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Ripensare il welfare

L’intervento di Vanna Iori, responsabile Infanzia e Adolescenza del Pd, pubblicato su l’Unità lo scorso 14 agosto

 

L’Italia deve fare del welfare una sfida avvincente, positiva, non di ripiego. Una risorsa, non un costo. Occorrono strategie mirate, risposte più adeguate, un nuovo corso, in un Paese in cui il 90% della spesa per l’assistenza sociale va in benefit economici e solo il 10% è destinata a servizi reali. Innanzitutto perché i trasferimenti monetari sono una forma di beneficenza istituzionalizzata che crea assistenzialismo e non empowerment, non produce coesione sociale, non genera solidarietà, e spesso non è equamente distribuita.

 

In un momento in cui la crisi e i tagli alla spesa pubblica rendono sempre più problematica e insufficiente una risposta diretta da parte della pubblica amministrazione, il welfare tradizionale non riesce a rispondere ai nuovi bisogni (vecchie e nuove povertà, minore coesione sociale). Inoltre l’impianto di raccolta e di ridistribuzione su base fiscale andava bene negli anni ’60-’80, in un contesto di lavoro stabile dipendente diffuso.

 

Oggi correre “ri-generare” un sistema dei servizi che è superato e immobile. Dalla legge n.328 del 2000 non è stato più riformato. O raccogliamo questa sfida o rischiamo di delegare i servizi al mercato e a soluzioni individuali (possibili solo per pochi). Le buone pratiche già esistenti in altri Paesi europei, così come le esperienze positive di alcune realtà regionali e comunali nel nostro Paese, tracciano alcuni percorsi utili per costruire un welfare di comunità, quel mix di risorse economiche e relazionali che si fonda su nuove forme di solidarietà.

 

Tre i punti che ritengo fondamentali.

Il primo: offrire servizi anziché denaro. Il welfare non è solo un costo perché produce vantaggi relazionali ed anche economici. Il che significa cambiare mentalità, comprendere che anche gli asili nido “producono” lavoro, così come l’anziano assistito, perché i servizi creano occupazione e producono entrate tributarie per lo Stato.

Il secondo: non limitarsi a richiedere risorse aggiuntive per le politiche sociali, ma ottimizzare l’uso di tutte le risorse disponibili, migliorare efficacia, equità, efficienza. Oggi abbiamo risorse scarse ma spesso anche utilizzate male. Abbiamo creato interventi parcellizzati in segmentazioni che non rispondono alla vita quotidiana delle persone.

Il terzo punto: occorre costruire un sistema di servizi integrati, favorendo una maggiore interconnessione orizzontale (tra i servizi pubblici e il ruolo decisivo di una pluralità di attori sociali con i quali concertare gli interventi) e verticale tra pubbliche amministrazioni: Comuni, Regioni, governo centrale, Europa (troppi sono ancora i fondi europei che rimangono inutilizzati).

 

Un sistema di welfare diventa davvero un investimento se è in grado di attivare strategie innovative, fare uno sforzo di invenzione, essere creatore di diritti, costruire responsabilità sociale condivisa, essere capace di guardare al futuro.

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