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Viotti: “Il governo coi M5S non si può fare ma almeno costruiamo un dialogo”

«Penso che dobbiamo analizzare non quello che è successo il 4 marzo, ma quello che è accadutonegli ultimi 10 anni. Il problema non è stato solo Renzi, ma una serie di classi dirigenti, che ci hanno portato a perdere nel 2008, a non vincere nel 2013 e a perdere adesso. Il partito è al lumicino. Sono rimaste le macerie di politiche, di voti e di bilanci». Daniele Viotti, europarlamentare piemontese del Pd, ex civatiano, unito civilmente col regista Daniele Salaris, sabato è stato tra i protagonisti della manifestazione “Sinistra anno zero” col giovane vicepresidente dello Svimez, Peppe Provenzano, e un gruppo di dirigenti più o meno “storici”: Emanuele Macaluso, Ugo Sposetti, Andrea Orlando, Gianni Cuperlo….

Cos’è “Sinistra anno zero”?

«Una brancat d’amis, un gruppo di amici, come si direbbe dalle mie parti. Con gente non solo del Pd, ma anche di Articolo 1-Mdp, della società civile».

Lei o Provenzano vi candidate segretari?

«Ma no! Si tratta di una cosa orizzontale, nata per provare a costruire un’idea di sinistra completamente nuova».

Come?

«La cosa principale è ridisegnare il modello di welfare europeo. Tre parole d’ordine: un mercato del lavoro che privilegi i contratti a tempo indeterminato e non precari; il problema casa; il potenziamento del Reddito di inclusione. La parola futuro oggi è vuota. Il problema è il presente».

Il Jobs act va cancellato?

«No, si dovrebbe aggiustare. L’articolo 18 è un feticcio, serve una risposta concreta rispetto alla stabilizzazione del lavoro».

Il Pd si deve sdoppiare?

«Assolutamente no. Io sono stato per 24 anni nei partiti di sinistra, sempre in minoranza, tranne quando Fassino decise di entrare nel Pd. Non torno indietro».

Serve un congresso subito?

«Serve un lungo periodo di ricostruzione anche dei rapporti umani che non può passare da un congresso lampo».

Martina (che era da voi sabato) può essere il segretario che guida questo percorso?

«Martina può andare bene se garantisce che questo si può fare. Serve almeno un anno per ricostruire la piattaforma politica che decida chi rappresentiamo».

Provenzano ha attaccato Lotti, chiedendosi che curriculum abbia.

«Condivido molto la questione del curriculum: aver preso in giro il tesoriere M5s che ha la terza media lo trovo odioso».

Lei sarebbe d’accordo a un governo Pd – M5S?

«Non credo ci siano le condizioni. Io sento ancora le ferite sulla pelle del tradimento del M5S sulla legge Cirinnà, quando all’ultimo minuto non votarono la stepchild adoption. Senza nulla togliere ai nostri problemi interni».

Va bene la linea di Renzi?

«Dal sostenere un governo coi M5S all’Aventino cene sono di opzioni. Ci sono 3 o 4 priorità da cui possiamo partire. Non credo che quella di Di Maio sia un’apertura vera, ma ciò non ci deve impedire di discutere. È un’opposizione inutile anche a noi, se non diciamo quali sono i punti di differenza. Se convinciamo M5S che il reddito di cittadinanza non si può fare, ma si può ampliare la base che ha diritto al Rei, sarà un nostro successo».

È d’accordo con l’idea che circola nel Pd che bisogna uscire dal Pse e fare delle liste con Macron?

«È una sciocchezza. Da Bruxelles a Ventimiglia non c’è un solo fatto che dimostri l’europeismo di Macron. Ci siamo iscritti al Pse 4 anni fa e non abbiamo portato una sola idea, non fosse altro perché non partecipavamo alle riunioni. Un conto è ragionare su eventuali alleanze post-elettorali, un conto sciogliere un partito per un innamoramento fugace verso Macron. Sono le voglie di Gozi. E poi Macron è uno che ha fatto un percorso apolitico e apartitico».

Non è la politica del futuro?

«Il rassemblement intorno a un leader può essere la politica del presente, non del futuro. Quando usciremo da questa marea populista di destra e di sinistra nella quale ci siamo infilati tutti, torneranno a esserci partiti in cui i valori, gli ideali, la prospettiva politica e la partecipazione ridiventeranno protagonisti».

Per ripartire sarebbe bene che Renzi uscisse dal Pd?

«Io spero che rimanga. In questo partito bisogna imparare a stare in minoranza come in maggioranza. Renzi è stato capace di fare la minoranza e non la maggioranza, gli altri, a partire da quelli che se ne sono andati, di fare la maggioranza ma non la minoranza».

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