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L’intervento di Dario Corallo


 
Cari Compagni, amici,
vorrei innanzitutto ringraziare il Segretario Martina e il Presidente Orfini per avermi permesso di essere qui oggi, non essendo io membro di questa Assemblea.
 
Il motivo per cui ho chiesto di intervenire è in realtà abbastanza semplice: spiegare a tutti voi, che rappresentate l’organo più alto del Partito, il perché della mia candidatura.
 
Nel momento della fondazione o, meglio, della fusione che diede vita all’attuale Partito, quella tra DS e Margherita, per citare i due principali, si scelse di accostare alla parola “partito” l’aggettivo “democratico”. Questo aggettivo poteva riferirsi a due cose: “che promuove democrazia” oppure “che elegge le proprie cariche democraticamente” al suo interno. Io speravo fosse la prima. Mi accorsi col tempo, tristemente, che non era neanche la seconda.
 
Il nostro Statuto è pensato perché questo partito sia una federazione di più anime che però devono rimanere distinte. Fu pensato perché regolasse i rapporti tra DS e Margherita, evitando che i primi mangiassero i secondi, dati i rapporti di forza all’epoca.
 
Poi col tempo ci si è divisi e ciò che regolava i rapporti tra i due gruppi ha finito per regolare quelli tra decine di gruppetti che oggi chiamiamo correnti.
 
E questo avviene ad ogni livello, perché esistono le correnti con pacchetti di tessere collegate anche al livello locale. Ogni tanto qualcuna delle correnti locali tenta il salto sperando di andare a giocare in serie A. A volte riesce, altre no.
 
Ci hanno provato tutti: veltroniani, renziani, zingarettiani, orfiniani, bersaniani, franceschiniani. Poi si allargano, certo, raccogliendo alcune filiere locali e diventando maggioranza. Gli iscritti in buona fede si fidano di quanto viene loro detto e seguono questo o quello a seconda di come viene loro presentata una certa cosa.
 
Quello che però ignorano è il non detto, fatto di ambizioni personali, paura di rimanere a spasso, la consapevolezza per molti “capetti” di non saper fare nient’altro nella vita. Ma alla base, agli iscritti, questo non veniva detto. Alla base si spacciavano le divisioni tra correnti come grandi questioni ideologiche, ma non è vero nulla.
 
Gli accordi, gli incontri, i patti, i posti da distribuire secondo clientele: tutto rimaneva nel non detto.
 
Il non detto.
 
Già, forse è proprio questa la misura del Partito Democratico: tutta una serie di cose che tutti sappiamo, ma che non si possono dire perché su questo enorme bluff è stato costruito un castello di carte che crollerebbe alla prima folata di vento.
 
E tra tutti i non detti ce ne sta uno che forse è il più grave e il più pesante: il fatto che il Partito Democratico nasce troppo tardi. Questo è il partito perfetto per la seconda repubblica, quella lunga fase dominata dall’illusione che con espedienti tecnici si potessero risolvere problemi politici.
 
Ma il PD nasce nel 2007 quando la seconda repubblica inizia la sua fase discendente. Il Partito Democratico è un Partito che purtroppo nasce vecchio.
All’epoca era più difficile accorgersene. Chi se ne accorse non trovò le parole giuste per dirlo. O forse alcuni non vollero ascoltare.
 
Il risultato è quello che vediamo oggi sotto gli occhi di tutti. Un Paese che è andato avanti per inerzia, una povertà cresciuta sempre di più e alcuni, pochi, ricchi sempre più ricchi.
In questa situazione si è fatta largo una destra che dice che se un italiano sta male, la colpa è di un immigrato che riceve ciò che dovrebbe ricevere l’italiano. La sinistra, cioè noi, qui avrebbe dovuto riscoprire le proprie parole e dire che se un italiano sta male, la colpa non può essere di un immigrato che sta male quanto lui, ma di un’altra persona che sfruttando entrambi ci guadagna.
 
Quello che un tempo avremmo chiamato “esercito di riserva” ha cominciato a lavorare abbassando gli standard minimi, ma la responsabilità non può essere dei singoli lavoratori, ma di chi guadagna sullo sfruttamento.
 
Questo è quello che avremmo dovuto dire. Le nostre parole, invece, sono state diverse: “va tutto bene”. E non era così.
 
Non è così perché lì fuori c’è una generazione, la mia, che è in ginocchio. È disoccupata e se lavora a nero. E quando quelli che lavorano in nero vengono licenziati, non hanno diritto a nulla. Se oggi a un ragazzo viene riconosciuto il NASPI, l’assegno di disoccupazione, questo è un motivo valido per festeggiare.
Per anni siamo stati occupati a raccontare le eccellenze, drogati di quella favola che è la meritocrazia. Mettiamo caso, per un secondo, che in questo Paese esista veramente un sistema meritocratico.
 
“I migliori vanno avanti!” Io voglio un partito che però a questo punto si faccia una domanda: ok, i migliori vanno avanti. Ma tutti gli altri?
 
Perché il punto è proprio questo. I “migliori” sono l’1% della popolazione. La maggior parte di questi ha avuto le possibilità per essere migliore.
 
Quando andavo a scuola io mi lamentavo con mia mamma per il fatto che se ci veniva dato da leggere un romanzo, tutti si presentavano con il libro nuovo e io invece avevo l’edizione vecchia ingiallita. L’ho capito crescendo che quella copia ingiallita in quella libreria enorme che avevo a casa era uno dei simboli della mia fortuna: la possibilità di sciogliere un dubbio, di rispondere a una domanda o anche solo di soddisfare una curiosità. Questo è solo un esempio di quelle “possibilità” che non appartengono a tutti. Il 99% delle persone semplicemente non può “competere” con chi parte avvantaggiato. E noi abbiamo mortificato queste persone, come un Burioni qualsiasi.
 
Non ci rendiamo neanche conto che noi abbiamo elevato a “scienza” vera e assoluta quelle che sono posizioni squisitamente politiche. Spesso di destra.
Nelle università già si parla della fine del capitalismo, mentre il PD lo difende a spada tratta. Difende i mercati pensando che si tratti di un soggetto ultraterreno, dimenticando che invece si tratta di persone ricche che cercano di arricchirsi sempre di più.
 
Difende un’Europa anti-democratica all’interno della quale siamo rappresentanti dal PSE, un partito composto e diretto da quelli considerati troppo scarsi per fare politica nel proprio Paese.
 
Alle prossime elezioni Europee lo vedremo.
 
Questo è, in fondo, un altro non detto di questo congresso. La dico con le parole suggeritemi da un compagno qualche giorno fa: noi stiamo andando ad eleggere il prossimo ex-segretario del Partito.
 
Chiunque verrà eletto, si troverà a dover fare i conti con la sconfitta non solo del partito, non solo dell’intera sinistra, ma probabilmente con l’inizio della fine dell’Unione Europea.
 
Questa crisi dell’Europa non è il frutto soltanto della crisi economica, ma è l’effetto della crisi di un’egemonia. E di queste crisi ne stiamo vedendo tante. Siamo davanti alla crisi dell’Europa a guida franco-tedesca, troppo miope per capire che nel progetto Europeo era necessario coinvolgere il Mediterraneo.
 
Siamo di fronte alla crisi dell’egemonia atlantica? Gli Stati uniti che si chiudono e che ora per questa scelta vengono economicamente premiati, sul lungo termine queste scelte rappresenteranno la loro fine e una definitiva affermazione della Cina come prima potenza mondiale?
 
E la Russia? Rimarrà incastrata tra Europa e Cina e punta alla fine dell’Unione Europea? Io non lo so, ma vorrei almeno un luogo per discuterne.
Ma il Partito Democratico ha rinunciato a cercare di spiegare queste cose, convinto che le persone non potessero capire. Per anni abbiamo detto “è così e basta”, con quell’atteggiamento paternalistico insopportabile tipico del PD.
 
A chi provava a dire qualcosa di diverso, veniva detto “sei come i populisti”, senza accorgersi che spesso dietro parole semplici ci sono anche concetti complessi.
 
Per anni invece da sinistra si è sentito parlare solo di speranza, di coraggio e di volontà, come se le ragioni del disagio generazionale fossero dovute a chi stava male e non all’intero sistema che li circonda.
 
“Devi crederci!” – “Non mollare!” – “il futuro è degli audaci!”.
 
Balle! Come diceva qualcuno, “la verità è sempre concreta.”
 
Il Partito che abbiamo in mente insieme a tutti i ragazzi con cui abbiamo lanciato questa candidatura, è quello che è in grado di ricostruire una nuova idea mettendo in discussione tutto ciò che riteniamo vero. Tutto meno una cosa: che il nostro compito è quello di ottenere l’emancipazione economica di chi sta peggio attraverso l’ottenimento del potere politico. Noi dobbiamo resettare questo PD e costruire un partito nuovo che restituisca il potere a quel 99% che oggi è escluso e che si sente profondamente solo.
 
Si, cari compagni e amici, questa è la cifra della mia generazione: la solitudine e l’emarginazione. Ragazzi costretti a lavorare in condizioni indecenti da un sistema produttivo folle che nessuno studia più. Un sistema economico che fatichiamo a comprendere e che ha innescato una bomba a orologeria che tra non molto esploderà.
 
Occorre equipaggiarsi di strumenti che avevamo e che sono stati dimenticati: un centro studi, una scuola di formazione VERA, con libri e tutto il resto e non con interventi di questo o quel dirigente.
 
Occorre ritrovare chi è uscito da questo Partito, chi non è mai entrato e chi ha deciso di andare in altri partiti. Occorre ritrovarci con i sindacati e insieme a loro ritornare a studiare il presente. Occorre spezzare le catene dell’oppressione e liberare tutti quei lavoratori e quei disoccupati che oggi vivono incastrati nella propria condizione.
 
Concludo raccontandovi una storia molto più comune di quello che pensate. Qualche giorno fa mi ha chiamato un compagno che ha incontrato una sua vecchia amica in treno. Lei oggi fa la capotreno. Ha ottenuto questo lavoro che non le piace, ma si rende conto di stare meglio di molti altri. Lei non trova il coraggio di lasciare quel lavoro, ma allo stesso tempo si rende conto di non essere felice.
 
Neanche immaginate quanti ragazzi oggi si dicono con rassegnazione evidentemente non era destino che io fossi felice”.
 
In questi anni il PD si è preoccupato più della felicità dei mercati che della felicità delle persone. È per questo che, cari dirigenti, avete fallito.
 
Ed è per questo che io, insieme a quelli che voi avete tradito, ci candidiamo a ricostruire il Partito Democratico dalle sue fondamenta.
 
Buona giornata.

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