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Martella: «Il Veneto è cambiato, se siamo uniti battere Zaia è possibile»

«C’è stata una sproporzione oggettiva tra il clamore dell’attesa mediatica che si è sviluppata attorno alla sua ospitata da Vespa e il merito delle proposte poi avanzate da Renzi in tivù. Tanto rumore per nulla, direi. Il governo va avanti».

 

Andrea Martella, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, quel che tutti si domandano è: per fare cosa?

«Il Paese ha bisogno di stabilità, non di un fastidioso rumore di fondo, di polemiche continue. Lavoro, crescita, sviluppo sono i tre pilastri dell’agenda 2023 che in questi giorni stiamo discutendo ai tavoli del governo e che tutti noi saremo chiamati a realizzare aprendo una fase nuova, con spirito unitario e meno conflittualità».

 

Con quali obiettivi concreti?

«Le proposte del Pd riguardano l’assegno unico universale per le famiglie, l’obbligo scolastico fino a 18 anni, l’aumento dello stipendio degli insegnanti, la riscrittura dei decreti Salvini, gli investimenti nella lotta al dissesto, l’efficientamento energetico, la lotta al coronavirus anche nell’ottica del sostegno alle imprese colpite dalle misure di contenimento della malattia».

 

Non ha citato l’autonomia…

«Che è invece in cima alla lista. A breve il ministro Boccia porterà la legge quadro in Consiglio dei ministri, poi toccherà al parlamento. Vogliamo avviare quanto prima il confronto con la Regione sull’intesa».

 

A proposito di Regione, in vista delle elezioni di maggio il corteggiamento del Pd nei confronti dei centristi darà i risultati sperati?

«Confido prevalga il buonsenso e che Renzi e Calenda ci ripensino. Dobbiamo collaborare, per un motivo molto semplice: da oltre 25 anni il Veneto è governato a senso unico, dobbiamo dare agli elettori il segnale di un’alternativa ugualmente univoca».

 

In che senso?

«Al blocco monolitico rappresentato dal centrodestra a trazione leghista dobbiamo contrapporre un blocco altrettanto solido, che non lasci spazio a piccoli arcipelaghi autoreferenziali. In questo senso ho trovato perfetta la definizione scelta dai sindaci nella loro lettera aperta: ci vuole una “proposta popolare”. E non è un caso che questo appello sia arrivato dal territorio».

 

Il Pd, cedendo la candidatura al civico Arturo Lorenzoni, ha mostrato paura?

«Al contrario, ha dato prova di coraggio, rispondendo a chi ci chiedeva di scegliere e di buttarci subito nella campagna elettorale».

 

Vi siete spostati a sinistra?

«È una lettura sbagliata, ancorata a vecchi schemi, bloccata nel passato. Il Pd, che era, è e rimane un partito di centrosinistra, non rinuncia alla sua vocazione maggioritaria ma ciò non significa “far da sé”, piuttosto aprirsi per parlare alla maggioranza dei cittadini, prendere atto che il Veneto in questi anni è cambiato. Dobbiamo riconnettere il partito alla società».

 

In che modo?

«Uscendo da quella solitudine politica che ci ha caratterizzato negli ultimi tempi. Anche in Veneto stanno emergendo dallo stato carsico fenomeni come il protagonismo dei civici disposti ad assumere un ruolo nelle istituzioni, il movimentiamo di tanti giovani che concepiscono la piazza non solo come luogo di protesta ma come laboratorio di proposta, l’attenzione crescente dell’opinione pubblica per l’ambiente».

 

E dunque con quali parole d’ordine pensate di battere «l’imbattibile Zaia»?

«Siamo consapevoli delle difficoltà ma pensare di aver già perso, come fa qualcuno, è un errore clamoroso. Uno dei temi chiave della campagna elettorale sarà l’ambiente. Poi la sanità, il welfare e l’assistenza: checché ne dica Zaia, i problemi irrisolti sono molti e noi daremo battaglia».

 

E sul fronte economico?

«Il tempo del “Veneto locomotiva d’Italia” è finito, le crisi aziendali si moltiplicano, con ricadute sociali pesantissime e spesso dimenticate. “Piccolo” non è più “bello” e la narrazione leghista, incentrata sul protezionismo, sulla chiusura, ci trascinerà nel baratro. Dobbiamo accompagnare le imprese nei loro percorsi di innovazione, guardando al futuro e non al passato».

 

Lei non pensa che, a prescindere dal merito delle questioni su cui si può dibattere sia il vento della Storia a soffiare in questa fase nelle vele della destra?

«È così. Trump, Brexit, la stessa Emilia Romagna, nonostante la nostra vittoria, dimostrano che viviamo tempi dominati dalla paura, dall’incertezza, dalla solitudine, sentimenti che alimentano un bisogno di protezione cavalcato da sovranisti e populisti con argomenti al limite dell’incitazione all’odio. Ma è un nostro dovere elaborare una proposta diversa, che guardi al futuro con attenzione ma con ottimismo, che si preoccupi di risolvere i problemi, non di alimentarli».

 

Torniamo al partito. Ammetterà che su Lorenzoni avete forzato la mano in direzione…

«Non direi. Il segretario ha portato avanti un percorso di massima condivisione, cercando l’unità fino all’ultimo. Quella sera c’erano tutti gli elementi per decidere, rinviare ancora sarebbe stato incomprensibile per i nostri elettori».

 

Nessuna spaccatura, dunque?

«Contro Lorenzoni, esplicitamente, hanno votato 4 o 5 persone su 4o. Sono convinto che tutti, in ogni caso, abbiano agito avendo a cuore il bene del partito. Rispetto il dibattito interno e la ricchezza di posizioni del Pd ma ora guardiamo avanti e mettiamoci al lavoro al fianco di Lorenzoni. Nessuno escluso».

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