Una delle critiche ricorrenti alla riforma del Senato e del Titolo V, sulla quale gli italiani si esprimeranno il 4 dicembre, è che i futuri senatori non saranno eletti dai cittadini. Il capogruppo del Pd in Senato Luigi Zanda, che nella trincea di Palazzo Madama ha difeso e portato avanti la riforma riuscendo nella non facile impresa di tenere unito il suo partito fino alla fine, respinge con forza questa argomentazione: «I futuri senatori saranno eletti dai cittadini grazie al punto d’incontro trovato in Senato in seconda lettura dice -. Nella nuova costituzione è chiaramente scritto che i consiglieri che andranno a ricoprire anche la carica di senatori saranno eletti dai Consigli regionali “in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi”».
Presidente, i consiglieri-senatori saranno dunque scelti dagli elettori ma si tratta, almeno formalmente, di un’elezione di secondo grado.
«Io non parlerei di elezione di secondo grado. La soluzione che abbiamo trovato per andare incontro non solo alla richiesta di molti parlamentari di maggioranza e di opposizione, ma anche ad una richiesta alta che viene dal Paese, configura un’elezione diretta. Per definirla servirà una legge ordinaria. E il Pd ha deciso che il testo base che verrà sottoposto all’attenzione del Parlamento è quello Fornaro-Chiti, che prevede appunto un’elezione diretta. Possiamo immaginare una scheda con due spazi: una parte l’elettore sceglie il consigliere regionale e dall’altra il consigliere regionale che sarà anche senatore. Il punto politico è che sia la riforma sia il testo base che il Pd presenterà come partito di maggioranza relativa prevedono l’elezione diretta dei futuri senatori».
Perché proprio i consiglieri regionali, oltre a 21 sindaci, andranno a formare la maggior parte del Senato delle Autonomie? Qualcuno dice che si tratta della classe politica meno autorevole del Paese…
«La nostra è una Repubblica organizzata su due autonomie: l’autonomia delle Regioni e l’autonomia dei Comuni. Quella delle Regioni è un’autonomia molto ampia che prevede anche il potere di legiferare. Le Regioni approvano leggi valide all’interno del proprio territorio. Al Senato delle Autonomie, che è anche un luogo di compensazione politica dei diversi livelli di legislazione all’interno della Repubblica, arriviamo con 45 anni di ritardo. Avremmo dovuto fare questa riforma nel197o, quando sono state istituite le Regioni. Quanto alla qualità della classe politica regionale, io dico che la gran parte dei consiglieri sono persone di valore e di specchiata moralità. Non è giusto che per gli errori e le mancanze di qualcuno di loro si giudichi tutta un’intera categoria di amministratori».
E ce la faranno, i consiglieri senatori, a fare il doppio lavoro?
«Il doppio lavoro? Lo considero una ricchezza. In Francia alcuni importanti parlamentari sono o sono stati sindaci delle loro città e questo arricchisce il loro contributo politico nel Parlamento».
Perché l’immunità ai consiglieri-senatori, visto che non è prevista per i semplici consiglieri?
«Il Senato delle Autonomie mantiene in alcuni casi, ad esempio per le modifiche costituzionali, lo stesso potere legislativo della Camera ed elegge in seduta comune il Presidente della Repubblica. L’immunità è stata prevista dai nostri padri costituenti a salvaguardia del principio della separazione dei poteri e rispetto al ’48 è notevolmente ridotta, limitandosi di fatto all’autorizzazione per l’arresto preventivo. Al Parlamento deve essere garantita l’autonomia, così come al potere giudiziaro o deve essere garantita l’indipendenza».