Segretario Renzi, il sindaco di Macerata ha chiesto di sospendere ogni manifestazione in città, con il risultato di equiparare il corteo democratico indetto dall’Anpi e i presidi neofascisti. Non è un grave errore rinunciare alla piazza?
«Quando accadono fatti così gravi il compito di un sindaco è quello di abbassare i toni. E recuperare un clima di tranquillità. Sono vicino al sindaco di Macerata Romano Carancini e non solo perché è un bravo sindaco. Ma perché so come ci si sente, ci sono passato anche io. Dicembre 2011, piazza Dalmazia, Firenze: un neonazista uccide Mor e Modou, due ragazzi senegalesi. Motivo: razzismo. Ancora oggi ci sono dei momenti in cui sogno quei giorni. Se il Sindaco Carancini ha fatto quell’appello, noi stiamo con lui. Nessuno rinuncia alla piazza antifascista, ma se viene fatta a Roma anziché a Macerata, con il consenso dell’Anpi, non ci vedo nulla di male. Eviterei di fare polemica anche su questo».
Dice Delrio: “Siamo alla vigilia di una stagione neofascista, la politica non può tacere”. Se ha ragione lui, lei sta sottovalutando il rischio.
«Non parlo di terrorismo, misuro le parole. Non ho parlato di guerra dopo il Bataclan, non parlo di terrorismo oggi. C’è un fatto di cronaca terribile causato dall’ideologia neonazista. Va perseguito il colpevole e combattuto una battaglia per sconfiggere questa cultura di morte. Dire che il Pd sottovaluta non è ingeneroso: soprattutto è falso. Ma a differenza degli altri non soffiamo sul fuoco delle polemiche. Perché siamo responsabili. E non ha senso alzare le tensioni per lucrare mezzo punto di consenso neì sondaggi».
Salvini attacca il Pd ogni giorno. Lei tiene un profilo basso perché teme di perdere voti sul tema dei migranti?
«L’atteggiamento di Salvini è inqualificabile. Se proprio si deve qualificarlo, la parola giusta è squallido. I fatti: un esponente della Lega prende una pistola e spara a sei ragazzi di colore. E spara alla sede del Pd di Macerata. Anziché tacere, Salvini che fa? Getta la responsabilità sul Pd, tanto va di moda darci la colpa di tutto. Squallido, appunto. Tuttavia non lo inseguo nella sua lucida follia. Non lo considero il mandante morale e non lo etichetto come corresponsabile. Dico, più semplicemente, che chi ha sbagliato deve pagare. E che se si vuole trarre un giudizio politico: con quale credibilità afferma di essere in grado di controllare il territorio uno che non riesce a controllare i propri candidati?».
Minniti sostiene di aver deciso la stretta sugli sbarchi perché prevedeva un caso Traini. Da sinistra lo accusano di leghismo.
«In un Paese normale quando accadono certi fatti si condanna l’evento e ci si stringe intorno alle istituzioni. Vivisezionare le parole del ministro dell’Interno per far polemica contro il governo è allucinante. Recuperiamo serenità di giudizio, per favore. Minniti sta facendo un ottimo lavoro».
“Paghiamo le scelte di Berlusconi che ha firmato i trattati europei sull’accoglienza”. Per una volta lei e Di Maio avete usato il medesimo argomento. Ma ingaggiare la sfida a individuare chi ha portato qui più migranti non è già un cedimento alle tesi della destra sull'”invasione”?
«Berlusconi dice cose false e non c’è un giornalista che gli metta sotto il naso la realtà. Ieri il Cavaliere ha detto che vuole rimettere “Strade Sicure”, l’operazione dei militari in strada, e solo la Pinotti gli ha mostrato che Strade Sicure c’è ancora e che anzi mette in strada il doppio dei militari di quando governava Berlusconi. Quando Berlusconi dice che il trattato di Dublino è una scelta sbagliata dice una cosa giusta. Quello su cui mente, tuttavia, è la frase: “Purtroppo Renzi ci ha fatto firmare questo accordo”. Perché questo accordo è del 2003 e al governo c’era proprio lui, Berlusconi, non c’ero io. Sottolineare la verità dei fatti non è subalternità culturale, ma adesione al principio di realtà. Altrimenti sembra una campagna elettorale lunare in cui i fatti non contano. Detto questo rivendico i salvataggi in mare, operazione straordinaria compiuta dai nostri governi. Forse abbiamo perso qualche voto davanti agli indecisi, ma almeno non abbiamo perso la faccia davanti ai nostri figli».
La compilazione delle liste ha lasciato una scia di polemiche nel Pd. Lei rivendica il rinnovamento. Ma l’unico criterio evidente di scelta è stato la fedeltà alla leadership.
«Chi parla di fedeltà non ha visto le liste. Noi abbiamo messo in campo i migliori. E abbiamo fatto alcune aperture significative alla società civile, da Paolo Siani a Lisa Noja, da Carla Cantone a Lucia Annibali al vostro ex collega Tommaso Ceno. Ci sono tutti i principali ministri, c’è tutto il gruppo dirigente del partito: ma di che parliamo? Facciamo campagna elettorale: è meglio per tutti».
Quasi tutti i big del Pd sono schierati nel collegio d’appartenenza. Boschi è a Bolzano. L’unico modo di eleggerla era con i voti della Svp?
«L’ossessione per la Boschi è notevole. In molti corrono fuori dai propri confini. Padoan è a Siena, Minniti a Pesaro, De Vincenti a Sassuolo, Giachetti in Mugello, la Fedeli a Pisa, Orlando in Emilia, Damiano a Terni e si parla solo di Boschi? Abbiamo scelto di non candidare Boschi a Arezzo perché volevamo evitare di parlare solo di Banca Etruria. Rivendichiamo tutto ciò che abbiamo fatto sulle banche appunto da candidare Padoan a Siena ma l’accanimento su Arezzo di questi mesi ci ha consigliato di optare per una soluzione diversa. La Boschi e Bressa rappresenteranno in Alto Adige il lavoro svolto dal governo per le autonomie: tradizionalmente ci si candidano esponenti dell’esecutivo, è accaduto così anche stavolta».
Merkel IV governerà con una grande coalizione. La formula di governo può diventare un “suggerimento” all’Italia?
«No. La storia tedesca è molto diversa. Lì fanno accordi seri: trattano per mesi anche le virgole, poi rispettano l’accordo. Da noi mi pare impossibile. Ma come si fa a fare una grande coalizione quando i grillini sono nelle mani di un’azienda proprietaria e hanno quelle idee su Europa, vaccini o ricerca? E come si fa quando Berlusconi è al traino di Salvini? No, non vedo praticabile la strada delle larghe intese con questa destra, né con questi grillini: noi non facciamo accordi con gli estremisti».
D’Alema dice che il 5 marzo l’unica soluzione è il governo del presidente.
«Che D’Alema abbia molta voglia di tornare sulla scena, d’intesa con Berlusconi, non è un mistero. Non so come farà Fratoianni a seguirlo: penso che Leu si dividerà subito. Ma prima di arrivare al 5 marzo a me interessa il 4 marzo. E per questo dico ai militanti della sinistra radicale: votare oggi contro il centrosinistra significa avvicinare Salvini a Palazzo Chigi o al Viminale. Votare per D’Alema oggi significa regalare a Salvini una chance in più di governare: sicuri che il gioco valga la candela?».
Avete impostato tutta la legislatura individuando in M55 il vostro competitor. E ancora oggi la campagna Pd è concentrata contro i grillini. Ma è il centrodestra che guida la volata. Avete sbagliato tutto?
«I Cinque Stelle sono un movimento con troppe vicende oscure. Berlusconi è preoccupante per l’economia, Salvini è preoccupante per la sicurezza, ma Casaleggio è preoccupante per la democrazia. Ne stanno accadendo troppe, tutte insieme, ma l’opinione pubblica sembra distratta, anestetizzata. Non era mai accaduto che dei candidati in lista dicessero: forse dopo rinunciamo. La candidatura in Lazio di Dessì, un manesco protagonista di scroccopoli. Quella in Veneto della Cunial che paragonai vaccini a un genocidio. E adesso da ultimo questa strana vicenda di Cecconi nelle Marche che rilascia comunicati con toni da prigioniero politico. Qualcuno si sta chiedendo: che succede là dentro? Hanno riempito le liste di impresentabili: c’è qualcosa di sorprendente dentro i Cinque Stelle e siamo solo all’inizio».
Ha sempre prestato grande attenzione a sondaggi e umori dell’opinione pubblica. Gentiloni ha in questo momento un gradimento molto superiore al suo. Perché non è lui il candidato premier della coalizione?
«Perché un partito democratico i candidati li sceglie con le primarie e non con i sondaggi. Altrimenti diventiamo un partito di plastica come altri. Detto questo con Paolo non abbiamo mai litigato e non litigheremo adesso. Il candidato premier della coalizione è una figura che non esiste con questa legge elettorale. Deciderà il Presidente della Repubblica. Nel frattempo si lavora insieme, tutti insieme, perché il Pd ottenga un buon risultato. Noi non vogliamo ridare questo Paese agli estremisti e a chi ci ha regalato la crisi dello spread».
Ripartiamo dal 40 per cento del sì al referendum, aveva detto dopo essersi dimesso da Palazzo Chigi. Ora sembra bastarle il 25% che prese Bersani. Che farà se il Pd non dovesse arrivare nemmeno a questa quota?
«Il mio obiettivo è che il Pd sia il primo partito e il primo gruppo parlamentare. E nei sondaggi di oggi pure negativi il Pd è avanti di sette/otto punti su Berlusconi. Per la percentuale non tocca a me fare previsioni o pronostici, immaginare un numero è ancora molto complicato. Ma tanti di noi ci credono ogni giorno di più. Questo Paese non apprezza gli estremisti, mai: non si consegnerà al leghismo, non si consegnerà al grillismo. Non torneremo indietro rischiando di sciupare tutti i sacrifici fatti».