La lettera di Walter Veltroni al direttore del Corriere della Sera
“Più vicini”. Se fosse questa la lezione da trarre dopo questo incubo? Non tornerà tutto come prima, dobbiamo saperlo. L’organizzazione sociale dovrà mutare e con essa i nostri comportamenti individuali e collettivi. Non solo per la difesa dalla pandemia, la cui minaccia a un certo punto sarà ricondotta ad una misura accettabile, ma per i mutamenti radicali che questa ci ha costretto già oggi a introdurre e che, almeno fino a un nuovo auspicabile boom economico, saranno il nostro, per obbligo o scelta, nuovo modo di vivere.
Il vero ripensamento del tempo che ci attende, un paradosso della società globalizzata, forse è proprio quello di vivere localmente senza rinunciare a pensare globalmente. La crisi che stiamo vivendo ci sta insegnando che molti cambiamenti di abitudine, seppure indotti forzatamente, sono possibili.
Si è imparato a lavorare da casa, ad usare la rete non solo per mandarsi messaggi ma per riunirsi, discutere, produrre e persino per decidere le sorti delle nazioni. Abbiamo scoperto il vantaggio di una rete commerciale di quartiere fatta di piccoli negozi che corrisponda ai nostri desideri di consumo senza imporci spostamenti che ora ci appaiono in tutta la loro inutilità. Sentiamo il bisogno che la rete sanitaria sia più prossima al luogo dove viviamo: ospedali solo per cure specialistiche e una rete di medicina di base che filtri e accompagni il malato. Il consumo culturale dovrà vivere di attività radicate nel territorio.
Le scuole aperte il pomeriggio potranno facilitare la socializzazione e la formazione permanente. Gli uffici della burocrazia dovrebbero essere diffusi in ogni quartiere delle grandi città e in ogni piccolo centro. Quello che ciò costerà verrà risparmiato in oneri dei trasporti e in inquinamento.
Le nostre città con l‘aria pulita e il silenzio nelle strade ci fanno capire oggi che si possono limitare gli spostamenti inutili senza comprimere, anzi agevolando, la mobilità di un nuovo modo di vivere che deve trovare tutto vicino per poter andare ovunque. Dio ci scampi dall’idea passatista e retrograda di un mondo bonsai, chiuso nei confini di ciò che è vicino.
Dobbiamo riconquistare tempo e qualità della vita, non più buttare via una quantità assurda di ore della nostra esistenza per fare cose che possiamo fare da casa o nel quartiere.
In Italia è stato calcolato che si sprechino circa due ore al giorno per muoversi. Più che nel resto d’Europa. Servizi ravvicinati e rafforzamento del telelelavoro consentiranno di recuperare tempo e, a chi si deve spostare per forza – le attività manifatturiere di viaggiare meglio. E quindi, in definitiva, di recuperare anch’essi spazi di vita. Per questo, non bastasse il dramma delle famiglie, lo Stato deve assolutamente debellare il rischio di chiusura della rete di bar, ristoranti, negozi, teatri, piccole attività artigianali e produttive, cinema, librerie che costituiscono il tessuto vitale, in ogni quartiere e in ogni comune, di un paese che si deve immaginare presto fuori da questa notte scura.
Anche la democrazia si dovrà avvicinare di più alla vita dei cittadini. I grandi comuni dovranno aprire uffici di quartiere e anche i luoghi del formarsi delle decisioni dovranno essere più «corti». Una nuova idea di democrazia. Fondata sulla sussidiarietà e sull’attiva partecipazione di ciascuno. Diffondere la responsabilità civile significa coinvolgere e responsabilizzare un’opinione pubblica che rischia altrimenti di essere resa idrofoba dalle lentezze, le furbizie, le imperscrutabili dinamiche degli interessi di parte che imbrigliano la capacità di decisione di chi governa e corrode al fondo la bellezza della democrazia stessa. Ma neanche la semplificazione populista, come dimostrano catastroficamente il Brasile di Bolsonaro e l’America di Trump, riesce a governare situazioni complesse.
Ci vuole una politica rigenerata da una partecipazione responsabile diffusa.
L’opinione pubblica non può essere relegata nei recinti dei tweet rabbiosi e dell’attesa passiva di decisioni che non vengono. Le istituzioni devono passare dalla melassa del consociativismo a un nuovo equilibrio bilanciato, in cui chi governa ha più potere e chi controlla ha più potere.
Ora in Italia c’è bisogno di lavoro.
Il lavoro lo fa l’impresa. Lo Stato sostiene e promuove e, per parte sua, investe sulle grandi infrastrutture. E poi aiuta i cittadini, semplificando le procedure, avvicinando i servizi, restituendo tempo di vita. «Più vicini». Perché ciò che c’è di più lontano dalla vita dei cittadini è la dittatura di un uomo solo. «Più vicini», per vivere meglio e per garantire le nostra libertà.