Tre giorni di fila di tensioni, le indagini sulla ministra Daniela Santanché su cui il partito ha preparato un’interrogazione, un Consiglio dei ministri saltato, un livello di nervosismo mai registrato finora nella maggioranza. Peppe Provenzano, ex ministro ed ex vicesegretario dem, responsabile Esteri in segreteria PD, tenta di allargare lo sguardo: non si tratta di questioni interne, di bisticci fra alleati:
«Sul Mes la maggioranza si è resa protagonista di un Aventino alle rovescia. Per coprire divisioni interne, fugge dalle responsabilità non presentandosi in commissione. Ma qui c’è in ballo qualcosa di molto più importante dei rapporti interni alla maggioranza: la credibilità internazionale dell’Italia, il suo ruolo in Europa».
«Non so se davvero l’ideologia possa uccidere questa maggioranza, come teme qualcuno nella Lega, ma siamo gli unici a non aver ratificato la modifica del Mes. E questo isolamento è un danno per l’Europa, ma soprattutto per l’Italia, che nessuno peraltro costringe a utilizzare il fondo. Questa vicenda è una spia. C’è una contraddizione di fondo in questo governo e Meloni deve scegliere e assumersi la responsabilità: o paga il prezzo di rinnegare la sua stessa politica, o fare pagare quel prezzo all’Italia. E un bivio: o va contro se stessa, o contro l’interesse nazionale».
I 5 stelle si sono astenuti anche sul rifinanziamento alla Guardia costiera libica, che il PD chiede di non confermare.
«L’immigrazione è uno dei nodi non sciolti. Ricordo la fatica per modificare i decreti Salvini nel Conte 2».
Il PD è compatto su questa posizione riguardo alla Libia? Che contraddice le posizioni assunte dal governo Gentiloni ormai sei anni fa?
«Sì, e lo ritengo un fatto importante. C’è stato un congresso dal quale è emersa una linea chiara, ma c’è stato anche un percorso di discussione che aveva già portato all’astensione lo scorso anno. Sono state accertate complicità con i trafficanti di quella stessa guardia costiera, le violazioni dei diritti umani. Il memorandum del 2017 è superato dai fatti, perché la Libia di allora non esiste più. Il tema non è il passato. Non è andarsene dal Mediterraneo, ma come starci».
Meloni è andata due volte in una settimana in Tunisia, per cercare di mettere un freno ai flussi.
«Bisogna stare nel Mediterraneo con l’Onu, con l’Unione europea, con un equilibrio accettabile tra difesa dei nostri interessi nazionali e tutela dei diritti umani. È incredibile vedere la freddezza della premier con Emmanuel Macron, mentre con il presidente tunisino Saied, un autocrate che incarcera gli oppositori, tiene una conferenza stampa, senza stampa, all’insegna del feeling. La stabilizzazione dei paesi del Mediterraneo non può passare dal sostegno ai dittatori, esponendoci ai loro ricatti».
Però a Tunisi è andata con l’Europa, c’era Ursula von der Leyen.
«Non ha fatto fare una grande figura all’Europa, visto che un minuto dopo Saied ha detto che non intende fare alcun accordo sui migranti. E mi ha colpito il silenzio della presidente della Commissione davanti all’esigenza di riprendere il processo democratico interrotto dall’attuale regime. È tutto legato: l’instabilità democratica contribuisce alla crisi economica e alimenta le fughe per mare».
Per questo, non c’è il Piano Mattei?
«Ne ha parlato il primo giorno e non ha ancora tirato fuori un progetto, intanto tagliano i fondi per la cooperazione internazionale. Solo retorica e propaganda, che rivela l’ipocrisia di slogan come “aiutiamoli a casa loro”».
Cosa servirebbe?
«L’Italia che impegna l’Europa, altrimenti come competiamo con Cina, Russia e Turchia? Serve un green deal europeo per l’Africa. E molto più coraggio nella politica europea di gestione dei rifugiati».
Il nuovo accordo siglato sui migranti non la convince?
«È insufficiente e deludente. Non riforma il sistema di Dublino e la pressione sui Paesi di primo approdo come l’Italia, e ha elementi po- co nobili come l’idea di poter pagare 20 mila euro e respingere un migrante, per non dire dell’indifferenza di fronte alle tragedie che si ripetono: Cutro, Pylos. Noi chiediamo una Mare Nostrum europea, altrimenti non supereremo il giudizio della storia».
È preoccupato per la direzione che sta prendendo l’Europa?
«Siamo controvento. Avanzano le destre e arretra la solidarietà, che invece era emersa nel periodo del Covid e con la nascita del Next generation Eu. Vedo il pericolo di una svolta reazionaria che va contro il nostro interesse nazionale. E questo si riflette anche sulla riforma del patto di stabilità e crescita, dove il commissario Gentiloni ha fatto il possibile e va difeso.
C’è l’idea che il PD di Schlein possa progressivamente avvicinarsi alla posizione di Conte sulle armi all’Ucraina.
«La segretaria ha parlato chiaro, è andata in piazza con i 5 stelle per la precarietà e nient’altro. E io lo ripeterò fin quando sarà necessario: il PD è per il sostegno all’Ucraina, anche militare. E siamo con Kiev perché siamo per la democrazia, per i diritti umani e per la legalità internazionale. Questo non significa non dover continuare a cercare una via diplomatica per una pace giusta. È interesse dell’Europa. La parola pace non va lasciata agli utili idioti putiniani o alla propaganda russa che ho sentito riecheggiare in quella piazza a Roma. Pace significa Russia go home, condanna di Putin, difesa dell’Ucraina».