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Bce – Bollettino Economico

Oggi è anche stato pubblicato il consueto Bollettino mensile della Bce, secondo il quale gli indicatori più recenti di breve termine dalla congiuntura dell’Eurozona «segnalano la prosecuzione di una crescita moderata del pil nei prossimi mesi» e si prevede che «la ripresa dell’attività economica continuerà, con una serie di fattori a sostegno della domanda interna». La Banca centrale spiega che l’effetto delle misure accomodanti di politica monetaria della Bce «continua a trasmettersi all’economia reale, allentando ulteriormente le condizioni di erogazione del credito, e incentivando così maggiori investimenti delle imprese». Il basso livello dei prezzi del petrolio, che ha fatto aumentare il potere di acquisto delle famiglie e la reddività delle imprese, «sta stimolando i consumi privati e gli investimenti». Tuttavia, la ripresa economica «continua a risentire delle deboli prospettive di crescita nei mercati emergenti e dei moderati scambi internazionali».

 

I tassi di inflazione sui dodici mesi (Iapc) nell’area dell’euro dovrebbero mostrare «un aumento significativo nel prossimo futuro». Lo scrive sempre la Bce nel Bollettino mensile, spiegando che «è previsto un incremento dei tassi al volgere dell’anno, soprattutto per gli effetti base connessi al calo delle quotazioni petrolifere alla fine del 2014». Nel corso del 2016 e del 2017 «si prevede un ulteriore incremento dell’inflazione, al quale contribuirebbero le misure di politica monetaria adottate dalla Bce in passato, corroborate da quelle annunciate nel dicembre 2015, l’attesa ripresa economica e la trasmissione di precedenti diminuzioni del tasso di cambio dell’euro». Il Consiglio direttivo della Bce «seguirà con attenzione l’evoluzione dei tassi di inflazione nel prossimo periodo».

 

Il tasso di disoccupazione nell’area dell’euro «rimane elevato e, con l’attuale ritmo a cui si sta riducendo, occorrerà molto tempo prima che si torni ai livelli pre-crisi», scrive ancora la Bce nel Bollettino mensile, aggiungendo che «con circa 7 milioni di persone (5% della forza lavoro) che lavorano attualmente a tempo parziale per mancanza di un’occupazione a tempo pieno e con oltre 6 milioni di lavoratori scoraggiati (coloro che hanno rinunciato a cercare un’occupazione e si sono ritirati dal mercato del lavoro), il mercato del lavoro nell’area dell’euro rimane nettamente più debole di quanto indicato dal solo tasso di disoccupazione». Infatti, mentre il tasso di disoccupazione nell’area dell’euro «è sensibilmente diminuito dalla metà del 2013, parametri più ampi di eccesso di offerta di lavoro, che tengono conto di segmenti della popolazione che devono accontentarsi di un’occupazione a tempo parziale o che si sono ritirati dal mercato del lavoro, rimangono elevate».

 

Analizzando l’andamento dell’occupazione si come in Germania il numero degli occupati è salito quasi ininterrottamente dall’inizio della recessione nel 2008, la Spagna ha registrato continue diminuzioni dei posti di lavoro fino al recente punto di svolta. Di conseguenza, la Germania mostra adesso un’occupazione superiore del 5% ai livelli pre-crisi (seconda soltanto a Lussemburgo e Malta), mentre il dato per la Spagna resta inferiore del 15% al picco toccato prima della crisi, nonostante la forte ripresa osservata di recente. In Francia il numero degli occupati si è portato lievemente al di sopra dei valori pre-crisi, sostenuto in ampia misura dal considerevole aumento dei dipendenti pubblici. Infine, l’Italia dove i livelli occupazionali sono rimasti pressoché invariati.

 

Infine l’afflusso di rifugiati in Europa «dovrebbe incidere sulla posizione di bilancio di alcuni Paesi», prevede la Bce nel Bollettino mensile, spiegando che «le stime dei costi potenziali necessari sono state pubblicate per alcuni Paesi nell’ambito dei documenti programmatici di bilancio per il 2016, ma sono soggette ad elevata incertezza». Per il 2016 vanno dallo 0,35% del Pil in Austria, allo 0,2% in Italia e Germania fino allo 0,1% in Belgio e Slovenia. I costi immediati per le finanze pubbliche dell’afflusso di rifugiati dovrebbero essere rilevanti nei Paesi maggiormente interessati, rileva la Bce, mentre in altri Paesi dell’area dell’euro, attraverso i quali i profughi transitano verso la loro destinazione finale, l’impatto dovrebbe essere modesto. I costi per i conti pubblici, spiega la Bce, derivano principalmente da trasferimenti in contanti ai rifugiati e dalla spesa per i consumi delle amministrazioni pubbliche, inclusi maggiori costi per salari e abitazioni.

 

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