridurre al minimo la solidarietà verso gli altri stati. Dal canto suo la Bce è già intervenuta con il programma di acquisto per l’emergenza pandemica (il PEPP), superando i precedenti limiti relativi a quantità e qualità dei titoli acquistabili. Aggiungo che la Commissione ha anche sospeso il Patto di Stabilità e i divieti sugli Aiuti di Stato. Insomma, il ritratto monodimensionale di un’Europa cattiva e indifferente, conti alla mano, è uno slogan vuoto.
 

Se non ci sarà accordo entro la fine dell’anno, è la fine dell’Ue? E l’Italia come intende far sentire la sua voce per fare presto?

Gli effetti di questa crisi ricadranno anche sugli Stati membri meno toccati dall’emergenza sanitaria. Per questo, come ha indicato il Presidente del Consiglio europeo Charles Michel, il Recovery Fund deve essere destinato ai settori e alle aree geografiche più colpite. Adesso non serve alzare la voce, ma lavorare rapidamente alle soluzioni. Conosco lo scettiscismo verso l’Europa. So benissimo che il disamore per l’Europa è grande, leggo i sondaggi pro-Cina e ogni sera in tv c’è qualcuno che, per sfogare rabbia dovuta alla crisi, condanna senza assoluzioni Bruxelles. Sono un ministro che lavora controvento, ma dobbiamo uscire dalla crisi e recuperare velocemente, da soli corriamo il rischio di non farcela. Il nostro governo difende l’Europa per difendere l’interesse nazionale.
 

Il Mes: quando e come avremo chiarezza sulle condizioni, vista l’ambiguità delle conclusioni dell’Eurogruppo? E si aspetta sorprese rispetto alla promessa di poter prendere soldi in prestito senza condizioni?

Ieri insieme al Recovery Fund sono state decise tre azioni di politica fiscale da attuare entro il 1 giugno. Il fondo Sure da 100 miliardi contro la disoccupazione, il fondo Bei da 200 miliardi per la liquidità delle imprese, e una linea di credito a tassi bassi di 240 miliardi finanziata dal Mes. Nelle settimane scorse si è fatta della inutile confusione, spesso in malafede. Nessuno nel governo vuole riesumare il Mes nato dal Trattato del 2012. Stiamo ai fatti. C’è una nuova linea di credito che utilizza fondi depositati nel Mes e li mette a disposizione per la lotta al Covid. Starà poi ai singoli paesi valutare se avvalersi o meno di questa possibilità. Ma per favore niente anatemi, anche perché su tutte le scelte di politica fiscale europea, valutati i fatti, e si spererebbe solo quelli, dovrà esprimersi non solo il governo, ma anche il Parlamento.

 

Forse il problema sono le condizionalità future, perché il Patto di stabilità e crescita è solo sospeso. Dopo l’emergenza verrà riattivato e l’Italia potrebbe ritrovarsi a dover intraprendere un percorso di rientro nelle regole con un debito altissimo…

Un riadattamento dell’Europa al contesto che cambia era già in atto ben prima della crisi. Adesso i parametri economici sono cambiati e i pericoli di divisione interna aumentati. Senza politica fiscale comune si rischia che una crisi simmetrica produca effetti diversi aumentando disugualità e fratture. Agire subito è necessario e in futuro, dal Patto di stabilità alle regole sugli Aiuti di Stato, si terrà conto della pandemia e dei suoi effetti sui bilanci pubblici. Non ci sarà tuttavia un’ora ‘x’ in cui torneremo d’incanto al “business as usual”. Questa avversità però è un’occasione unica per dare all’Europa una maggiore identità politica, non solo economica e rimettere in discussione regole e prassi molto dibattute: dumping fiscale, flessibilità nell’uso dei fondi regole per la concorrenza interna. Di fronte a questa imprevista e drammatica crisi dobbiamo dire con una sola voce che siamo disposti a tutto pur di difendere la nostra comunità di destino.

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