Direttore Ruffini, cinque mesi fa insediandosi alla guida dell’Agenzia delle Entrate aveva promesso di ridurre la distanza tra fisco e cittadini. A fine anno si può dire che si sia accorciata almeno di qualche metro?
«È un percorso che è già iniziato anche grazie alle norme degli ultimi anni. Ma abbiamo tanto da fare, innanzitutto ridurre burocrazia e errori, di fronte ai quali dobbiamo essere pronti a chiedere scusa al cittadino e a porre subito rimedio. Quando sono arrivato qui ho inviato un messaggio ai colleghi per dire che è il momento di aprire una nuova stagione, di rimettersi sullo stesso fuso orario del Paese. Di fare un nuovo patto con i cittadini che non sia più basato sui codici fiscali ma sulle persone. Cambiamo prima Agenzia e quindi il rapporto con gli italiani. Ecco perché a gennaio partirà il nuovo modello organizzativo di Agenzia, che ha avuto il via libera del ministero dell’Economia. Cambiamo lo schema di gioco non tanto perché è cambiato l’allenatore, ma per restare alla metafora calcistica – perché non possiamo giocare con libero e stopper mentre il resto adotta la zona, il pressing alto e le diagonali».
Concretamente in cosa consiste la riorganizzazione?
«Cerchiamo di adattarci noi alla realtà produttiva invece di costringere i cittadini ad adattarsi a noi. Non c’è più un’organizzazione per prodotto dell’Agenzia, ma per soggetto a cui ci rivolgiamo. Quindi persone fisiche, lavoratori autonomi ed enti non lucrativi, piccole e medie imprese e grandi contribuenti troveranno gli uffici in grado di accompagnarli per tutto il percorso dalla consulenza agli interpelli fino all’accertamento e all’eventuale contenzioso. Ovviamente non è cosa che si possa realizzare con un click, i processi di cambiamento sono complessi e semplificare è sempre la cosa più difficile. Ma devo dire che ho percepito una grande attesa da parte delle persone che lavorano qui e allo stesso tempo una richiesta di strumenti, come la digitalizzazione, che piano piano stiamo ottenendo dal legislatore. Così si semplifica anche la vita dei dipendenti».
A proposito, c’è da risolvere la vicenda dei dirigenti “illegittimi”. Basterà la norma inserita nella legge di bilancio?
«Non ci sono dirigenti illegittimi, l’Agenzia si adeguò alla sentenza della Consulta. La nuova norma permette di realizzare un percorso di carriera che altrimenti sarebbe rimasto nell’incertezza. E immetterà nella struttura nuova linfa, con dirigenti in parte interni che concorreranno praticamente ad armi pari con gli altri, in parte esterni perché è necessario che entri nell’Agenzia una nuova generazione. Un fisco digitale e sempre più semplice ha bisogno di nativi digitali».
Quello che sta per chiudersi non è stato un anno sempre brillante, proprio dal punto di vista del rapporto tra fisco e contribuenti. C’è stato il caso spesometro. I commercialisti temono che possa ripetersi con la fatturazione elettronica tra imprese. Hanno ragione ad essere preoccupati?
«La fatturazione elettronica parte il primo gennaio 2019, è un progetto complesso che richiede l’impegno di Sogei e dell’Agenzia delle Entrate. Per realizzarlo dobbiamo immaginare tutte le possibili falle che si possono aprire, per prevenirle, e tutti i possibili disservizi, per evitarli. Però non si può fermare il futuro solo perché ci possono essere dei problemi. Servono coraggio e pazienza, come è successo con la precompilata».
Parlando di precompilata, pensa che potrà essere allargata ad altre categorie?
«Sì, è doveroso concepire un allargamento. Il ritardo nella digitalizzazione si supera ponendosi obiettivi innovativi e più avanzati anche rispetto agli altri Paesi. Quindi la precompilata deve essere estesa alla parte produttiva del Paese, alle imprese. Il progetto può essere portato a termine nell’arco della prossima legislatura, si tratterà di una conseguenza proprio della fatturazione elettronica. Ma io immagino anche il superamento del concetto stesso di dichiarazione dei redditi. Nel momento in cui l’amministrazione ha a disposizione dei dati li deve utilizzare non per compilare una dichiarazione ma per fornire direttamente il risultato, ovvero l’imposta da versare: non c’è bisogno che il cittadino si trasformi in un tributarista».
Quando un contribuente non versa un tributo, magari per errore o perché si trova nell’impossibilità di farlo, poi vede quella cifra crescere a dismisura per sanzioni e interessi. È giusto che sia così?
«La scelta di applicare un tasso di interesse e di irrogare una sanzione serve a evitare che il contribuente possa scegliere il momento in cui versare. È uno stimolo all’adempimento corretto, perché se la somma è sempre la stessa uno pagherebbe dopo dieci anni. Discorso diverso è la quantificazione delle sanzioni, che è una scelta del legislatore. Una revisione del sistema sanzionatorio è un argomento che può essere affrontato dalle istituzioni. La rottamazione delle cartelle nasce proprio dalla consapevolezza di governo e Parlamento che una certa tipologia di sanzioni, soprattutto negli anni della crisi che ci siamo lasciati alle spalle, ha determinato un ampliamento dei soggetti che non sono riusciti a far fronte ai debiti. Soggetti che ora invece possono regolarizzare la propria posizione. Quindi è stato un atto coraggioso e non un regalo ai grandi evasori, anzi… nella maggior parte dei casi si tratta di cifre limitate».
Di lotta all’evasione si parla da sempre. Può dare qualche numero per capire se la situazione è almeno un po’ migliorata?
«Negli ultimi anni il recupero del fax gap, la differenza tra l’imposta teoricamente dovuta e quella versata, è maggiore rispetto all’andamento dell’economia del Paese. Relativamente ai tributi gestiti dall’Agenzia delle Entrate, eravamo a 87,3 miliardi nel 2012, poi nel 2014 il tax gap è risalito a 89,2 e nel 2015 è sceso di nuovo a 85,5. E la tendenza prosegue sempre con una percentuale maggiore di quella dell’incremento del Pil. Vuol dire che le norme approvate con gli ultimi due governi sono riuscite a invertire la tendenza, ma anche che c’è maggiore propensione degli italiani a mettersi in regola. La sensazione è che la semplificazione porti più adempimento spontaneo. In questo senso anche le piccole cose aiutano: penso alla possibilità di consultare i propri debiti fiscali, ed eventualmente di pagarli, in sedicimila sportelli bancomat. Presto si aggiungeranno quelli delle Poste».
Spesso però gli accertamenti arrivano. E magari si concludono dopo mesi e mesi con la constatazione che è tutto a posto o la richiesta di pagare somme irrisorie. Va bene così?
«Quando l’Agenzia delle Entrate va a fare una verifica non trova nulla io questo non lo considero un buco nell’acqua. Il miglior risultato possibile per il Paese è fare in modo che le entrate aumentino ma grazie alla compliance. Così potremo avere un’evasione che mano a mano si riduce per diventare una tendenza residuale. È un po’ come il tutor autostradale che non ha necessariamente il compito di contestare infrazioni. Tutti sanno che c’è e si regolano. Poi è chiaro che se uno va in autostrada a 200 allora viene sanzionato».
Che rapporto c’è tra evasione e uso del contante?
«Fra qualche anno le future generazioni vedranno noi che usavamo i contanti come dei dinosauri. Ma oggi il punto è se riusciamo a tracciare solo le transazioni con mezzi elettronici o anche quelle con il contante. I limiti di utilizzo sono cambiati nel tempo. Nel 2002 eravamo ancora a 12.500 ora siamo a 3.000 euro. C’è stato un effetto sull’evasione? C’è una correlazione? Pare proprio di no. Allora possiamo tracciare anche le transazioni fatte con il contante, come facciamo in farmacia quando compriamo un’aspirina e diamo al farmacista la tessera sanitaria».
Non è suo compito giudicare le scelte del legislatore ma cosa pensa del progetto di web tax?
«Sicuramente l’Italia ha il merito di aver affrontato il problema della tassazione digitale, che col tempo diventerà ineludibile. È una scelta coraggiosa. Ma a proposito di web va fatto un plauso al lavoro della Procura di Milano, della Guardia di Finanza e delle strutture di Agenzia delle Entrate. Dico con orgoglio che siamo riusciti a portare a casa risultati con Apple, Google e pochi giorni fa Amazon. Continueremo, sempre con accertamenti che non nascono a caso, ma sono il frutto di un’analisi della realtà economica».