Caro direttore, non è l’Europa che manca, sono gli europei. Anzi, diciamola tutta, gli europei mancano tra le file delle classi dirigenti nazionali, sicuramente non tra i giovani. Angelo Panebianco (Corriere, 23 gennaio) proponeva un ritorno alla democrazia nazionale e liquidava l’Unione Europea come un progetto scaduto. Si tratta di opinioni autolesioniste, per un Paese che le fa proprie.
Nel suo editoriale, intitolato Cambiare i trattati europei, il professor Panebianco sostiene che è inutile aspettarsi che l’Europa risponda alla destabilizzazione di Trump e lamenta la debolezza dell’Ue. Ma quando le istituzioni comunitarie sono state forti? Io sono al Parlamento europeo dal 2004 e non ricordo un’Unione Europea (pur con le notevoli personalità di Delors e di Prodi) capace di salvare i bilanci nazionali dalla bancarotta, né capace di siglare accordi con Paesi terzi in grado di ridurre i flussi migratori. Panebianco sembra riconoscere solo i meriti della Bce, ma solo per la «qualità di chi la guida». Sì, io condivido il giudizio positivo su Mario Draghi che ha fatto la differenza, me se oggi abbiamo la solidarietà di bilancio e l’Unione bancaria forse qualcosa va riconosciuta anche a quell’Europa «che non esiste» e alle sue istituzioni comunitarie, non così deboli dopotutto. Panebianco chiama «euroconservatori» quelli che credono nell’Unione Europea. Per lui sono loro la causa del «sovranismo» e dell’antieuropeismo montante.
È esattamente il contrario: sono gli egoismi nazionali e i ritardi nel processo di integrazione europea rispetto all’improvvisa globalizzazione dei problemi a generare frustrazione tra le opinioni pubbliche. È la mancanza di un’Europa forte che alimenta l’antieuropeismo. Sono gli Stati nazionali che non riescono più a far pagare le tasse alle multinazionali e a redistribuire la ricchezza, mentre l’Ue affibbia multe miliardarie a colossi come la Apple. Per lui però il progetto europeo doveva finire con la guerra fredda. Ma se negli ultimi trent’anni abbiamo fatto tanta strada nel processo di integrazione non è per «tentare il colpo d’ala», come sostiene lui, per salvare un progetto finito, ma perché in un mondo sempre più globalizzato e multipolare ci rendiamo conto che noi europei siamo solo il 7% della popolazione del pianeta e riusciamo a dire la nostra e a difendere i nostri valori e le nostre priorità solo se siamo uniti. Emblematico è il caso dell’accordo sul cambiamento climatico, voluto e ottenuto dall’Europa. Panebianco invece arriva a sostenere che «la democrazia funziona solo su base nazionale». No professore, è ora di aggiornare le lancette della storia: da almeno 18 anni, da quando sono nati i movimenti di protesta no global, i cittadini Chiedono democrazia a livello sovranazionale, proprio perché quella nazionale non basta più.
E oggi il Parlamento europeo ha, tra gli altri, il potere di ratificare o bocciare gli accordi commerciali internazionali. Si propone di restituire poteri ai governi nazionali e salvare solo il mercato unico europeo, come si diceva nel Regno Unito prima della Brexit. Peccato che la storia abbia ampiamente dimostrato che a difendere il mercato unico senza riconoscere il ruolo dell’Unione Europea si finisce per consegnare il Paese agli euroscettici. Così come non esiste la pace europea senza mercato unico, non esiste il mercato unico senza Unione Europea, senza istituzioni comunitarie, senza Europarlamento e senza i valori e l’impegno dei singoli cittadini europei.