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Zanda: “Impossibile governare con M5S”

«Martina sta facendo bene, può tenere insieme il partito dice al Corriere Luigi Zanda, capogruppo uscente del Pd al Senato -. Impossibile governare con i Cinque Stelle».
 

Zanda, lei quarant’anni fa in questi stessi giorni era il portavoce di Cossiga.

 
«Furono giorni terribili. A Cossiga vennero i capelli bianchi. A me impazzì la pressione del sangue».
 

Quale lezione ha tratto dal caso Moro?

 
«La democrazia italiana sconfisse il terrorismo senza bisogno di leggi speciali, grazie alla cultura politica. I grandi partiti si parlavano. Era una cultura che Moro aveva forgiato, e che gli sopravvisse. Dovremmo ritrovarla, oggi. E Moro nel 1976 aveva detto che nella stagione dei diritti statuto dei lavoratori, diritto di famiglia, divorzio, aborto doveva maturare un nuovo senso del dovere».
 

Qual è il dovere per i politici di oggi?

 
«Veniamo da una stagione proficua per i diritti: unioni civili, fine vita, divorzio breve. La stagione dei doveri invece è in una fase di debolezza. La crisi delle democrazie è drammatica: nuovi media e intelligenza artificiale manipolano le elezioni; in Francia arrestano l’ex capo dello Stato, la Spagna rischia la secessione, in Italia vincono le forze antisistema».
 

Si discute della possibilità di un governo Pd-Cinque Stelle. Lei cosa ne pensa?

 
«I Cinque Stelle credo di conoscerli bene, dopo una legislatura da capogruppo pd al Senato. Ci siamo contrastati in modo duro ma rispettoso. Da loro però ci separano differenze di fondo».
 

Su cosa?

 
«La visione internazionale: loro hanno una dichiarata simpatia per il modello Putin, che non è certo il nostro. La concezione della democrazia: loro sono per la democrazia dei clic, noi per quella rappresentativa. L’idea di partito: loro sono un’emanazione della Casaleggio&Associati, noi vorremmo una legge per applicare l’articolo 49 della Costituzione che impone ai partiti la democrazia interna. Il rapporto con l’Unione europea: noi la vorremmo più integrata, loro sono nazionalisti. Il bilancio dello Stato: per noi è fondamentale l’equilibrio tra entrate e uscite, per loro no».
 

Non potete governare insieme, quindi?

 
«Mi pare evidente».
 

Quale governo si farà?

 
«Probabilmente un accordo tra estremisti: Cinque Stelle e Lega, forse seguita da Forza Italia. Anche se non farà certo il bene del Paese».
 

Esclude un governo del presidente?

 
«È un’espressione che mi dà fastidio. Se vuol dire che i partiti devono rispettare le indicazioni del presidente della Repubblica, è un’ovvietà. Altrimenti è una definizione vuota e priva di senso».
 

Un governo di tutti, o di chi ci sta, per fare le riforme.

 
«Mi pare una congettura molto vaga, di cui nessuno sa se, quando e come si realizzerà».
 

Intanto il centrodestra annuncia di fatto un accordo con i Cinque Stelle sui presidenti di Camera e Senato.

 
«Mi pare abbiano già deciso tutto. Un tempo vigeva la consuetudine di dare la presidenza di una delle due Camere all’opposizione. Poi nel ’94 la destra fece l’en plein, imitata nel ’96 e anche dopo dal centrosinistra. A me piaceva più il vecchio sistema».
 

Tradotto, significa una Camera per il Pd?

 
«Non ho assolutamente detto questo. Dico che è una questione non collegata con la formazione del governo».
 

Lei potrebbe rifare il capogruppo del Partito democratico al Senato?

 
«Per cinque anni mi sono speso per sostenere i tre governi, far concludere la legislatura, tenere unito il gruppo del Pd. Ora escludo in modo categorico di rifare il capogruppo».
 

Chi sarà il suo successore? Marcucci?

 
«Marcucci è un ottimo senatore, che può avere anche cariche istituzionali».
 

Vicepresidente del Senato anziché capogruppo?

 
«Per i nostri capigruppo di Camera e Senato, e per le eventuali cariche istituzionali spettanti al Pd, è necessario trovare un serio equilibrio politico nel partito. Non è pensabile che i due capigruppo rappresentino solo l’anima renziana del Pd. Lo stesso varrebbe per qualsiasi altra componente. Berlinguer diceva che non si governa un Paese con il 51%; vale anche per i gruppi parlamentari, soprattutto oggi perché il Pd non si può permettere spaccature. È il momento dell’unità vera e condivisa».
 

Lei è stato il primo, quando Renzi si è dimesso tentando di prendere tempo, a dargli contro dicendogli di andarsene subito. Perché?

 
«Perché le dimissioni sono un atto importante, nella vita delle persone e delle comunità. Non si minacciano, non si annunciano, non si ritirano mai: si danno e basta. Alla fine se ne è reso conto anche lui. La politica è come il teatro: i due momenti fondamentali e difficili sono l’entrata in scena e l’uscita».
 

Renzi farà il suo partito?

 
«Lo escludo. In fondo, a un partito di cui sei stato un importante leader resti legato da un sentimento. E poi Renzi è intelligente, ha capito che più si è uniti più si vince; e le piccole costole nate da un partito hanno sempre raccolto poco».
 

Il nuovo segretario sarà eletto dall’assemblea o scelto con le primarie?

 
«Le cariche di partito secondo me andrebbero decise dagli iscritti; le candidature alla guida del governo con una consultazione aperta».
 

Chi sarà il nuovo segretario?

 
«Restiamo all’oggi. Martina sta facendo molto bene il reggente, è attento alle relazioni umane, ha impostato una gestione aperta a tutti. E viene da quel profondo Nord che dobbiamo riconquistare, come il profondo Sud. Può tenere insieme il partito».

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