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Un anno dopo, per Giulia, per tutte: non smettiamo di fare rumore
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È passato un anno intero dal barbaro omicidio, che oggi sappiamo essere stato premeditato, preparato, studiato nei minimi dettagli, di Giulia Cecchettin.
Un anno in cui nel nostro Paese quasi altre 100 donne di tutte le età (alcune ancora bambine) sono state uccise da “figli sani del patriarcato”, che hanno creduto di avere diritto di vita e di morte sulle bambine/ragazze/donne che dicevano di amare e pensavano di possedere.

Un anno in cui, grazie alla forza, al coraggio, al cuore e alla lucidità del padre Gino e della sorella Elena, si è parlato di femminicidi con una consapevolezza diversa.
Grazie a questa “luce” e a questo “rumore” in tante hanno trovato in questa storia il coraggio di denunciare, la lucidità per comprendere di essere in pericolo, e in diversi hanno trovato il coraggio di guardarsi dentro e riconoscere i segnali pericolosissimi della mascolinità tossica, chiedendo aiuto prima che fosse troppo tardi.

Eppure le tante promesse di azione sulla prevenzione sono finite nel vuoto, eppure i tagli scellerati depotenziano i centri antiviolenza, eppure tante, troppe donne chiedono aiuto ripetutamente senza trovarlo, come ci ha ricordato, esasperata e frustrata, la giovane Chiara Balistreri con un video denuncia sui suoi social pochi giorni fa: “Preferisco registrarmi da viva prima che diventi l’ennesimo caso di femminicidio”.

È una storia che ci riguarda tutte e tutti, per la quale non dobbiamo smettere di fare rumore, ogni giorno, anche quando è faticoso o impopolare, anche quando sembra di parlare al vento e sembra che non cambi nulla.

Cambia solo se non smettiamo di provarci.

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