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Verini: “Stop alle correnti e giù dall’Aventino altrimenti rischiamo l’irrilevanza”

«Non è il momento dei silenzi, né delle manovre correntizie. Il Pd deve bergoglizzarsi o rischia l’irrilevanza». Walter Verini, deputato, veltroniano storico, è amareggiato dall’epilogo della vicenda delle presidenze parlamentari: «Abbiamo perso un’occasione».
 

Secondo lei, il Pd avrebbe potuto sparigliare. Perché non ha osato?

 
«Da un lato il Pd era paralizzato dal mantra “tocca a loro”, la cui rigidità è del tutto inaccettabile e sbagliata. Dall’altro lato, coloro che volevano intavolare un confronto, volontà da me condivisa, si sono fermati sulla richiesta di figure di garanzia. Sacrosanto: ma quando Lega, Fi e M5S non hanno risposto, sono rimasti a guardare».
 

Che cosa avrebbero potuto fare di diverso?

 
«Venerdì, quando le contraddizioni tra Salvini e Berlusconi erano deflagrate, il Pd avrebbe potuto obiettare che aveva proposto un dialogo istituzionale sul quale erano stati incapaci di seguirli e che a quel punto suggeriva una personalità condivisa: Emma Bonino. Un nome di spessore istituzionale, indipendenza ed esperienza».
 

Insomma, il Pd non ha fatto il passo successivo.

 
«È mancata la proposta. Se voleva incidere, pur dall’opposizione, avrebbe dovuto fare politica. Si sarebbe aperta una discussione nei Cinquestelle che avrebbero dovuto decidere se accettare o meno l’accordo con Forza Italia. E anche se alla fine avessero risposto picche, il Paese avrebbe visto un Pd che pur dall’angolo dava segni di vitalità».
 

Adesso comincia la partita del governo. C’è modo di giocarla?

 
«La partita istituzionale purtroppo si è chiusa con un Pd irrilevante. In quella governativa, la palla non è nostra: tocca al Quirinale e, correttamente, spetterà a chi dice di aver vinto indicare la strada, mentre noi la valuteremo. È anche una questione di rispetto del voto».
 

Non serve comunque una strategia?

 
«Il Pd ha votato in direzione un documento che dice due cose. La prima: siamo all’opposizione, che certo non è un dato ontologico ma ha un senso chiaro. Tocca agli altri mostrare se hanno filo da tessere. La seconda cosa, però, è che il Pd non farà mancare il suo appoggio a Mattarella nell’interesse del Paese».
 

Colpisce il silenzio dei big del partito: Franceschini, Cuperlo, Orlando, Minniti, Delrio.

 
«Il partito è ferito, colpito, spaventato. Ma questo non ci esime dal reagire: sia pure da una condizione di minoranza, non dobbiamo essere minoritari».
 

Lei nel blog su HuffingtonPost mette in guardia da rancori, miopie e manovre correntizie. Ne vede?

 
«Rispondo per me: non è il momento di manovre, calcoli o interessi. Oggi è il momento di cercare tutti insieme di risollevare un progetto, quello del Pd, ancora valido ma colpito profondamente».
 

C’è fibrillazione sui prossimi capigruppo. L’unico a uscire allo scoperto, chiedendo che non siano entrambi renziani, è stato Luigi Zanda. È un tema per il Pd?

 
«Personalmente mi auguro che tutti insieme si scelgano due capigruppo autorevoli, autonomi, che rispondano ai gruppi parlamentari e a se stessi ma non alle correnti».
 

Il tempo è un fattore cruciale, come ha mostrato il blitz di Salvini e Di Maio. Il Pd può affidarsi alla reggenza di Martina o serve un leader eletto dal congresso?

 
«Il nostro problema non è contarci e un voto sui nomi non rappresenta la soluzione. Sarebbe illusorio pensarlo. Abbiamo ma lunga traversata da compiere per costruire davvero un partito aperto che viva ogni giorno nella società, che si occupi di chi non ce la fa, che provi a tradurre i bisogni in risposte politiche. Bisogna farsi popolo, come disse Veltroni al Lingotto, e non ceto politico come siamo diventati. Il Pd deve bergoglizzarsi, ora più che mai».

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