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Una Schengen della difesa per rispondere al terrorismo

Il risultato del referendum britannico e il concatenarsi di attacchi terroristici alimentano un sentimento di angoscia senza precedenti in Europa. Se vogliamo contrastare la deriva populista che cavalca l’antieuropeismo, dobbiamo offrire risposte efficaci alle preoccupazioni dei nostri cittadini, a cominciare dalla sicurezza. Una delle risposte più pertinenti può esser data sul piano della difesa. L’uscita della Gran Bretagna dall’Ue ci priva di uno Stato membro dotato di notevoli capacità militari; bisogna aprire nuove prospettive di difesa comune. Il rilancio di quest’ultima permetterebbe di rafforzare la capacità operativa nelle aree di crisi e nella lotta al terrorismo, ma anche di avere un impatto politico considerevole.

 

La visione italiana indica due strade che meritano di essere esplorate per dar seguito a queste riflessioni. La prima è quella già prevista dai Trattati in vigore. Si tratterebbe di dotare l’Ue di un’accresciuta autonomia d’azione, rafforzando le capacità militari comuni, con una maggiore cooperazione tra gli Stati membri e un rafforzamento dell’industria europea della difesa. Si tratterebbe di sfruttare il potenziale inespresso di alcune disposizioni del Trattato di Lisbona, tra cui l’articolo 44 (riguardante le missioni effettuate da un gruppo di Stati per conto di tutta l’Ue) e il 46 (cooperazione rafforzata permanente).

 

Ma l’Italia invita i partner ad avviare la discussione su un’opzione più ambiziosa: il lancio, da parte di un gruppo di Stati membri, di una sorta di Unione per la difesa europea. Nell’ottica di questa “Schengen della difesa”, un gruppo di Stati membri potrebbe accelerare la sua integrazione nel campo della difesa mettendo in comune un certo numero di competenze e risorse, sulla base di un modello condiviso e di un accordo costitutivo che ne stabilirebbe le finalità oltre che le modalità operative. Non si tratterebbe di creare una “armata europea” che raggruppi la totalità delle forze nazionali degli Stati partecipanti, ma di costituire una “forza europea multinazionale”, con funzioni e un mandato stabiliti insieme, dotata di una struttura di comando e di meccanismi decisionali e budgetari comuni. Le competenze e le forze così sviluppate e condivise sarebbero a disposizione non solo dell’Ue, per le missioni militari, ma ugualmente della Nato e delle Nazioni unite. Nella fase iniziale, il progetto potrebbe essere portato avanti da un gruppo ristretto di Paesi, tra cui i fondatori, per poi essere aperto a tutti gli Stati membri sulla base di uno schema di integrazione differenziato già applicato nell’Ue in vari settori.

 

L’obiettivo infine sarebbe di incoraggiare un gran numero di Stati membri per poi incorporare questa iniziativa nei Trattati, come avvenne con Schengen. Grazie alla forza della sua tradizione di grande attenzione alle esigenze dell’Alleanza atlantica e delle sue relazioni con gli Stati Uniti, l’Italia sarebbe pronta a impegnarsi a dissipare ogni tipo di sovrapposizione con la Nato, che potrebbe a nostro avviso aver grande beneficio da questa iniziativa.

 

Fonte: la Repubblica

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