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Elly Schlein, Discorso di chiusura a Ravenna

L’intervento di chiusura della Festa Nazionale dell’Unità del Segretario, o della Segretaria come in questo caso, è sempre stato un momento atteso e importante nella storia della sinistra italiana. Credo che possiate immaginare l’emozione e l’onore che sento nell’essere stata chiamata, per la prima volta, a pronunciarlo.

 

Soprattutto per esprimere un grande e sincero “Grazie”. Per l’impegno esemplare delle volontarie e dei volontari che qui a Ravenna e in ogni parte d’Italia hanno reso possibili le nostre Feste. Siete l’essenza stessa della nostra comunità, senza di voi non saremmo nulla.

 

Siete il volto migliore della politica. Rappresentate per noi un motivo di orgoglio e, insieme, un riferimento esigente: perché avverto il dovere di essere all’altezza del vostro impegno fatto di passione e generosità. Porto con me le idee che si sono sviluppate nel confronto in queste settimane di Festa, in decine di dibattiti. Lo stesso vale per le centinaia di Feste dell’Unità in tutta Italia, cresciute quest’anno del 20% e ovunque più partecipate che in passato.

 

Porto con me i chilometri fatti per raggiungere più feste, militanti e persone possibili e quelli che farò ancora. Per parlare, certo, ma ancora di più per ascoltare e per dire grazie a chi dedica il proprio tempo a una speranza per un paese più giusto e per un ideale di democrazia.

 

Grazie al PD di Ravenna, al Segretario di federazione Alessandro Barattoni, al Segretario regionale Luigi Tosiani, a Igor Taruffi e a tutto il personale del Partito Democratico che si è speso; grazie ai nostri amministratori e amministratrici, ai gruppi parlamentari, a tutti i nostri dirigenti e parlamentari, ai militanti e ai circoli in Italia come nel resto del mondo.

 

Io vedo nei volontari e nelle volontarie, quelli che organizzano le feste o tengono aperti i circoli, quelle che raccolgono le firme o fanno parte di amministrazioni locali, insomma quelli e quelle che ci credono. Ecco, io vedo in loro l’esempio di un partito che si ripensa da capo. Quando diciamo “il nostro tempo”, a cosa ci riferiamo? A un gruppo di pochi professionisti che gestiscono un marchio e si muovono nel cosiddetto mercato elettorale? No. Noi ci riferiamo a una grande comunità di persone che sono unite da qualcosa di più profondo che il solo interesse reciproco.

 

Faccio sempre questo esercizio: mi chiedo ogni giorno quale sia stata la scintilla che, ad un certo punto della mia vita, mi ha convinta che dovessi fare qualcosa attraverso l’impegno prima civile e poi politico. Credo davvero che questa attitudine sia essenziale per essere sempre in grado di guardare negli occhi chi incontriamo, ascoltare con partecipazione il loro racconto e poi dirgli non solo “me ne occupo” ma “occupiamocene insieme”, “camminiamo insieme”, mettiamoci al servizio delle nostre idee. Inventiamo insieme nuove forme di partecipazione e collaborazione.

 

In fondo, questa è stata l’ambizione del Partito Democratico fin dalla sua nascita: non solo unire storie e culture diverse ma anche immaginare un progetto nuovo, un orizzonte ideale e culturale, e forme e modalità di partecipazione e di ascolto del popolo democratico. Un partito strutturato più a rete che a piramide, nel quale i circoli tornano ad essere antenne per ascoltare, capire e coinvolgere le persone e i territori. Un partito che spalanca porte e finestre a chi vuole dire la propria e ha voglia di impegnarsi. In cui non ci si ritrova solo per misurare i rapporti di forza, ma proprio per essere comunità e laboratorio di idee.

 

Siamo tutti insieme, la forza del Partito Democratico, la sua giovane storia, il suo solido futuro. E ognuna e ognuno di noi sente e sentirà qualsiasi attacco al Partito Democratico come un attacco contro ognuna e ognuno di noi. Così come ogni vittoria, ogni conquista, ogni avanzamento, piccolo o grande, per l’Italia, sarà sentito da ognuna e ognuno di noi come una vittoria di tutti, di tutti noi. Questo non è semplicemente un impegno: questo è quello che siamo e che saremo nei prossimi anni: plurali, larghi, aperti. Generosi. Consapevoli. Tutti insieme. Tutte insieme.

 

“Il nostro tempo”, allora, è una grande assunzione di responsabilità collettiva. È il fare, qui ed ora, la nostra parte. In un tempo difficile, carico di incognite e di sfide. È stato detto che più che un’epoca di mutamenti, è un mutamento d’epoca. Un tempo segnato da profonde trasformazioni nella società, nella comunicazione, nella geopolitica. Trasformazioni che hanno spaventato le nostre società. Il nostro ruolo, la missione più alta della politica, è governare queste trasformazioni affinché non le subiscano sempre i soliti, i più poveri. Le crisi intrecciate dell’ultimo decennio – quella economica, finanziaria, climatica, demografica, pandemica, la guerra – ci devono portare a cambiare un modello di sviluppo insostenibile che ha rivelato tutti i suoi limiti ed è esposto a ciclici choc. Dobbiamo avere chiaro come cambia il quadro geopolitico intorno e quale ruolo vogliamo avere. Il rallentamento della Cina, l’allargamento dei BRICS, il ritorno delle politiche industriali in chiave geopolitica con l’InflationReductionAct americano che è un game-changer, l’Europa non può restare indietro: deve attrezzarsi. Tutto ci suggerisce di tornare a investire fortemente nel multilateralismo che si è indebolito.

 

Rivoluzione digitale

Viviamo un’epoca attraversata da una prorompente rivoluzione tecnologica e scientifica, che porta con sé nuove straordinarie opportunità e domande inedite, ma pure nuove paure e diseguaglianze, come in ultimo gli scenari aperti dalla rapida evoluzione dell’intelligenza artificiale e dal lavoro digitale. Dobbiamo accompagnare la trasformazione digitale per redistribuirne i benefici, anziché lasciare che concentri ulteriormente le ricchezze acuendo le diseguaglianze. Perché il salto digitale, se ben guidato, può aiutare a semplificare il rapporto tra pubblica amministrazione, imprese e cittadinanza. Può aiutare a rendere più sicuri i luoghi di lavoro. A migliorare la vita delle persone non autosufficienti e con disabilità. Ma pure per un’altra ragione. Avete visto sotto il nubifragio di Genova l’immagine di quel ragazzo sotto la pioggia battente che pedala per fare una consegna. Non possiamo accettare che vi siano lavori che non esistevano 15 anni fa, come i rider, che non hanno alcun tipo di tutela, diritto all’assicurazione o alla malattia, sfruttati a cottimo per pochi euro a consegna. Io faccio parte di una generazione che ha ereditato le grandi lotte sindacali che hanno portato allo Statuto dei lavoratori del 1970. Ma sono passati 53 anni, il lavoro si è profondamente trasformato. Per essere credibili agli occhi di chi vive quelle condizioni, dobbiamo essere il partito che apre una grande discussione nel Paese per costruire le nuove tutele del lavoro che cambia.

 

Emergenze climatiche

Questo è anche il tempo della crisi climatica che sta assumendo un’accelerazione drammatica davanti ai nostri occhi, con il moltiplicarsi anche nel nostro paese di eventi climatici estremi che producono fenomeni terribili come quelli che hanno ferito proprio questa terra. Siamo qui, abbiamo deciso di fare qui la Festa nazionale dell’Unità, per stare accanto ai territori e alle comunità colpite dalle alluvioni e dalle frane, perché non consentiremo mai di spegnere i riflettori su quello che qui è accaduto e su quello che bisogna fare al fianco degli amministratori e amministratrici locali. Abbiamo incontrato persone che hanno perso tutto due volte, imprenditori che ancora non sanno come periziare i propri danni, agricoltori che hanno perso colture che ci vorranno 5 anni a far ricrescere. È incredibile che ancora non siano arrivati i ristori promessi al 100% da Giorgia Meloni; che i Comuni abbiano anticipato ingenti risorse per le somme urgenze e che non sanno se potranno chiudere i bilanci; che il governo abbia scelto di centralizzare la ricostruzione quando tutto il territorio chiedeva che il Commissario fosse il presidente della Regione. Ringrazio Stefano Bonaccini per l’impegno instancabile e il grande lavoro della Regione: amministratori come lui ci hanno insegnato che quando guidi una comunità non guardi al colore politico degli amministratori ma vedi solo la loro fascia tricolore. Mentre noi invocavamo l’unità nazionale per ricostruire, la destra col suo cinismo sceglieva una volgare politicizzazione dell’alluvione, perché evidentemente guardano più alla Regione che alla ricostruzione.

 

Guerra

Il nostro tempo è purtroppo anche un tempo di guerra. Dove non possiamo e non vogliamo abituarci alle immagini quotidiane di dolore e macerie che ci raggiungono dal fronte alle porte dell’Europa. L’aggressione russa ha riportato indietro le lancette della storia: all’idea muscolare che non il multilateralismo, ossia il primato della politica e del diritto nelle relazioni internazionali, ma la logica della violenza e della sopraffazione possano riscrivere i confini tra paesi. Il partito democratico sostiene convintamente il popolo ucraino che ha subito un’invasione criminale da parte di Putin, abbiamo scelto di sostenere con ogni forma di assistenza necessaria l’autodifesa del popolo ucraino, perché senza quel supporto Putin avrebbe già riscritto i confini d’Europa con l’esercito e questo non è accettabile. Al contempo continuiamo a chiedere uno sforzo diplomatico e politico all’Unione europea, che deve trovare una voce sola e forte anche su questo, per contribuire a creare le condizioni di un cessate il fuoco e di una pace giusta, alle condizioni che stabiliranno gli ucraini. Perché non possiamo aspettare che cada l’ultimo fucile per lottare per la pace, la cui prospettiva è coessenziale a un grande partito progressista. Per questo abbiamo accolto con speranza il tentativo di Papa Francesco e i dialoghi del Cardinale Zuppi per far cessare questo tragico conflitto che si abbatte sulla popolazione ucraina ma nelle sue conseguenze economiche e sociali anche su tutto il resto d’Europa.

 

Europa

Nessuna di queste sfide si può risolvere entro i ristretti confini nazionali. Questa è la ragione della nostra convinzione nel progetto federalista europeo. Questa è la grande bugia dei nazionalisti che va smascherata. Con la segreteria nazionale siamo stati a Ventotene. Siamo stati lì per ricordare come un gruppo coraggioso di confinati ha tracciato il sogno ancora incompiuto dell’Unione che oggi serve persino più di allora. Altiero Spinelli, Ursula Hirschmann, Ernesto e Ada Rossi, Eugenio Colorni avevano deciso di non rispondere all’odio e alla privazione della libertà con altro odio ma con una nuova speranza, con il sogno di un’Europa che potesse sconfiggere i nazionalismi e condividere risorse e competenze anziché farsi la guerra per accaparrarsele. Quella di un continente libero e unito, che ponesse fine ai conflitti per garantire alle future generazioni un futuro di pace, di libertà, di prosperità e di giustizia sociale. Era questo il Manifesto per un’Europa libera ed unita.

Quella di oggi non è ancora l’Europa del Manifesto di Ventotene, promessa di maggiori opportunità per le nuove generazioni. Se siamo in questa situazione, è perché il progetto europeo è rimasto incagliato a metà, negli egoismi nazionali e nella mancanza di coraggio di fare l’Unione davvero. Serve l’ambizione di rilanciare il progetto Europeo. Quello che David Sassoli, chiamava “un nuovo progetto di speranza”.

Realizzare un’Europa sociale, e finalmente anche della salute. Un’Europa del lavoro – quella dei 100 miliardi di Sure sugli ammortizzatori sociali, quella della direttiva sul salario minimo, quella che fissa la prima regolazione del lavoro digitale e dell’intelligenza artificiale. Risultati che non sarebbero qui se non fosse per l’impegno dei nostri rappresentanti a Bruxelles. Un’Europa che prosegua con coraggio e dia continuità al Next Generation Eu, il più grande piano di investimenti comuni della storia d’Europa, che ha superato i veti storici sugli eurobond e posto le giuste condizionalità per accompagnare la trasformazione digitale, ecologica e la riduzione dei divari. Sono politiche industriali europee, indispensabili per rispondere all’IRA americano e per stare nel futuro. Tutto questo non sarebbe stato possibile senza l’impegno della Commissione europea di Ursula Von DerLeyen e di Paolo Gentiloni cui va tutta la nostra gratitudine per il servizio che sta svolgendo. E di fronte agli attacchi scomposti di un governo che tenta di celare la sua incapacità di dare risposte economiche e sociali, ricordiamo che da un lato c’è chi ha contribuito col suo lavoro a mettere in campo un piano da 750 miliardi di investimenti per il futuro, di cui l’Italia è maggiore beneficiaria, dall’altro c’è chi sta rischiando di far perdere queste risorse e quest’occasione storica al Paese. Ci hanno messo dieci mesi a decidere quali modifiche volevano fare. Dieci mesi in cui hanno ingenerato incertezza presso gli operatori economici e istituzionali, rallentando l’attuazione del piano e mettendo a rischio l’arrivo delle risorse. E dopo dieci mesi abbiamo scoperto che le modifiche erano 16 miliardi di tagli, 13,5 miliardi dei quali spettavano ai comuni, che stannospendendo bene e nei tempi previsti quelle risorse. Ci sono sindaci preoccupati sui progetti già avviati. E la fregatura è che il Governo dice “non preoccupatevi, vi daremo altre risorse”: peccato che quelle risorse FSC e quelle dei fondi strutturali spettavano già a comuni e regioni, che in questo modo le perderanno, per altri importanti progetti e infrastrutture.

 

Green Deal

Si sta discutendo della riforma del Patto di Stabilità, con una difficile opera di mediazione da parte della Commissione che già propone un passo avanti rispetto alle vecchie regole. Ma l’Italia deve battersi per chiedere di più. Per frenare le spinte dei Paesi che vorrebbero riportarci agli errori dei rigidi parametri quantitativi, quando abbiamo bisogno di continuare ad avere margine finanziario per sostenere gli investimenti nella conversione ecologica, nella trasformazione digitale, nella coesione sociale: non si torni all’errore dell’austerità. Il governo faccia questa battaglia a Bruxelles anziché cercare nemici. Noi la faremo.

E la faremo difendendo la lotta all’emergenza climatica – un Green Deal con il cuore rosso dagli attacchi della destra nazionalista e negazionista. Dobbiamo proteggere le cittadine e i cittadini prendendoli per mano nella transizione. Efficienza energetica, conversione industriale per abbattere emissioni, ricerca innovazione e competenze, economia circolare e agricoltura sostenibile. A chi chiede chi pagherà i costi della transizione dobbiamo ribaltare la domanda: chi sta già pagando i costi del non farla? I paesi più fragili e le fasce più povere.

La conversione ecologica avverrà quando apparirà socialmente desiderabile: così scriveva un lungimirante pensatore come Alexander Langer. Sta a noi costruire le politiche che rendano conveniente questa trasformazione, per tutta la società e l’economia, a partire dalle piccole e medie imprese che da sole non hanno le risorse per innovare i processi e ridurre l’impatto negativo sull’ambiente.

Sono contenta che il Papa lavori alla seconda parte dell’Enciclica Laudato Sii perché ha portato una grande innovazione culturale: sapere che il grido della terra e il grido dei poveri vanno ascoltati insieme. Siamo noi a dover invertire la pericolosa rotta delle destre e spiegare che l’immobilismo porta il Pianeta al punto di non ritorno anche per l’umanità.

Abbiamo al governo dei negazionisti dei cambiamenti climatici che fanno battute dal fresco del loro condizionatore, senza rendersi conto che in Italia si stimano oltre 3 milioni di poveri energetici che il condizionatore non se lo possono permettere. L’efficientamento energetico conviene alle imprese e alle famiglie, perché riduce strutturalmente del 50% il costo della bolletta. Investire nelle energie pulite e rinnovabili permette di abbassare le bollette e le emissioni, lo chiede anche Confindustria Elettrica. Cosa aspettiamo a sfruttare questo grande potenziale del paese per creare lavoro di qualità e buona impresa? Cosa aspetta il governo a sbloccare i decreti attuativi delle comunità energetiche? Portiamo questa sfida nei Comuni, facciamoci sentire. Così come in Parlamento porteremo una legge che contrasta il consumo di suolo, perché si è cementificato troppo in Italia e non possiamo lasciare soli gli amministratori di fronte agli interessi di chi vorrebbe continuare come non ci fosse un domani.

Vogliamo un’Europa solidale sull’accoglienza, che superi Dublino, apra vie legali e sicure per l’accesso a tutti i paesi europei, e salvi vite nel Mediterraneo con una Mare Nostrum europea. Vogliamo un’Europa senza paradisi fiscali. Serve trasparenza che contrasti una corsa a ribasso in cui siamo tutti perdenti, Stati e cittadini, e vince solo chi non contribuisce in modo equo al benessere collettivo. Un altro piano Next Generation EU se ne va ogni anno in evasione ed elusione fiscale di grandi gruppi multinazionali. Un’Europa che difenda i diritti. Saremo al fianco delle donne iraniane che il 16 settembre torneranno in piazza a un anno dalla barbarica uccisione di MahsaAmini. Continueremo a batterci per la verità e la giustizia su Giulio Regeni e per dire che la ragion di stato non può prevalere sui diritti umani. Vogliamo un’Europa unita – con una voce sola e forte in politica estera, di difesa e di sicurezza comune. Europa democratica – difesa dello stato di diritto. Europa politica progetto federalista. La soluzione non è rinunciare allo spazio europeo, ma riempirlo di democrazia.

 

Destre nazionaliste

Questo in un tempo di crisi, di un modello di società che va ripensato, dove aumentano solitudini e disuguaglianze e l’ascensore sociale rimane bloccato. Noi dobbiamo essere accanto a chi è in difficoltà e ha perso fiducia nel futuro. Confrontandoci con sogni e bisogni, con le insicurezze, le paure, e il comprensibile bisogno di protezione così come col diritto all’emancipazione. Ci batteremo insieme a tutto il Partito socialista europeo per far emergere le contraddizioni dei nazionalisti. A queste ansie, la destra nazionalista di tutta Europa non offre soluzioni ma solo capri espiatori, un nemico al giorno. Che di solito è un diverso, un migrante, una persona lgbtqia+, una donna troppo emancipata, un’ecologista. Perché la destra non vuole risolvere nulla ma al contrario, soffiare sul fuoco, alimentare la paura, mentre a soluzioni stanno a zero. Siamo noi a dover costruire le soluzioni, prendere per mano le persone spaventate, indicare una via di progresso sostenibile, che non lasci indietro nessuno. Perché in solo un anno di governo hanno mostrato il loro vero volto: forte coi deboli e debole coi forti. Fanno la guerra ai poveri anziché alla povertà, vogliono lasciare per strada o per mare le persone più fragili, difendono i grandi interessi corporativi ma smantellano i servizi pubblici. Si possono travestire quanto vogliono ma sono sempre gli stessi, quelli che vogliono dare di più a chi ha già di più, senza curarsi di chi ha di meno perché alla fine pensano che la povertà sia una colpa individuale e invece è una grave responsabilità sociale dovuta a politiche che dobbiamo cambiare. Per questo non accetteremo tentativi di riscrivere la storia. La vicenda De Angelis parla chiaro: la destra non riesce a fare i conti con il passato. Può anche indossare la maschera moderata, ma quando scatta il richiamo della foresta, difende e protegge estremismi e neofascisti. E noi? Ci troveranno sempre dall’altra parte a difendere chi col sacrificio ha costruito e difeso i valori della nostra Costituzione antifascista. Mandiamoglielo insieme un grande abbraccio a una grande donna che oggi compie gli anni. Tanti auguri a Liliana Segre.

 

Estate Militante

Alla Direzione nazionale di giugno abbiamo approvato tutti insieme un’agenda per il Paese fatta di sette campagne intrecciate, non ce n’è una più importante dell’altra, perché tutte insieme riguardano i bisogni concreti delle persone. Vi ringrazio per la serietà con cui vi siete messi al lavoro in tutto il Paese. A breve arriveremo con una bella novità: abbiamo chiesto a tutte le federazioni e i dirigenti di raccontarci le iniziative svolte e quelle che sono in programma, così da realizzare una mappatura sul sito che ci permetterà a colpo d’occhio di sapere quali iniziative il PD programma su tutti i territori e le persone sapranno sempre dove trovarci. Sono già oltre 700 le iniziative dell’estate militante, le federazioni stanno continuando a caricarle, e a queste si sommano le 550 feste dell’unità che abbiamo organizzato, il 20% in più dell’anno scorso, segno di grande vitalità e radicamento del partito.

Abbiamo deciso insieme di chiedere di promuovere incontri sul Pnrr coinvolgendo forze sociali e politiche; abbiamo deciso di riaprire circoli nei luoghi di lavoro; abbiamo deciso di promuovere nei consigli comunali e regionali ordini del giorno contro l’autonomia differenziata; abbiamo deciso di organizzare in ogni provincia iniziative sulla sanità pubblica; abbiamo deciso di raccogliere centinaia di migliaia di firme per il salario minimo. Lo dobbiamo fare perché un partito non è solo una segretaria che parla, come adesso, ma una grande comunità che si muove e si batte per valori e proposte in cui crede.

Lo facciamo per ricordarci chi siamo, da dove veniamo e soprattutto dove vogliamo andare insieme. Al fianco di quell’Italia che fa più fatica. C’è troppa paura di futuro, lo vediamo negli occhi di chi vive la precarietà sulla pelle, lo vediamo in quei giovani che con contratti così precari e salari così bassi fanno la scelta di andare altrove.

 

Lavoro

Per questo, al centro dell’agenda, abbiamo rimesso il Lavoro. E dobbiamo, a questa maggioranza che parla tanto di sicurezza ma mai di sicurezza sul lavoro, chiedere più impegno sulla formazione, sull’assunzione di ispettori per i controlli, sulle nuove tecnologie che possono rendere più sicuri i luoghi di lavoro, perché la strage di Brandizzo e le troppe morti bianche di tutto l’anno richiamano le istituzioni a un’azione urgente. E al Governo chiediamo di investire di più e non tagliare alcun finanziamento destinato a questo scopo, specie nel Pnrr. Non si può continuare a morire di lavoro o di stage. Faremo la nostra parte.

Sono molto felice che siamo riusciti, partendo da 4 proposte diverse, a raggiungerne una unitaria, più forte ed efficace che chiede un salario minimo, che ha costretto il governo Meloni a guardare in faccia 3,5 milioni di lavoratori e lavoratrici che sono poveri anche se lavorano. Il Partito Democratico è quello che sta dicendo che lavoro e povertà non devono più stare nella stessa frase. Questo governo ha fatto tutto per nascondere i poveri, colpirli e lasciarli più soli. Mi è capitato di incontrare alcune cameriere che lavorano in albergo e mi confermano che in questi anni i costi delle stanze che puliscono sono triplicati mentre il loro salario è rimasto a otto euro all’ora. Non c’è sviluppo per il Paese se non riduciamo le diseguaglianze. Siamo una Repubblica fondata sul lavoro, non sullo sfruttamento. La nostra proposta rafforza la contrattazione collettiva perché il salario minimo diventa la retribuzione complessiva prevista dal contratto firmato dalle organizzazioni più rappresentative, per spazzare via i contratti pirata. E fissa una soglia di 9 euro sotto la quale nemmeno la contrattazione possa scendere, perché sotto quella soglia non è lavoro, è sfruttamento, e non deve essere legale.

Continuiamo con la raccolta firme cartacea e online, non voglio far saltare l’internet, ma se tutti rilanciate il sito salariominimosubito.it, diamo un’altra spinta per essere più forti in Parlamento. È una proposta popolare, entra in casa anche di chi ha votato a destra, perché anche chi ha un salario più basso si rende conto che non fa bene all’economia: la sinistra deve cambiare la realtà quando essa produce ingiustizie, siamo qui per questo, il Partito Democratico serve a questo.

Vedete, quello sul salario minimo è stato anche l’esercizio di un metodo di lavoro, per costruire intese sul merito con le altre forze, e non solo sull’essere accomunati dallo stare all’opposizione. Non ci interessano polemiche miopi per esaltare le differenze e piantare bandierine. Con umiltà e determinazione, ho lavorato e lavorerò per aumentare le occasioni di collaborazione e le sinergie con le altre realtà alternative alla destra. Per costruire giorno per giorno, pazientemente, ragionando sulle proposte concrete, un percorso comune. Non pensiamo di risolvere tutti i problemi del lavoro con il salario minimo, dobbiamo pure limitare i contratti a termine che il decreto Meloni ha esteso come i voucher. In Spagna si sono seduti con imprese e sindacati e hanno scelto di ridurli. Guardiamo anche alle difficoltà delle partite IVA e dei professionisti. Dobbiamo abolire gli stage gratuiti, come chiedono i Giovani Democratici, perché con quelli non paghi certo un affitto.

 

Casa

E a proposito di affitto. Un’altra campagna di questi mesi è sul diritto fondamentale alla Casa. Perché il governo Meloni appena insediato ha cancellato 330 milioni di fondo per l’affitto. La destra è passata dal prima gli italiani al fuori tutti. Hanno ragione le studentesse e gli studenti che protestano di fronte ai rincari degli affitti: minare il loro diritto alla casa mina il loro diritto allo studio. Quel fondo va reinserito e triplicato. E servono investimenti sulle case popolari perché anche lì le liste d’attesa sono troppo lunghe. E dobbiamo regolare gli affitti brevi, ma non facendo l’errore della ministra Santanché, che taglia fuori i sindaci. Ci stiamo lavorando proprio con loro e con sindacati, proprietari, associazioni per presentare a ottobre un grande Piano nazionale sulla Casa del Partito democratico.

 

Sanità

Ci apprestiamo a discutere della prossima manovra. E mentre il governo si affanna perché non sa come mantenere le tante promesse elettorali, noi abbiamo ben chiare le priorità per il Paese.

Non accetteremo ulteriori tagli e privatizzazioni della sanità pubblica e universalistica. Difenderemo il Servizio sanitario nazionale nato grazie alla tenacia di una donna come Tina Anselmi, cattolica-democratica ed ex partigiana. È bastato meno di un anno al governo Meloni per invertire la rotta che vedeva finalmente crescere il fondo sanitario nazionale. Quante dichiarazioni ricordate del ministro della Salute? Non è un caso, è un disegno. Perché chi vuole indebolire il pubblico non deve fare nulla, basta stare fermi, e non dare alle regioni le risorse che servono. Significa che Meloni sta già tagliando i servizi ai cittadini.

Non possiamo accettare che vi sia chi vive sperando che la malattia corra meno veloce delle liste d’attesa che si allungano. 45 giorni per una tac urgente anziché 6. Esami non urgenti che non si possono nemmeno prenotare. Mi ha scritto stanotte una donna per dirmi che a sua madre malata oncologica e cardiologica hanno dato un appuntamento nel 2026. Non è accettabile. Come sul salario minimo chiediamo alle altre forze di opposizione di lavorare insieme su alcuni obiettivi comuni: aumento del fondo sanitario, superamento del tetto alle assunzioni perché manca personale, investimento sulla salute mentale, perché ce lo chiedono i giovani, e tanta sanità territoriale per avvicinare la risposta di cura a dove vivono le persone.

E accanto a questo denunciamo che il governo ha approvato le norme su cui avevamo lavorato sulla non autosufficienza, ma senza metterci un euro di servizi. Servono risorse, per non lasciare sole le famiglie, e una legge nazionale sui caregiver perché i loro bisogni non sono gli stessi delle persone di cui si prendono cura. Più inserimento lavorativo, sociale, e percorsi di vita indipendente per le persone con disabilità. E il riscatto di un Paese che invecchia sta non solo nell’allungare la vita ma migliorare la qualità della vita che si allunga, pensando alle persone anziane, alle loro pensioni troppo basse, alle solitudini che le affliggono se manca una risposta di welfare di comunità. Come ci ha insegnato una donna che abbiamo riabbracciato con emozione alle feste dell’Unità, Livia Turco.

 

Autonomia differenziata

Diciamo No al progetto che vuole spaccare ulteriormente un Paese che invece ha bisogno di essere ricucito. Che sul sud rallenta Fsc e taglia progetti, non mette un euro per ridurre i divari, complica le zes centralizzando tutto – senza puntare sugli incentivi. Non c’è riscatto per l’Italia senza riscatto del Sud.

 

Manovra

Una manovra resa difficile anche dall’immobilismo del governo sul sostegno alla crescita, sulle politiche industriali, sull’errore di aver abbandonato il contrasto all’evasione fiscale. Lo vediamo nella riforma fiscale, occasione mancata per interventi di vera redistribuzione. Mance corporative, aiuti agli evasori, tradendo il principio di progressività per cui è giusto che chi ha di più contribuisca di più al benessere collettivo. Per la prossima manovra le nostre priorità saranno la sanità pubblica, il sostegno al potere d’acquisto delle famiglie su cui stiamo presentando le nostre proposte, anche sulla deindicizzazione degli affitti, così come sul caro benzina. Ci sono video di Meloni e Salvini sul caro benzina. Vi invito a vederli, sono pezzi di comicità contemporanea, teatro dell’assurdo. Ora che sono al governo la loro la benzina ha superato i 2 euro.

Indovinate chi paga di più? La classe media, quelli che dicono di volere proteggere. Certo, chiedete a una famiglia italiana se sta meglio o peggio di un anno fa, la risposta la sappiamo tutti. Con l’extragettito IVA si investa per sostenere le fasce più fragili e sul trasporto pubblico locale, visto che il bonus si è esaurito in un paio d’ore. E accanto a questo le misure per la crescita, perché il Pnrr non è un mezzo, ma un fine per realizzare una visione del futuro del Paese. La conversione ecologica non si farà da sola, senza un grande investimento in competenze, innovazione, ricerca. Ha ragione Romano Prodi a dire che dobbiamo costruire le filiere che mancano, come quella sulle batterie e sui chip.

Stiamo incontrando le categorie economiche e sociali sulle proposte di Impresa Domani, per scrivere il Piano Industriale che serve al Paese, per accompagnare l’economia, specie le piccole e medie imprese, ad innovare i propri processi per ridurre gli impatti negativi e migliorare la produttività. Sanità, potere d’acquisto, conversione ecologica e digitale. Ma lo diciamo già da subito. Dopo l’estate militante ci aspetta un autunno di impegno e partecipazione: il Partito Democratico è pronto per queste priorità a scendere in piazza in una grande mobilitazione nazionale. È il nostro tempo. Riprendiamoci il nostro futuro.

 

Scuola e cultura

Ora che si riprende, riprendiamo anche una grande battaglia per la scuola pubblica, come prima grande leva di emancipazione sociale. Vuol dire allungare il tempo pieno, ridurre i numeri in classe, migliorare il sistema di reclutamento, ridare dignità sociale e retribuire meglio gli insegnanti, ascoltare gli studenti affinché compartecipino a definire i propri percorsi educativi. Lavoriamo per un accesso davvero gratuito alla scuola, alle mense scolastiche, ai libri di testo, al trasporto pubblico per gli studenti come si fa qui in Emilia Romagna.

A partire dai nidi, che servono a ridurre i divari dai primi mesi di vita, a conciliare i tempi di vita e lavoro delle famiglie, a sostenere l’occupazione delle donne. Perché il carico di cura grava sproporzionatamente sulle loro spalle, in una società patriarcale come la nostra. E allora investire e dare lavoro in quei servizi libera il tempo di troppe donne che in assenza di quei servizi rinunciano a lavorare, e questo è un danno per loro ma anche per tutta l’economia. Nidi, infrastrutture sociali, e finalmente riportiamo in Parlamento la battaglia per un congedo paritario, pienamente retribuito di almeno tre mesi, non trasferibile tra i genitori. Questo sì che aiuterebbe l’occupazione femminile. Questo sì che aiuterebbe le famiglie, come il Partito ha fatto con l’assegno unico familiare, che dovrebbe essere rafforzato, mentre il governo rischia di spostare altrove le sue risorse. Sempre che questo interessi alla prima premier donna del Paese. Perché, come diceva un’amica e scrittrice le cui parole continueranno a cambiare vite, se serve solo a te non è femminismo. Lo diceva Michela Murgia. Perché una sola non rompe il tetto di cristallo, quando la maggioranza delle donne di questo paese non arrivano nemmeno a vederlo, tanto sono schiacciate dalle discriminazioni. Perché non ci serve una Premier donna se non si batte per migliorare le condizioni di vita di tutte le altre donne del Paese.

A lei mi sono rivolta in questi giorni, dopo mesi di tragiche cronache di stupri e femminicidio, per chiedere che almeno su questo si possa lavorare insieme, perché sulla repressione stiamo lavorando ma non basta. Serve la prevenzione, con un grande investimento sull’educazione alle differenze e all’affettività sin dalle scuole. Per non permettere alla cultura dello stupro di attecchire tra le giovani generazioni. Per sradicare prima che sia troppo tardi l’idea malata del possesso sul corpo delle donne, perché quando non è consenso è sempre reato.

E a proposito di femminicidio, vorrei ricordassimo Maria Chindamo, uccisa dalla Ndrangheta e data in pasto ai maiali perché era una donna libera. Il PD continuerà a battersi contro ogni mafia e criminalità organizzata perché è una malattia infettiva che si infiltra nell’economia legale, si nutre di ricatti e viola la convivenza civile.

Ma lo Stato deve arrivare prima della criminalità. Perché anche su Caivano, sulla violenza dilagante, sul disagio giovanile, non basta la repressione. Non bastano i presidi delle forze dell’ordine se accanto non ci sono presidi sociali, culturali, scuole, insegnanti, educatori di strada, assistenti sociali, psicologi, associazioni e terzo settore. E invece il governo che fa? Con il dimensionamento scolastico rischia di tagliare l’8% delle autonomie scolastiche.

Victor Hugo diceva che chi apre una scuola chiude una prigione. Questo Governo sta aprendo più prigioni e chiudendo le scuole.

E sulla cultura, stanno svuotando il senso del nostro impegno accanto a lavoratrici e lavoratori della cultura per un’indennità di discontinuità che li tuteli e retribuisca nei periodi in cui lavorano ma non sono pagati. Non permettiamo a chi ha sempre detto che con la cultura non si mangia di mangiarsi la cultura e lo spettacolo.

 

Enti Locali

E siccome è un governo campione di scaricabarile, sta scaricando le sue responsabilità sui comuni. Non si capisce che cosa abbiano contro i comuni. Facciamo un grande applauso ai nostri amministratori e amministratrici, primo terminale del bisogno delle persone, senza che dal governo arrivino risorse adeguate. Grazie per il lavoro che fate.

Nella prima Manovra, non hanno messo un euro sugli enti locali. Con una scelta brutale, hanno cancellato l’unico strumento di sostegno contro la povertà, riversando molte persone disperate sui servizi sociali dei Comuni che sono sottofinanziati e su cui il governo non ha messo un euro in più. Sui Comuni hanno scaricato la responsabilità di riconoscere le figlie e i figli delle coppie omogenitoriali che loro continuano a discriminare. Sui Comuni, tentando di scaricare le responsabilità che sono del Governo sulla prima accoglienza: mettano le risorse, convochino i sindaci, ci vuole una regia nazionale sull’accoglienza diffusa.

Ma dopo aver avvelenato il dibattito per dieci anni sull’immigrazione, appena arrivati al Governo si sono dimostrati incapaci di gestire l’accoglienza. Il decreto Meloni, mi rifiuto di chiamarlo Cutro perché serve più rispetto per quei morti, ha due soli obiettivi: rendere più difficili i salvataggi in mare e smantellare l’accoglienza diffusa. Il contrario di ciò che servirebbe. L’accoglienza diffusa garantisce coinvolgimento dei sindaci, trasparenza sui fondi, servizi di inserimento sociale. Ma vi sembra normale che le navi delle Ong, a cui la Guardia costiera più volte ha chiesto supporto nei salvataggi, vengano fermate e multate per aver salvato troppe vite? Cosa dovevano fare con le altre? La solidarietà non è un reato.

La stessa Meloni vola a Varsavia a farsi dire no dal suo alleato polacco sulla solidarietà sull’accoglienza, e anziché battersi esce dicendo che hanno ragione loro. Allora lo facevamo meglio noi, l’interesse nazionale battendoci per cambiare Dublino e perché tutti i Paesi europei facciano la propria parte sull’accoglienza! Basterebbe che ricordasse a Orban che non si possono volere solo i benefici di far parte dell’UE, come i fondi strutturali, senza mai condividere le responsabilità che ne derivano. Così come il Partito Democratico si batterà per cambiare una legge ipocrita che crea irregolarità come la Bossi Fini. Per venire in Italia, ti deve chiamare nel tuo Paese senza conoscerti un datore di lavoro. Servono vie di ingresso regolari e regolate, perché l’irregolarità porta con sé ricattabilità e dumping sociale. A chi conviene? Già perché sono forti coi deboli e deboli coi forti, se la prendono coi migranti irregolari e mai con chi li impiega irregolarmente nei campi e nelle aziende.

 

Diritti

Per noi, la società più sicura è quella più inclusiva, che non marginalizza e discrimina nessuno. Tantomeno le persone LGBTQIA+, per cui continueremo a lottare per una legge contro l’odio e le discriminazioni, per il matrimonio egualitario, per il riconoscimento dei figli e delle figlie delle coppie omogenitoriali. Diritti sociali e civili per noi sono inscindibili. Chi vuol dividerli o fa le classifiche di benaltrismo ha un problema con gli uni o con gli altri, più spesso con tutti e due.

L’Italia merita di più. Perché c’è un’Italia attraversata da energie e fermenti, dal desiderio di reagire di tanti e tante che non si riconoscono nella narrazione chiusa, egoista e rancorosa di chi vuole spacciare per buon senso l’odio e l’intolleranza verso le diversità. Penso a tante voci del terzo settore e del volontariato, dell’attivismo, del sindacato, della cultura, della ricerca, a tanti amministratori locali, che sognano un Paese con lo sguardo aperto al futuro. A chi rimboccandosi le maniche, ogni giorno, nel mondo dell’impresa, del lavoro, della scuola e delle università, o semplicemente nel proprio quartiere cerca di migliorare le cose, dico: venite a darci una mano. Il Partito Democratico, questo Partito Democratico, è casa vostra. Abbiamo spalancato porte e finestre, ma il passo dipende da voi. Dobbiamo proseguire con lo spirito della Costituente e verso le elezioni europee promuovere un grande percorso partecipato che attraversi il Paese e la società per disegnare il progetto per l’Italia e per l’Europa che vogliamo. Abbiamo bisogno di voi.

E accanto a questo dobbiamo lavorare sul Partito, sulle fatiche che fanno i nostri circoli e i segretari, su come attivare l’entusiasmo di chi si è appena iscritto e ravvivare la passione di chi mi ha raccontato che sono 40 anni che serve alle feste dell’Unità. Prepariamoci anche a una grande conferenza sull’organizzazione che possa rafforzare il nostro capillare lavoro sui territori e risolvere i problemi dove ci sono. Ci sono posti dove i circoli vanno riaperti e sostenuti, ci sono posti dove chi arriva trova la porta chiusa e non va bene. Non siamo qui a preservare dei recinti di potere ma a redistribuirlo, quel potere, perché possa generare cambiamento. E per questo partirà una grande scuola di formazione del Partito, accanto al lavoro che farà la fondazione per alimentare il nostro pensiero in aperto confronto con la società, i corpi intermedi, l’università, la ricerca, il terzo settore.

Non pensiamo di farcela da soli, di essere autosufficienti. Ma sappiamo che senza questo Partito, la prima forza d’opposizione nel Paese, non si può costruire l’alternativa al governo più a destra della storia repubblicana. C’è una possibilità di fare politica in modo diverso, noi non siamo interessati a perdere un giorno in polemiche con le altre forze di opposizione sulle nostre differenze, per competere sullo zero virgola nel sondaggio della prossima settimana: a noi interessa rimettere in campo un progetto per l’Italia che ritrovi la fiducia di quel 50% di italiani e italiane che non vanno più a votare, soprattutto tra le fasce di reddito più basse.

Lo abbiamo detto dal primo giorno: vogliamo ritrovare la fiducia del 50% e oltre di persone che non vanno più a votare. La paura, le indecisioni sono normali quando si fanno i primi passi lontani dalle rive sicure. Ma questo PD vuole lasciare la zona di comfort, vuole riconquistare elettori, vuole riavvicinare i giovani. E durante questa Estate Militante ha dimostrato che si può.

Un dato che ci interroga e ci interpella. In quella scelta personale, di rinuncia al voto, vedo un segnale di protesta ma anche una richiesta. È la domanda di una buona politica. Quella politica alta, in grado di coniugare ideali e concretezza, valori e proposte. Capace di indicare un orizzonte diverso, del respiro di quelli che Enrico Berlinguer chiamava “pensieri lunghi”. È in fondo questo, il senso profondo del Partito democratico, la sua missione, la grandezza del suo compito. Restituire speranza, fiducia nella politica. Per riscoprirne la bellezza, e insieme il suo essere lo strumento più alto e più nobile, del quale le persone dispongono, per camminare insieme, per migliorare la vita propria e degli altri, e costruire una società migliore.

In questo senso, anche il Partito Democratico è chiamato a chiedersi se è coerente con il suo primo giorno. Ricordo le parole di Walter Veltroni nell’Assemblea costituente del 2007: “Siamo giunti fin qui: finalmente i democratici, i riformisti italiani, hanno un partito. Una casa comune, grande e nuova. Il sogno che insieme a Romano Prodi abbiamo coltivato per così tanto tempo è diventato realtà.” Ecco, quella realtà si è misurata col mettere insieme le grandi culture politiche del ‘900, quelle figlie del movimento operaio, quelle del cattolicesimo democratico, quelle socialdemocratiche e liberali che si sono intrecciate con quelle che hanno caratterizzato di più il tempo della mia generazione, da quella ecologista a quella femminista, dai movimenti antirazzisti ai quelli per i diritti civili. Certo che la sintesi tra questo insieme di ispirazioni è un lavoro ancora incompiuto e forse di per sé infinito, ma dobbiamo farlo insieme, con l’idea di riconnettere popolo e Stato. Per questo le persone si mettono in fila per firmare per il salario minimo e invece si allontanano se ci vedono dividerci.

 

Partito Democratico

È probabile che io abbia il limite di voler parlare troppo di ogni singolo tema, approfondirlo, delimitarlo nel dettaglio, tradurlo nelle storie delle donne e degli uomini che incontro ogni giorno e che lo spiegherebbero con la loro vita senza dubbio meglio di me. Ma sento la necessità, innanzitutto con me stessa, di far sì che questi non siano semplicemente argomenti da elencare in un intervento o in un programma elettorale ma siano parti del nostro corpo, per le quali sentiamo dolore se vengono maltrattate o abbandonate, perché sono più che nostri, sono noi. E meritano non solo di essere citate in un intervento; molte altre lo avrebbero meritato. Ma noi siamo un grande partito politico: le idee camminano sulle gambe e con le teste delle persone che lo rappresentano, a livello nazionale così come a livello locale. Oggi qui si sono riunite le nostre segretarie e i nostri segretari regionali, provinciali e di circolo; chi si occupa di organizzazione o di risorse economiche e, nei giorni scorsi, per ognuno di questi temi e per molti altri abbiamo animato dibattiti, confronti, approfondimenti. Ci vuole concretezza, come quella dei nostri amministratori e amministratrici che trasformano le nostre idee in politiche che cambiano la vita delle persone. Ci vuole ragione, quella che ci tiene qui una domenica pomeriggio anziché essere altrove, e ci vuole sentimento, e quello non si inventa e non si cala dall’alto ma nasce da noi, e dobbiamo volerci più bene in questo partito.

Dobbiamo essere orgogliosi di non essere un partito personale, né familiare. Questa comunità prosegue, sopravvive sempre al suo leader pro tempore. È raro. E dobbiamo averne cura. Siamo democratici davvero, discutiamo, non siamo sempre d’accordo, l’importante è che ci ascoltiamo e rispettiamo. E che dopo la discussione facciamo sintesi, come l’abbiamo trovata sulle sette campagne dell’estate militante, perché ciascuna di quelle sette sta nelle corde delle culture politiche da cui proveniamo. E dopo aver discusso andiamo fuori uniti e compatti a parlare al Paese, perché questo si aspetta la nostra gente.

Ogni tanto qualcuno ci accusa di aver spostato il partito a sinistra. Francamente non so se ho questa colpa. E non so nemmeno se sia una colpa. Guardate, sembra una battuta ma non lo è: lo dico davvero. Il mio problema non è mai stato e non sarà mai scegliere il punto geometrico della collocazione del partito su immaginari assi cartesiani. Sinceramente queste cose non le capisco e non appassionano. Se proprio volete darmi una responsabilità datemi quella di tentare ogni momento di collocare il partito più in basso: tra le persone che qui ed ora vivono la loro vita, affrontano i loro problemi, coltivano le loro speranze. Persone in carne ed ossa, non statistiche. Solo così noi torneremo a vincere.

Un partito collocato più in basso allora. Ma allo stesso tempo più in alto, capace di pensieri lunghi, come ci ha insegnato Enrico Berlinguer. Capace di salire sulle spalle dei giganti, vivendo appieno il nostro tempo. Mentre il governo Meloni si occupa di cronaca coi decreti spot, noi usciamo dall’ansia della prossima scadenza elettorale e riappropriamoci di una politica che abbia visione lunga ai prossimi vent’anni, e larga a quello che ci circonda.

L’identità politica delle democratiche e dei democratici che stiamo riscrivendo insieme, battaglia per battaglia, è un’idea di Italia non fine a se stessa. Perché il destino del nostro paese e del nostro popolo è in Europa.

Dobbiamo vivere con grande voglia di combattimento le prossime elezioni europee, e con esse le prossime elezioni amministrative, perché saranno entrambe cruciali per il futuro dei nostri territori e insieme del nostro continente.

Le prossime elezioni europee saranno drammaticamente chiare: da una parte ci sarà chi vuole portarci indietro, al tempo dei nazionalismi. E vogliono far piombare in questo pericoloso arretramento anche nobili storie politiche, come quella popolare europea, che hanno dato vita al sogno europeo. Qualcuno ha pensato, forse prematuramente, che l’avanzata di queste forze fosse inarrestabile. Di recente le elezioni in Spagna hanno dimostrato che non è esattamente così. Perché vedete, dall’altra parte ci siamo noi, le forze democratiche, progressiste, riformiste, socialiste europee. E noi vogliamo un’Europa che abbia sempre più al centro i principi di eguaglianza e redistribuzione in un quadro di libertà civili e politiche. Un’ispirazione antica che riguarda la vita concreta di ogni singola europea e di ogni singolo europeo, delle nostre comunità, dei popoli, dei territori, delle singole peculiarità. Allora faccio un solo pronostico perché ne sono profondamente convinta: vinceranno le nostre idee! Torneremo a vincere!

Voglio salutarvi facendomi prendere per mano dalle parole di uno dei giganti che è stato in grado, come dobbiamo esserlo noi, di essere profondamente popolare e allo stesso tempo visionario: “Tempi nuovi si annunciano ed avanzano in fretta come non mai. Il vorticoso succedersi delle rivendicazioni, la sensazione che storture, ingiustizie, zone d’ombra, condizioni d’insufficiente dignità e d’insufficiente potere non siano oltre tollerabili, l’ampliarsi del quadro delle attese e delle speranze all’intera umanità, la visione del diritto degli altri, anche dei più lontani, da tutelare non meno del proprio, il fatto che i giovani, sentendosi ad un punto nodale della storia, non si riconoscano nella società in cui sono e la mettano in crisi, sono tutti segni di grandi cambiamenti e del travaglio doloroso nel quale nasce una nuova umanità”. Sono parole di Aldo Moro.

 

Salutiamo infine il nostro Presidente della Repubblica, Mattarella, custode della nostra Costituzione nata dalla Resistenza e dall’antifascismo.

 

Viva la Repubblica! Viva il Partito Democratico!

 

Grazie a tutte e tutti.

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