Non ne ho memoria, non ero ancora nato. Così ho guardato molte volte le foto, le immagini di disperazione, di macerie, di quel pezzo di Sud spazzato via in novanta interminabili secondi, il 23 novembre di quarant’anni fa. Le province di Avellino, Salerno e Potenza furono segnate in maniera indelebile da una delle catastrofi naturali più gravi del Novecento. Alla frattura storica quella notte se ne aggiunse un’altra, che divise storie, vite e luoghi tra tutto ciò che era stato «prima» e ciò che sarebbe stato «dopo il terremoto».
«Fate presto» fu l’imperativo del Presidente della Repubblica, Sandro Pertini. Giunsero in massa, da ogni parte d’Italia, per soccorrere i terremotati. A scavare a mani nude fra le macerie di quelle aree già periferiche e marginali. A costruire rifugi e fognature A dare conforto ai bambini ed agli anziani. A onorare i defunti, che significa aiutare i vivi.
Di quel grande sentimento di coesione nazionale, restano nei comuni delle aree interne irpine e lucane le insegne di vie e piazze che portano i nomi delle città del Nord da cui arrivarono gli aiuti. Lo sperpero di risorse senza precedenti, invece, che seguì tra gli scandali e le speculazioni l’emergenza e la ricostruzione, aprì una frattura nuova nel Paese e segnò il declino delle politiche per il Sud, trascinando nel discredito quell’azione pubblica nel Mezzogiorno che, prima della sua degenerazione, aveva contribuito in misura decisiva allo sviluppo nazionale. Poi furono anni di abbandono, da un’ingiustizia altra ingiustizia.
Oggi, quarant’anni dopo, la condizione di emergenza riguarda tutto il Paese, che attraversa la crisi più grave della sua storia. Abbiamo messo in campo risorse senza precedenti, grazie allo straordinario lavoro fatto in Europa, che rappresentano un’occasione unica nel quadro di rilancio di una politica organica per il Sud. Non vogliamo e non possiamo ripetere gli errori del passato. La rigenerazione amministrativa (pensata con il Piano Sud 2030 e avviata in questa Legge di Bilancio) servirà anche a questo, a coinvolgere tutte le migliori intelligenze per realizzare uno sviluppo sostenibile, guardando proprio a quelle aree marginalizzate che tornano ad essere centrali nel dibattito pubblico, come devono esserlo nelle politiche grazie al nuovo impulso dato alla Strategia Nazionale delle Aree Interne.
In un editoriale su il Mattino del 1981, Leonardo Sciascia spiegò come il terremoto nel Belice del 1968 mise a nudo le fragilità economiche e sociali di quei luoghi e, come le case non si potevano ricostruire con i vecchi criteri, così non si poteva ricostruire la vita economica e sociale. Sciascia scriveva: Dicono «Ricostruire», No: «Costruire». Credo che il concetto valga ancor più oggi, dopo anni di crisi e ora di pandemia. È ciò che siamo chiamati a fare, presto e bene: costruire le nostre comunità con una saggezza nuova, garantire i diritti di cittadinanza, liberare il potenziale di tutte le persone in tutti i luoghi.
Lo scrive su Facebook Peppe Provenzano, in occasione dei 40 anni dal sisma dell’Irpinia