Nelle fasi iniziali dello sviluppo economico, la crescita è estensiva. Manca quasi tutto ed è importante poter attivare grandi risorse e in fretta. Quello è il periodo d’oro dell’imprenditoria pubblica. Oggi siamo in una fase completamente diversa: non siamo poveri di risorse, ma di innovazione. In realtà le innovazioni si susseguono rapide, ma le economie competono nella velocità con cui le adottano. La sfida del nostro sviluppo economico non è altro che la sfida nella adozione di una tecnologia in continua evoluzione. L’Italia deve cambiare molto se vuole migliorare la condizione dei suoi lavoratori. Potrà farlo solo se saprà evitare il dibattito del passato e riconoscere in che modo è cambiata la trasmissione della tecnologia. Affrontare questa sfida riproponendo il dibattito tra stato imprenditore e politica industriale da una parte e mercato dall’altra non è sbagliato: è semplicemente un atto di ignoranza nei confronti della nostra storia.
Perché da circa venti anni ci preoccupiamo di ampliare lo spazio per l’iniziativa economica privata attraverso privatizzazioni e leggi per la concorrenza che allarghino la competizione sana, quella orientata al cambiamento produttivo? La risposta sta nella produttività o, per meglio dire, nel fatto che la crescita della produttività era quasi scomparsa alla metà degli anni 90. Lo stato manteneva ancora una importante presenza nella nostra economia, la produttività rallentava e il debito pubblico aumentava. Il ritardo innovativo del nostro sistema produttivo scaricava i costi sui consumatori e sui lavoratori. Decidemmo allora di provare a cambiarlo in profondità perché al nostro sistema produttivo non erano solo necessarie nuove idee su cosa inventare e produrre, ma soprattutto un nuovo sistema per attivarle. Allargammo lo spazio del mercato, non ampliammo abbastanza lo spazio delle opportunità . Le conseguenze economiche e politiche di questo deficit sono evidenti, non altrettanto lo sono le soluzioni. L’intervista del ministro Calenda partiva da questa semplice considerazione e aggiungeva l’esigenza che le grandi imprese italiane facciano sistema.
Innovare non è più un’attività che coinvolge un gruppo di grandi aziende ma un ecosistema di piccole, medie e grandi aziende. La ricerca economica documenta che sono le imprese più piccole ad investire di più, in proporzione, per Ricerca e Sviluppo. Le grandi imprese invece investono nell’ampliamento del mercato. L’innovazione nasce tra i piccoli ma si diffonde grazie alle grandi imprese. Nessuno sopravvive da solo: ogni segmento dimensionale ha una funzione che acquisisce senso all’interno di un sistema. Se le imprese grandi fanno sistema, possiamo creare un ecosistema tra piccole e grandi imprese attraverso cui il mercato fa crescere la produttività . Il paese non è ancora riuscito a mantenere la promessa di cambiamento. Non abbiamo sbagliato la domanda, ma piuttosto non siamo stati seri nella risposta. Quando la produttività langue, come ha fatto in Italia nell’ultimo ventennio, il peso si scarica sui salari dei lavoratori. La battaglia per un mercato che sostenga la produttività è la stessa per il futuro dei lavoratori.