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Sassoli “Le tasse ai giganti digitali non sono un delitto, ma giustizia”

Sulle tensioni esplose a Davos sulla web tax, dopo che gli americani hanno minacciato dazi contro i Paesi europei che la adotteranno, David Sassoli ricorda che «i dazi chiamano dazi».

Il presidente del Parlamento europeo è a Davos, dove ha parlato con Tim Cook, numero uno di Apple: «Anche loro vogliono regole per il web». E ricorda che tassare le aziende dove si fanno i profitti «non è un delitto, ma giustizia».

Presidente come fa l’Europa a negoziare con un partner cruciale come gli Stati Uniti se il suo presidente fa apertamente politiche ricattatorie?

«Il mercato europeo, come si capisce qui a Davos, fa gola a tanti, anche agli investitori e ai produttori statunitensi. E dazi chiamano dazi».

Sì ma gli Stati Uniti usano ormai il ricatto dei dazi anche per ottenere una linea più dura sull’Iran. O per continuare a picconare il multilateralismo.

«Noi continuiamo a credere che gli accordi di libero scambio siano più utili delle barriere doganali e che la regolamentazione protegga meglio i cittadini. Ieri ho parlato a lungo con Tim Cook di Apple e mi ha detto che anche loro vogliono regole per il web. Tassare le aziende dove si fanno i profitti non è un delitto, ma una regola di giustizia».

Ieri Ursula von der Leyen ha parlato del Green Action Plan presentato dalla Commissione europea come di un “piano per la crescita”. Cosa vuol dire?

«C’è l’Europa sotto i riflettori qui a Davos. Ho incontrato Al Gore e mi ha ripetuto che con il Green Deal ci siamo messi all’avanguardia nella lotta ai cambiamenti climatici. Tutti chiedono cosa faremo e vogliono capire quale impatto avrà quest’ambizioso piano europeo per promuovere un nuovo modello di sviluppo fondato sulla sostenibilità ambientale, sociale, economica. Se tra un anno o due ci ritrovassimo in una nuova crisi come dieci anni fa, come l’affronteremo? Con il rigore? Sarebbe la catastrofe. Serve una politica per la crescita che metta al centro il pianeta e le persone e aiuti a combattere le diseguaglianze».

È d’accordo anche con l’ipotesi di scorporare gli investimenti verdi dal computo del deficit?

«Beh, lavorare per scorporare gli investimenti verdi dal patto di Stabilità è una grande ambizione. Ne trarremo giovamento, come mi ha detto qui a Davos il professor Stiglitz. Intanto abbiamo votato al Parlamento la nascita della Banca per il clima. Sarà uno strumento fondamentale. Dobbiamo moltiplicare gli stanziamenti pubblici con investimenti privati».

La Germania vuole uscire dal carbone entro il 2038, un obiettivo ambizioso che anticipa la decisione dell’Ue di arrivarci nel 2050. Ma Greta Thunberg è venuta a Davos a dire che bisogna agire “ora”.

«Il messaggio di Greta è giusto. È il richiamo a una responsabilità che dobbiamo sentire forte. Per questo però abbiamo bisogno di risorse. Con il Green Deal non dobbiamo perdere posti di lavoro, ma crearne di nuovi. Per questo servono risorse in grado di aiutare le aziende a riconvertirsi e gli Stati membri a liberarsi dalla dipendenza dal carbone».

L’Italia come può attingervi?

«Con il Fondo per la transizione giusta l’Italia avrà a disposizione 4,8 miliardi che potranno essere usati anche per sostenere la riconversione dell’Ilva».

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