«Basta sospetti e chiacchiericci, facciamo subito il congresso. E la legge elettorale che ci chiede anche il presidente della Repubblica». Enrico Rossi, governatore della Toscana, è stato il primo a candidarsi per sfidare Matteo Renzi alla segreteria del Pd. Adesso il campo si sta affollando e nel partito si discute sui tempi, strettamente connessi, del congresso e del voto. «Attenzione alla voglia di voto che vediamo nei sondaggi avvisa Rossi Non vorrei che nascondesse il desiderio di darci una seconda lezione dopo il referendum costituzionale». Lui, intanto, resta in campo: «Non so se farei un ticket, non ci ho ancora pensato. Ma non credo alle sante alleanze contro Renzi».
Governatore, congresso subito o no?
«L’ho detto subito dal primo giorno dopo la sconfitta referendaria che il congresso era il modo giusto per affrontare le divisioni interne, l’esito della vicenda della riforma costituzionale, e la crisi di un’idea politica. Facciamolo adesso per dire basta al chiacchiericcio, al sospetti di tentativi di lottizzazione sulle candidature, di accordi sottobanco».
Sono in corso spartizioni sulle prossime liste e patti di potere tra correnti?
«Non lo so. Ma un congresso fermerebbe anche i sospetti».
In questo caso l’ipotesi di voto a giugno salterebbe. È questa la sua road map?
«La necessità di correggere la legge elettorale c’è. Anche Matte() Renzi, nell’accordo con Gianni Cuperlo, era disponibile a togliere i capilista bloccati. Poi c’è il presidente della Repubblica Sergio Mattarella che chiede l’armonizzazione del sistema: al Paese serve una legge elettorale seria e moderna che duri decenni».
Il segretario Dem è un giocatore di poker? ,
«Molti si sono risentiti per quell’espressione. Capisco che sia tranciante. Non ce l’ho con Matteo, ho affetto personale per lui che ho conosciuto come sindaco di Firenze. Ma sbaglia nella rincorsa alle urne, è una scelta che rischieremmo di pagare cara».
Renzi dopo il 4 dicembre voleva anticipare il congresso. È stata la minoranza a mettersi di traverso chiedendo tempi e modalità stabilite dallo statuto.
«Io faccio parte della minoranza, ma al convegno a Roma con Bersani e Speranza (a metà dicembre, quando Speranza si è candidato alla segreteria, ndr) ho detto chiaramente che servivano le assise. E lo ripeto: Renzi confronti il suo programma con il mio e con quello di altri sfidanti. Usciamo dal tunnel di una politica avvitata su se stessa e autoreferenziale. Con il congresso si scioglierebbe tutto in modo naturale».
Quindi scadenza naturale della legislatura? Che, comunque, è a dicembre.
«Esatto. I tempi, in realtà, sono già stretti così. Diamoci un respiro. Attenzione, anche perché il desiderio di voto che emerge dai sondaggi potrebbe nascondere quello di darci una seconda lezione. Bisogna riscoprire la dialettica interna».
La dialettica, veramente pare scavalcata dagli insulti.
«Bisogna dispiegarsi e non arroccarsi tra gruppi dirigenti. Altrimenti è inevitabile scadere in fazioni ed invettive».
ll Pd è al capolinea, come ha detto Emanuele Macaluso e come pensano in molti?
«Io non sono favorevole alla scissione».
Non è inevitabile, a questo punto?
«Mi sembrano astrazioni politiche. È vero che sta cambiando lo scenario, dal maggioritario si passa al proporzionale, ma non è detto che questo produca frammentazione. Certo, ci saranno più leader al posto di uno solo; un profilo identitario plurale come è più consono al Pd; una visione che finora è mancata. E mi auguro che discenda dai due umanesimi socialista e cattolico democratico».
C’è posto per Angelino Alfano in questa visione?
«Nel Pd, poco. Come alleato, direi: partiamo dal programma e poi costruiamo le compatibilità. Di certo non saprei spiegare ai nostri elettori un ritorno con Forza Italia».
A sinistra, invece, con l’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia?
«Vedo l’esigenza di costruire un campo ampio del centrosinistra anche fuori dal Pd. Giustamente Pisapia ha detto no al listone, che non funziona né ha mai funzionato, ma al congresso bisognerà dialogare con lui».
La corsa entra nel vivo e si comincia a parlare di ticket. Lei lo prende in considerazione?
«Non ci ho ancora pensato. Ma non sono favorevole alle sante alleanze contro Renzi. Il Pd è più ampio di così, ci sono i franceschiniani, i Giovani Turchi. È giusto che ogni area si esprima e si conti. Come si dice, chi ha più filo lo tessa. Essere leali e non ostili a Renzi significa anche questo».
Davvero Oscar Farinetti, il fondatore di Eataly, è un esempio di capitalismo che non le piace e che non vorrebbe tra i fan del Pd, come ha detto al «Fatto»?
«Sono certo che è persona capace. Ma dal punto di vista simbolico andare troppo a braccetto con pezzi di capitalismo, essere culo e camicia, può rendere antipatici, come ha detto lo stesso Farinetti alla Leopolda. Io domenica ero a fare accordi con un’azienda importante in Toscana, con gli imprenditori sani si discute. Ma se passa il messaggio del Pd dei potenti, la nostra gente si allontana».