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Verini: “Il PD non licenzia nessuno”

Onorevole Walter Verini, da un mese è il nuovo tesoriere del Pd. Anzitutto, chi glielo ha fatto fare?

La proposta del segretario Nicola Zingaretti è un segno di fiducia. Onestamente, conoscendo le difficoltà finanziarie che il Pd sta attraversando, non me la sentivo di dire di no. Arrivo dopo la gestione seria, ordinata e lungimirante di Luigi Zanda. E’ lui ad aver elaborato un piano triennale di risanamento che si concluderà nel 2022 e che lascia intravvedere la luce. Non dico la fine dei problemi, ma un partito che sta in piedi e si sostiene da solo.

Un obiettivo che farebbe tremare le vene ai polsi a chiunque: non c’è un partito in Italia che non tagli gli organici, riduca gli affitti, chiuda i giornali, soffra il calo del tesseramento, faccia stalking ai parlamentari per farsi versare le quote…

Il percorso per rimettere in carreggiata il Pd passa per due gambe: le entrate legate al 2×1000 e i contributi di parlamentari ed eletti locali. Il tesseramento, invece, sostiene in buona parte i territori. Poi dobbiamo ridurre le spese fisse e raccogliere fondi in modo trasparente.

Qualche dato sul 2020?

E’ presto. Il tesseramento di quest’anno si è aperto a giugno a causa del lockdown. Anche molte scadenze fiscali sono state rinviate, e avremo un quadro del 2×1000 soltanto a fine settembre. Però ci aspettiamo numeri in linea con l’anno scorso, quando si è registrato un aumento significativo, dovuto sia al fatto di essere forza responsabile di governo che a una leadership collegiale dove il “noi” prevale sull’”io”.

Traduzione: andato via Matteo Renzi, i versamenti dei cittadini sono aumentati?

No, voglio dire che nel 2018 ci chiedevamo: sopravviverà il Pd? Avevamo preso il 18% alle elezioni politiche e pochi mesi dopo i sondaggi ci accreditavano del 15%. Adesso, non solo il Pd è sopravvissuto, ma con tutti i suoi problemi è il perno di un campo europeista e l’architrave del sistema democratico”.

Il primo nodo è quello dei dipendenti. Ne avete circa 140, tutti in cassa integrazione da tempo. Dopo il coronavirus sarà un autunno difficile per tutti. Che prospettive vede per loro?

Rimarranno in cassa integrazione. E’ un sacrificio pesante per i lavoratori, che ringrazio. Non li considero dipendenti, ma militanti, dirigenti, funzionari di partito. Tuttavia, nel dialogo con le loro rappresentanze, lavoriamo a un alleggerimento del carico degli organici.

Alleggerimento si legge licenziamenti?

No. Faremo ricorso a strumenti diversi, incentivi e niente turn over per pensionamenti, ma nessuno verrà licenziato.

Questo è un anno quasi senza feste dell’Unità. Quella nazionale è in programma a Modena dal 26 settembre, salvo ordinanze restrittive anti-coronavirus. Ma in giro poche altre. Sarà un colpo per le casse Dem?

Ne stiamo facendo di piccole e diffuse. Senza il tradizionale “villaggio” ma con dibattiti a distanziamento sociale o in remoto. Cento persone in piazza, mille in streaming.

Che tristezza…

É lo sforzo di mantenere una presenza politica capillare. Di feste se ne faranno, anche provinciali. Certo, non facciamo fund raising. Non ci aspettiamo le solite entrate di ristoranti e concerti. Ma in sei regioni si vota, e a settembre ci sarà il referendum sul taglio dei parlamentari. Credo che la gente abbia voglia di discutere di dove va il Paese.

Lei siede su una poltrona cruciale, che fu di Ugo Sposetti prima della fusione che ha fatto nascere il Pd. Primi passi?

Una campagna per convincere gli elettori a investire in modo trasparente nel Pd come partito che aiuta il rilancio dell’Italia e difende l’Europa. Quando il Pd è nato, con Walter Veltroni segretario e Mauro Agostini tesoriere, è stato il primo partito europeo a farsi certificare il bilancio da una società indipendente. Ora che non c’è più il finanziamento pubblico ai partiti, il tema è stare vicini agli elettori. Discutere è sano, viceversa – come ha detto Zingaretti – se prevale il correntismo esasperato sarà la fine. Più saremo partito aperto e credibile, più sarà facile anche l’autofinanziamento trasparente.

Tra le discussioni nel Pd c’è anche quella dell’alleanza a livello regionale e comunale con il M5S. Può davvero funzionare?

Non basta unire le sigle, non è un contratto come quello che stipularono Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Durante la pandemia il premier Conte, Paolo Gentiloni alla commissione Europea, David Sassoli all’Europarlamento, i ministri Gualtieri e Amendola, hanno dato una risposta europeista. Se al loro posto ci fossero stati Lega e FdI sarebbe stato un disastro. E’ il momento di unire le forze europeiste superando i primitivismi da “impero del male” contro “cialtroni”. Se governiamo insieme l’Italia, a maggior ragione dobbiamo farlo anche a livello locale.

Significa che i romani si troveranno Virginia Raggi candidata unica?

A Roma non ci sono le condizioni a causa dell’esperienza molto negativa che la Raggi si porta dietro. Per il Pd è impossibile appoggiarne la ricandidatura visto il giudizio dei cittadini che coincide con il nostro. Sarebbe meglio, come ha suggerito anche il vicesindaco Luca Bergamo, mettere da parte candidature divisive per individuare programmi e candidati comuni. Per contro, la sua corsa preclude il dialogo.

Come voterà al referendum di settembre?

Voterò Sì in modo convinto. Sapendo che è un primo passo, a cui devono prima o poi seguire la fine del bicameralismo perfetto, la modifica dei regolamenti parlamentari e una nuova legge elettorale.

La pensa come Goffredo Bettini: senza il proporzionale questa riforma è pericolosa?

No. Ho sempre preferito il maggioritario, e l’ho detto in direzione e al gruppo, ma su questi temi se si è in minoranza è giusto seguire la linea del partito. Non c’è l’obiezione di coscienza. E dopo l’ennesimo voltafaccia di Renzi, Zingaretti ha detto: discutiamo a tutto campo. Su un punto però dobbiamo tutti dare garanzie: il voto dei cittadini va rispettato.

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