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Romano: “Il governo Lega-5Stelle si farà. E noi, è certo, saremo all’opposizione”

«L’europeismo sarà la cifra della nostra opposizione: la nostra sfida sarà parlare anche ai liberali, che magari votavano a destra ma che oggi non si sentono rappresentati dal sovranismo». Andrea Romano, parlamentare renziano del Partito Democratico e direttore del quotidiano online Democratica risponde a distanza al dibattito sul collocamento europeo del Pd e scommette: «Il governo si farà e addosserà all’Europa la colpa di ogni sua difficoltà».
 

Un Pd europeista può esistere fuori dal Pse?

 
«Mi appassionano molto poco le discussioni sulle sigle europee. Mi spiego: faccio fatica a ragionare politicamente in termini di Pse, perché il Pse è una scatola che corrisponde poco alle declinazioni nazionali de progressismo europeo».
 

Qualche retroscena parla di un’ipotesi di Pd alleato con “En Marche” in un nuovo gruppo europeo.

 
«Condivido poco l’idea di una centralità europea di “En Marche”. Quello di Macron è certamente un fenomeno interessante per la politica europea e la sua è una leadership di grande spessore, ma faccio fatica a vederne qualche declinazione europea».
 

Dunque il Pse è ancora il cuore del riformismo europeo? Gozi sostiene di no.

 
«Guardi, io registro questo dato: di fatto, il superamento del Pse è in atto già da tempo, un po’ come è anche per l’Internazionale socialista. Detto questo, non vedo in modo drammatico questo fenomeno e nemmeno un ipotetico cambio di nome. Anzi, ritengo che il Pd, piuttosto che abbandonare il Pse, dovrebbe impegnarsi a cambiarlo e ad allargarlo oltre i confini burocratici che lo caratterizzano. Il Pse ha la possibilità di abbracciare altre realtà progressiste di segno liberale, che costituiscono nella sostanza una parte del campo che si contrappone al sovranismo populista».
 

Dopo la sconfitta del 4 marzo, il Pd userà la chiave europea per uscire dall’angolo?

 
«Il Pd è tra le principali forze progressiste europee e, nonostante la sconfitta, continua ad avere la golden share all’interno del gruppo. Con questa forza, dobbiamo contrapporci con efficacia all’ondata sovranista. L’Europa di Visegrad è una prospettiva pericolosa e tutte le forze progressiste devono unirsi per fermarla, che si chiamino Pse o “En Marche”».
 

In questa fase di consultazioni, davvero la collocazione europea è un punto di fuoco rilevante?

 
«Lo è perché, pur continuando ad esistere la linea divisiva destra-sinistra, oggi essa si interseca con l’opposizione tra sovranismo ed europeismo. Anche in futuri termini elettorali, io credo che questa contrapposizione possa scomporre l’elettorato in modo inedito. In altre parole: mi chiedo quanti elettori europeisti che hanno votato centrodestra si sentano rappresentati da Salvini. Ecco, discutere di Europa divide il centrodestra e noi dobbiamo imparare a parlare agli elettori liberali ed europeisti, che difficilmente si sentiranno rappresentati da quella parte politica».
 

Il tema si rincorre tra i renziani, è un modo per compattare le fila?

 
«Guardi, non c’è bisogno che queste cose ce le dica Renzi. Il mio legame politico con lui è sempre stato fondato su queste basi e ho sempre considerato il renzismo la forma più efficace dell’europeismo italiano. Insomma, non esistono ordini di scuderia ma è chiaro che la nostra riconquista di consensi non passerà per una ricetta nostalgica di tornare a fare la sinistra tradizionale, ma per una linea di opposizione chiara che tiene la barra dritta sull’Europa».
 

Provocatoriamente, verrebbe da chiedere di opposizione a chi.

 
«Se dovessi fare una scommessa, direi che il governo centrodestra-5 Stelle si farà. Oggi è ovvio che la nostra opposizione è solo politico-culturale, però diventerà parlamentare appena verranno espletate le tappe necessarie per costituire il Governo. Ecco, la nostra opposizione sarà fondata sui valori europeisti e ha detto bene Ivan Scalfarotto: in Parlamento noi parleremo di Europa ogni volta che potremo, rappresentando quei tanti italiani che non hanno votato Di Maio e Salvini e non vogliono un governo sovranista».
 

L’Europa sarà terreno di scontro, quindi.

 
«Sarà certamente un tema di scontro e di confronto che noi, come opposizione, terremo alto. Anche perché posso prevedere che, alle prime difficoltà politiche, Lega e 5 Stelle daranno la colpa all’Europa, secondo il vecchio metodo dei populisti».
 

Eppure nel Pd alcune voci interne chiedono di scendere dall’Aventino per dialogare coi 5 Stelle, per senso di responsabilità.

 
«Anzitutto una precisazione storica: l’Aventino non c’entra niente e anzi è stato un’esperienza tragica del nostro passato, perché la scelta nacque dall’omicidio Matteotti e gli aventiniani finirono in galera o a loro volta uccisi. La nostra posizione è quella di fare opposizione seria, ma normale per qualsiasi democrazia. Quanto a chi chiede di trattare per ipotetiche aperture ai 5 Stelle: le assicuro che nessuno nel Pd vuole fare un governo con loro».
 

Ne è sicuro? La linea scricchiola sotto il peso di dichiarazioni di nomi pesanti come quelli di Franceschini e Orlando.

 
«Franceschini parla di un governo costituente, Orlando invece ha una posizione che non ho ben capito. Di tutti, l’unico a chiedere il dialogo in modo chiaro è Emiliano. Al di là delle discussioni tra dirigenti, però, basta fare un giro in qualsiasi circolo per cogliere con chiarezza che il Pd è tutto in favore della linea della fermezza all’opposizione. Questo per una ragione banale: abbiamo fatto una campagna elettorale opposta nei contenuti a quella dei 5 Stelle e chi fa politica col Pd crede alle parole che usa».
 

Sono tutte speculazioni giornalistiche, dunque?

 
«Direi piuttosto che è una legittima discussione giornalistica. Da giornalista, però, so che spesso le battaglie sui giornali assomigliano un po’ al calcio d’agosto, in cui la mancanza del campionato fa sì che ci si lanci in ricostruzioni fantasiose. Ecco, basta le assicuro che nessuno dei calciatori del Pd vuole davvero fare un’alleanza con la squadra avversaria».
 

Anche perché, da renziano, riterrà irricevibile la richiesta di Di Maio di confrontarsi con un «Pd senza Renzi».

 
«Mi rendo conto che Di Maio sia abituato a modalità di confronto diverse dalle nostre, alla Casaleggio Associati. Noi del Pd amiamo discutere molto di noi stessi e delle strade da prendere, ma soprattutto non cacciamo nessuno e certamente non sulla base dei diktat di un grillino».

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