In questo anno sono andati via Umberto Eco, Ettore Scola, Carlo Azeglio Ciampi. Se l’Italia avesse le lacrime avrebbe tutto il diritto di piangere. E il nostro paese ha diritto, guardando il panorama culturale e politico, di sentirsi più povero. Ha perso le parole di queste persone intelligenti. Ha perso il loro stile, la loro eleganza, la moralità di uomini che hanno fatto grande il nostro nome nel mondo. Ha perso, non è cosa da poco, il loro sorriso, il loro senso dell’umorismo, la loro curiosità. Ma erano figli di questo grande paese e, fatemelo dire, solo l’Italia – con la sua storia , il suo talento, il suo dolore – poteva generare persone così.
Sono stati figli di una grandezza culturale e di un dna nazionale fatto di talento e competenza. Ogni italiano sa quello che Carlo Azeglio Ciampi ha fatto per il paese. Quando, soldato, difendeva la patria mentre i potenti se la davano a gambe. Quando, da Governatore della Banca d’Italia, contribuì a salvare la lira e l’economia italiana. Quando accettò il passaggio a compiti politico istituzionali, da presidente del consiglio nell’Italia terremotata del post Tangentopoli, capace di definire, con la concertazione, una nuova politica dei redditi.
Poi quando fu ministro dell’economia del governo Prodi e protagonista della difficile sterzata della finanza pubblica, operata secondo principi di equità sociale e di sostegno espansivo a ciò che, come la cultura, era segno forte e unico dell’identità italiana. Fino al tempo della sua presidenza della Repubblica, quando fronteggiò con grande saggezza una situazione politica difficile.
Ciampi, con la sua mitezza forte, fece una grande rivoluzione culturale, accompagnò gli italiani nella riscoperta della parola «Patria». La parola che avevano sulle labbra i protagonisti e i martiri della Resistenza, la parola che, per ragioni ideologiche, era sparita dal tempo successivo nel quale, per combattere il nazionalismo, si smise di considerare il valore della nazione e della sua identità. Ciampi era un italiano orgoglioso di esserlo, un maestro di «Italia» per gli italiani e, al tempo stesso, un convinto europeista.
L’Europa vera, quella che era negli auspici del manifesto di Ventotene, quella sognata nel fuoco di una guerra che insanguinava il continente. Ciampi era espressione, a suo modo, di una cultura azionista, purtroppo mai maggioritaria nel nostro Paese. Quella cultura che faceva del rispetto delle regole, dell’etica pubblica, della prevalenza dell’interesse generale su quello di parte il suo fulcro centrale.
Carlo Azeglio Ciampi che, insieme a Prodi, accompagnò il nostro paese all’appuntamento dell’euro che, prima del governo dell’Ulivo, sembrava una chimera o una pia illusione ha dimostrato che si possono avere, nella vita, più identità.
Si può rivendicare, con la stessa forza, di essere figli della storia, dalla cultura e del talento italiano e di appartenere alla civiltà europea, alla cultura della libertà e della democrazia che questo continente, al prezzo del suo sangue, ha affermato come sua forma di convivenza.
Uomo onesto e competente, innamorato delle istituzioni e della verità, Ciampi è stato davvero un grande italiano. Ed era, non per caso, un uomo ricco di curiosità e dolcezza.
Mi parve di capirlo la prima volta che entrai nella sua casa e vidi il rapporto speciale che aveva con Franca, la cui intelligenza e il cui umorismo sono stati cemento per la splendida vita d’amore e di solidarietà che loro due hanno trascorso, sempre insieme. Non abbiamo mai smesso di sentirci e lui, pur con le difficoltà della sua età, non ha mai smesso di esserci.
Ora a me, come a tutti gli italiani, mancherà. Ma possiamo, come figli col padre, essere davvero fieri di lui.