La vittoria di Emmanuel Macron in Francia senza primarie, senza partito, e soprattutto senza partito socialista ha aperto un dibattito all’interno del Pd, finora rimasto sottotraccia: che ce ne facciamo del Pse?
La discussione non riguarda solo gli ex appartenenti di tradizione cattolica del partito di Matteo Renzi, prevedibilmente più interessati a trovare una via di fuga dal socialismo europeo.
“In uno schema riformisti contro populisti, Macron e Renzi hanno sostanzialmente riformato il fronte riformista. Renzi attraverso le primarie, Macron puntando su un’operazione esterna e liquidando il Partito socialista”, dice al Foglio Matteo Ricci, sindaco di Pesaro, proveniente dalla tradizione diessina, responsabile enti locali del Pd (sta seguendo la partita delle prossime, tutt’altro che facili, amministrative) e vicepresidente dell’Anci.
“Il punto vero adesso sarà allargare il fronte riformista europeo. Noi stiamo dentro il Pse per cambiarlo: oggi serve un Partito democratico europeo. Come è avvenuto in Italia”. E’ insomma arrivato il momento di archiviare il Pse, o quantomeno di superarlo e realizzare anche in Europa ciò che nel 2007 è avvenuto in Italia. “Peraltro aggiunge Ricci neanche in Francia hanno mai fatto il Pd”.
Il socialismo è ovunque in crisi, “in Francia, in Olanda, in Inghilterra il Labour soffre con la nuova leadership di Corbyn. Idem in Spagna. E anche Schulz non sta andando bene in Germania”. In più, aggiunge Ricci, “i socialisti non hanno una vocazione maggioritaria, ma devono sperare, nella migliore delle ipotesi, di governare con i popolari, come succede in Germania”. Invece dovrebbero avere “l’ambizione di governare da soli”.
Si fa “concreto dunque il tema di un Pd europeo e bisogna aprire una discussione anche con i liberali, che per ora sono l’ago della bilancia; un giorno stanno con i socialisti, un altro giorno con i popolari”. E’ insomma evidente che così il Pse non può funzionare, “va allargato e cambiato”. Naturalmente “molto dipenderà da come Macron si posizionerà , io non penso che starà né con i popolari, né con i liberali; fra lui e Renzi ci sono similitudini forti e se insieme fanno gioco di sponda possono cambiare il Pse”.
Bisognerà però aspettare il risultato delle legislative di giugno, poi si aprirà “un dialogo, se i socialisti europei sono svegli. Sicuramente Renzi punterà alla costruzione di un Pd europeo. Grazie a Renzi senza ambiguità siamo entrati nel Pse, dove ci sono i riformisti. Ora è arrivato il momento di aprire e andare oltre la tradizione socialista. E Macron può essere un grande alleato del progetto”. Alla base di un progetto europeo del Pd secondo Ricci ci dovrebbero essere alcuni punti. “Meno austerity, più investimenti; un’Europa rinnovata, per esempio anche attraverso le primarie per la scelta dei vertici della Commissione Europea; un’Europa più federale e meno intergovernativa”.
A quel punto potrebbe nascere anche un dialogo con il Partito democratico americano. Anche se, osservava recentemente Francesco Rutelli sul Foglio, rispetto a qualche tempo fa ci sono problemi non secondari da affrontare. “Renzi ha detto Rutelli ha fatto bene ad appoggiarsi al Pd. Avrebbe potuto trasformare il Pd in uno strumento innovativo anche sul piano internazionale, ma l’adesione al Pse è stata una contraddizione in termini; aveva a disposizione, invece, la carta dei Democratici. Adesso si richiama a Obama, che però se n’è andato e, ricordiamolo, ha perso anche lui.
Ha fatto il presidente otto anni, e ora c’è Trump. Oltretutto, i Democratici americani faranno sempre più riferimento alle posizioni di Bernie Sanders”. Tutt’altro che un renziano, diciamo.
David Allegranti – Il Foglio