«Nel nostro Paese le donne per avere potere devono avere talento. Vogliamo dirlo che agli uomini questo non è richiesto?».
All’indomani della sua elezione a vicepresidente Pd, Debora Serracchiani ragiona sulla fase che si apre nel partito e sul ruolo delle donne. Il segretario Nicola Zingaretti parla di «protagonismo» femminile. Lei e Anna Ascani siete vicepresidenti. Probabilmente Paola De Micheli sarà vicesegretaria. Il rischio però non è di accontentarsi di qualche nomina senza che cambi niente?
«C’è il rischio, ma sarebbe un errore. Le donne hanno dimostrato capacità e competenze, mi auguro un protagonismo vero e sostanziale».
Non era meglio produrre una candidatura femminile di una “big” al congresso?
«Io ho pensato seriamente a candidarmi. Ma non volevo ripetere quello che ho visto fare dagli uomini tante volte: correre per prendere una percentuale, il proprio pezzettino, e mettere a posto me stessa e i “miei”. Non è di questo che abbiamo bisogno».
Ragionando così, però, i «pezzettini» di partito continuano a contenderseli gli uomini, non trova?
«Io trovo che questo congresso sia stato il primo in cui ci si è concentrati veramente sulle politiche e i contenuti, più che sui nomi».
Dalla Germania alla Danimarca, altrove la sinistra sa farsi guidare da donne. E pure la destra: pensi alla Le Pen. Perché noi siamo più indietro?
«Ci sono ancora da noi luoghi di arretratezza culturale importante rispetto al ruolo delle donne. Alle donne, per avere potere, viene chiesto anche talento; agli uomini questo non è richiesto. Ma sono maturi i tempi perché le cose cambino».
Lei ha avuto potere: è stata presidente di Regione…
«E ho subito cose che agli uomini non vengono fatte: attacchi personali, sessisti, che travalicano la politica. Non sono mai stata fissata coi temi femministi, ma ho cominciato a percepire in quell’occasione quanto fosse vero quello che altre donne mi raccontavano».
Ora il Pd fa grandi dichiarazioni di buona volontà, ma solo un anno fa, quando avete fatto le liste, grazie alle pluricandidature le donne sono state penalizzate. Sono solo 37 su 112 alla Camera, 18 su 52 al Senato.
«Il gioco delle pluricandidature è stato un errore grave che abbiamo pagato sia all’interno creando grandi tensioni sia culturalmente, all’esterno. Ma lo abbiamo capito: in questo congresso tutti si sono detti contrari a rifarlo».
Perché ha sostenuto Maurizio Martina?
«Perché più di tutti mi sembrava esprimesse la volontà di costruire un percorso collettivo per superare i personalismi e l’eccesso di correntismo, basato su logiche di potere più che su contenuti politici».
Un giudizio severo sul suo partito. Lei è stata vicesegretaria di Renzi: quando dice questo fa anche autocritica?
«Assolutamente. Sarebbe sciocco non riconoscere le cose buone fatte, ma anche non rivolgersi per primi delle critiche su quello che non ha funzionato».
Che effetto le fa sentir dire da Zingaretti che vuole «voltare pagina» e «cambiare tutto»?
«È legittimo che il nuovo segretario voglia cambiare quel Pd che è stato interpretato al meglio da Renzi, ma dove poi non tutto è andato come volevamo. Una cosa sola spero non cambi: la spinta riformista».
Lei è ancora renziana?
«Preferirei essere definita come una donna che fa politica e vuole superare l’epoca in cui bisogna definirsi col cognome di qualcun altro. Che è sempre un uomo».