Siamo nella fase chiave della battaglia alla pandemia e l’Italia ha varato una serie di azioni inimmaginabili per dimensioni e per velocità per tentare di aiutare le imprese e i lavoratori. Ma molte voci anche fuori dalla politica chiedono un passo in più e chiedono di farlo con un’Europa che dia una svolta a sé stessa. Ne parliamo con il Vicepresidente della Commissione Esteri della Camera dei Deputati Piero Fassino.
Onorevole Fassino, siamo nel cuore della guerra più pesante che nell’ultimo secolo si sia combattuta e che porta con sé una devastante recessione che il Governo sta affrontando con misure veramente straordinarie. Quale è il suo parere sulle azioni messe in campo dal Governo Conte?
Sì stiamo vivendo la più dura crisi che il mondo conosca dalla fine della seconda guerra mondiale. E contro un nemico invisibile e inafferrabile. E fino a che non avremo vaccini o farmaci siamo costretti a convivere con il virus. Già oggi il prezzo pagato è altissimo, prima di tutto in vite umane di pazienti, di medici, di infermieri. E poi nelle tante conseguenze sociali ed economiche. Di fronte a tutto ciò servono misure straordinarie ed eccezionali. Le misure approntate dal Governo vanno in questa direzione e rappresentano uno sforzo enorme, visto che direttamene o indirettamente mobilita 750 miliardi. Misure per rafforzare le strutture sanitarie, per soccorrere persone e famiglie colpite nel lavoro o nel reddito, per sostenere imprese costrette a sospendere l’attività. È uno sforzo che deve continuare per tutto il tempo della lotta all’epidemia. Per questo è così importante il contributo dell’Europa. Così come non si sarebbe vinta la seconda guerra mondiale senza una larga coalizione di alleati, anche oggi serve un gigantesco sforzo comune.
Nei giorni scorsi Goldman Sachs ha formulato una prima previsione sulla recessione che colpirebbe l’Europa nei prossimi mesi e che per l’Italia conterebbe un crollo del PIL dell’11% circa. Riguardando i dati del passato, la crisi dei mutui sub prime del 2008 aveva portato in Italia poco più del 4% di calo del PIL ma la seconda guerra mondiale invece il circa il 12%. Lei pensa che le Misure prese dal Governo siano alla portata della crisi che avrebbe numeri simili a quelli del secondo dopoguerra secondo quelle previsioni?
Sì l’impatto economico dell’epidemia è devastante. Tra qualche settimana celebreremo il 1 maggio in un clima che ci riporta alla grande depressione del ‘29. Migliaia di imprese hanno sospeso l’attività e rischiano di perdere clienti, mercati, esportazioni. Decine di migliaia di lavoratori si interrogano con angoscia sul loro domani. Per questo serve un gigantesco sforzo pari a quel che si fece in America con il New Deal di Roosvelt e in Europa con il Piano Marshall del dopoguerra. I piani varati da Cina e Stati Uniti sono giganteschi. L’Europa ha necessità di mettere in campo strategie altrettanto forti e ambiziose, come ha indicato con grande lucidità Mario Draghi. Serve coraggio e visione. Per parafrasare Steve Jobb “siate affamati, siate folli!”
L’Europa, come Lei ha già dichiarato, in queste settimane ha fatto degli sforzi già fuori dalla sua prudenza e dalle regole del rigore rispetto ai parametri legati al debito pubblico. Può farci capire secondo lei quali siano le scelte più coraggiose che ha compiuto finora a beneficio anche dell’Italia?
Anche in queste settimane uno dei luoghi comuni è prendersela con l’Europa. E se registriamo che molti cittadini guardano con scetticismo o ostilità all’Europa, dobbiamo chiederci se ciò non è la conseguenza di caricature e rappresentazioni demonizzanti che sono state ampiamente coltivate da una parte della politica e del sistema mediatico. Stiamo ai fatti. Da quando è iniziata l’epidemia le istituzioni europee hanno adottato una mole di misure mai assunte prima: la BCE ha stanziato 750 miliardi per acquistare titoli (oltre 200 di titoli italiani già acquistati); la BEI, Banca Europea degli Investimenti, ha attivato fondi di garanzia per 200 miliardi a sostegno delle imprese; il Patto di Stabilità è stato congelato consentendo flessibilità di deficit e di debito; sono stati autorizzati aiuti di Stato alle imprese fino a ieri vietati; è stato attivato un nuovo meccanismo di difesa del lavoro – il SURE – con 100 miliardi per sostenere disoccupati, precari e lavoratori in cassa integrazione; si sono autorizzati i Paesi a utilizzare le quote di fondi strutturali non ancora spesi; si è attivata una centrale europea di acquisti per il materiale sanitario; si sono rifinalizzati i fondi per la ricerca alla individuazione di vaccini e farmaci antivirus. E nel Consiglio Europeo della prossima settimana, i Capi di Governo saranno chiamati a varare l’utilizzo del MES senza condizioni a finalità sanitarie e la creazione di un Fondo di centinaia di miliardi per la ricostruzione economica. Come si vede l’Unione Europea c’è con un impegno mai conosciuto in passato. Certo, proprio perché siamo in guerra, è uno sforzo che deve continuare. Ma la strada giusta è stata intrapresa.
E come vede le resistenze della Germania e dei Paesi del Nord Europa che non sembrano accettare la scelta che stanno evocando con forza tutti i paesi Europei più colpiti dalla pandemia e dalla crisi economica?
Questo è esattamente il punto. Le fragilità europee non derivano dalle istituzioni europee, ma dai governi nazionali. La redistribuzione dei profughi migranti non è stata bloccata da Bruxelles, ma da Budapest, Praga, Varsavia. La contrarietà all’emissione di Eurobond non viene da Bruxelles, ma da L’Aja e da Berlino. È la “gelosia delle nazioni” a rendere lento il cammino dell’Europa. E a frenare sono i conservatori e le destre. Quando diciamo Germania o Olanda o Ungheria o Polonia attenzione a distinguere: dobbiamo sapere che in quei paesi non sono pochi quelli che contestano l’egoismo dei loro governi. È l’illusione sovranista a frenare il passo dell’Europa, non l’integrazione europea. E gli interessi nazionali – che esistono e legittimamente ogni Paese vuole difendere – non si tutelano con le chiusure nazionalistiche, i dazi e le barriere, i pregiudizi manichei. Quando proprio questa epidemia ci dice che nessuno si salva da solo.
E’ laprima volta che davvero questa Europa deve affrontare una ricostruzione straordinaria dei Paesi che l’hanno creata in tempi di pace e che oggi si trovano a dover prima vincere una guerra per la sopravvivenza sanitaria e economicae poi a dover gestire la rinascita vincendola guerra contro la disoccupazione e la crisi sociale. Lei pensa che saprà cambiare la propria natura di inflessibilegarante della stabilità finanziaria del continente e diventare la protagonista materiale della più grande operazione a debito della salvezza e del rilancio di imprese e lavoratori? E quello che hanno chiesto anche Il Presidente Mattarella e Mario Draghi. Sogno o realtà ?
Il disegno di un’Europa unita è nato all’indomani della seconda guerra mondiale. Churchill parlo’di Stati Uniti d’Europa dopo che per cinque anni Londra e le città inglesi erano state devastate dai bombardamenti tedeschi. Monnet, Schumann, Spaak, De Gasperi, Adenauer erano cittadini di nazioni che si erano aspramente combattute. Eppure non furono prigionieri della tragedia. Anzi, capirono che l’unico modo per interrompere la sequenza di guerre che per secoli avevano insanguinato l’Europa era mettere insieme nazioni e popoli partendo dal comune interesse alla pace, al lavoro, alla crescita, alla prosperità. E sessantatre anni di integrazione europea hanno dato ai popoli europei più di quello che avevano avuto per secoli. Tanto più oggi occorre tornare a quello spirito, come giustamente sollecita il Presidente Mattarella. In un mondo globale nessun paese europeo, ne’ l’Italia, ne’ la Francia, ne’ l’Olanda e neanche la Germania, può farcela con le sole sue forze. Mentre se l’Europa mette a fattor comune le sue risorse finanziarie, produttive, tecnologiche, culturali può essere un grande e forte attore del pianeta. Costruire insieme il proprio futuro: questa è la sfida, con la consapevolezza che se i problemi sono comuni, servono soluzioni comuni perché anche il destino sia comune.