Firenze. “Ok. Stiamo al gioco. Diciamo così: se Paolo le ha davvero detto che lui è come la camomilla, allora le dico che io assomiglio di più alla Red Bull. Ci sono dei momenti in cui serve la camomilla e dei momenti in cui serve la Red Bull. Forse anche per questa diversità Gentiloni e io non litigheremo mai. Viva le camomille e viva anche le Red Bull”. Chiuse le liste, assorbite le polemiche, metabolizzate le ferite, la campagna elettorale di Matteo Renzi comincia a prendere forma e i messaggi su cui il segretario del Pd intende puntare nei prossimi mesi, per provare a vincere le elezioni, sono principalmente tre: il match point contro il Movimento 5 Stelle, l’alternativa al modello Salvini, l’Europa come vero spartiacque tra chi tenta di costruire il futuro dell’Italia puntando sull’idea dell’apertura e chi invece scommette sul modello della chiusura. Di là, dice Renzi in questa conversazione con il Foglio, ci sono i Salvini e i Di Maio. Di qua invece c’è il Pd, unica alternativa, sostiene Renzi, al modello Le Pen. Che c’entra il modello Le Pen? Prima di arrivare alla differenza tra una Red Bull e una camomilla, la nostra chiacchierata con Renzi parte da qui.
“Quando Marine Le Pen ha ammesso che tra i cinque stelle e la Lega esiste una simmetria culturale ha detto una cosa importante e intelligente, che spesso sfugge a molti commentatori. Oggi, in queste elezioni, il vero crinale è tra la società aperta e il protezionismo, tra chi sogna gli Stati Uniti d’Europa e chi sogna le Regioni Divise della Padania, tra chi scommette sul rigore della scienza e chi punta sulla conoscenza un tanto al chilo sulla rete. La sfida vera, per capirci, è tra chi può continuare a far crescere l’Italia e tra chi vuole fermare questo cammino. E il paladino di questa Italia che si vuole fermare credo sia senza dubbio Matteo Salvini”. Addirittura? “Addirittura. Forse non vi dedichiamo particolare attenzione, ma in Italia stiamo assistendo a un tentativo di fusione a freddo tra popolari e populisti. Un centrodestra come quello che c’è in Italia, e i cui principali attori la pensano in modo diverso su tutto, dall’Euro all’Europa, dai vaccini al lavoro, non esiste in nessun grande paese dell’Unione Europea. In Austria governano insieme ma dopo che si erano presentati alle elezioni su due piattaforme ben diverse”.
Chi è di centrodestra e non ama Salvini può votare per Forza Italia, perché preoccuparsi?
“Perché in molti collegi un voto a Forza Italia è un voto che va alla Lega di Salvini. Così come se mi è consentito anche un voto che va al partito di D’Alema, che nei collegi uninominali non ha alcuna speranza di eleggere parlamentari, è un voto regalato al centrodestra di Salvini. E un voto che va a Salvini è un voto che va a un partito guidato da un leader che, per capirci, sostiene il no all’obbligatorietà dei vaccini, che si presenta alle elezioni con il volto di chi vuole fare pulizia in Italia quando invece non è riuscito a fare pulizia neppure nel proprio partito e che ha un’idea d’Europa quantomeno curiosa: un anti europeista che diventa europeista ogni ventisette del mese solo per incassare lo stipendio da europarlamentare e che negli altri giorni del mese invece non tocca palla su nessun dossier. Mai. E quando dico che non tocca palla su nessun dossier penso a quello che ha detto sui dazi alla Trump. Pensare di mettere i dazi in un paese come l’Italia che vive anche di export significa non sapere neppure come funziona il nostro paese e significa non rendersi conto che un dazio è la misura più anti italiana che possa esistere. Le aziende del Nord Est crescono perché sono straordinarie realtà globali: se crei un mercato chiuso le uccidi”.
“Ecco: se devo pensare al politico più distante da me in questa campagna elettorale – continua Renzi – penso a Salvini. Io provo a scommettere sull’Europa per costruire un sogno. Lui scommette sull’Europa solo per evocare l’incubo della paura”.
Più distante da Salvini che da Di Maio?
“Sinceramente, sono d’accordo con Paolo Gentiloni quando dice che il movimento 5 stelle non ha possibilità di arrivare al governo del paese, a meno che dopo le elezioni non faccia accordi con qualcuno, che poi per me significa fare l’accordo con la Lega. Ma allo stesso tempo non dobbiamo dimenticare che il 4 marzo l’Italia avrà una grande occasione: giocare il suo match point per sconfiggere in modo definitivo il movimento 5 stelle. Se il Movimento Cinque Stelle che da mesi dichiara di essere il primo partito non otterrà la prima posizione assisteremo a uno scontro selvaggio dentro quell’esperienza. Perché se sarà il primo partito probabilmente non governerà non riuscendo a creare una coalizione. Ma se addirittura sarà secondo – dopo il Pd che oggi è distanziato di meno di due punti nei sondaggi, e quindi è lì, a un passo – il dato politico sarà definitivo. Lo dico con la consapevolezza di chi riconosce che il cinque stelle è un’esperienza straordinariamente intrigante della nostra vita politica, come lo può essere un partito in fondo nato dal nulla, ma lo dico forte di una convinzione chiara: il partito guidato da Di Maio è governato da una somma di contraddizioni, non di idee, e a mio avviso è inevitabilmente destinato ad esplodere, se non vince. Guardate cosa è successo con le loro liste: erano partiti dall’idea romantica dell’uno vale uno, sono arrivati ad avere un capo politico teleguidato chissà da chi che sbianchetta in segreto le liste nascondendosi dietro l’alibi di un software. Ma per far esplodere del tutto le contraddizioni per il Pd è fondamentale stare di fronte a loro alle prossime elezioni anche di uno zero virgola. E chi considera il movimento 5 stelle e il populismo come il vero nemico da battere oggi ha una sola scelta: votare per il Pd. Sia detto chiaro a chi teme l’avanzata del populismo: o li sconfigge il Pd o loro canteranno comunque vittoria”.
Paolo Gentiloni rivendica di aver portato una certa dose di camomilla nel dibattito politico. Per far esplodere le contraddizioni del grillismo è sufficiente la camomilla?
Matteo Renzi sorride e la mette così. “Io credo che in campagna elettorale sia necessario un giusto mix tra buon senso, equilibrio e capacità di prendere i voti. Sono d’accordo con Paolo quando dice che per il paese era importante aggiungere un elemento di serenità e di distensione e non c’è ombra di dubbio che la definizione che Gentiloni ha dato di se stesso al vostro giornale sia, oltre che simpatica, anche veritiera. Io se posso dire però mi sento più una Red Bull che una camomilla. Non bisogna eccedere con nessuna delle due: bisogna solo ricordare che la forza di un partito è nella combinazione tra fattori apparentemente distanti. E sappiate che comunque Red Bull e Camomilla non intendono litigare neppure sotto tortura”.
Neppure quando il presidente del Consiglio dice che in questa campagna elettorale, tecnicamente, non esistono i candidati premier?
“Anche in questo caso. La legge parla di ‘capo politico’. Il candidato premier lo individuerà il Presidente della Repubblica sulla base dei risultati come da previsione costituzionale”. Insistiamo: ma se il presidente della Repubblica dovesse dare un incarico a qualcuno del Pd per formare un governo, per quell’incarico il Pd suggerirebbe prima il nome di Renzi o prima quello di Gentiloni? “Pensiamo a diventare primo partito e primo gruppo parlamentare. Fare ipotesi su quello che dovrebbe fare Mattarella è istituzionalmente poco corretto: c’è un Capo dello Stato, decide lui”.
Cambiamo pagina e passiamo al tema di questi giorni: le liste. In un colloquio con la Stampa di ieri, Enrico Letta, ex presidente del Consiglio, ha detto di essere molto preoccupato per le liste del Pd e ha detto che la scelta di aver scommesso più sulla fedeltà che sulla competenza è “un altro insperato e immeritato regalo a Berlusconi e ai Cinque Stelle: una incredibile corsa verso l’abisso”.
“Io – dice Renzi – credo che chi fa politica da una vita sa perfettamente che queste polemiche ci sono tutte le sante volte che si scelgono le candidature ed Enrico sa bene che le stesse polemiche ci furono nel 2013 quando il segretario era Bersani e il suo vice Letta e a fare le liste non ero certo io”. Pausa. “Detto questo, ho visto cose incredibili in questi giorni e me le tengo per me, perché c’è da vincere le elezioni, senza rincorrere il chiacchiericcio e le piccole miserie di ciascuno di noi: rivendico di aver fatto un buon mix tra molte professionalità. Abbiamo fatto una buona combinazione tra elementi uscenti ed elementi di innovazione. E sono orgoglioso di aver aperto il Pd anche a persone di valore che vengono da esperienze diverse rispetto a quella della politica. Penso a Paolo Siani, a Napoli. Penso a Carla Cantone o a Lucia Annibali. Penso a chi in Parlamento ha scelto di non entrare, per dare una mano agli altri facendo un passo indietro come Yoram Gutgeld: è il padre degli 80 euro, ha fatto uno straordinario lavoro sulla revisione della spesa ottenendo risultati molto efficaci. Eppure quando ha visto il caos candidature mi ha detto: Matteo, io faccio un passo indietro e mi rituffo nel privato. Però prima ti aiuto in campagna elettorale. E se vinciamo sarà con noi a darci una mano al governo, altro che privato. Penso anche a una formidabile truppa di quarantenni che se gli elettori ce lo permetteranno rappresenteranno nel prossimo Parlamento la nostra idea di Pd”.
E qual è l’idea di Pd?
“Vi faccio un esempio su tutti. Il nostro Pd è quello che dice di sì alla candidatura di un giovane ma straordinario avvocato come Lisa Noja e che dice di no alla candidatura di Antonio Di Pietro. E la ragione per cui abbiamo detto no alla candidatura di Di Pietro è semplice: Di Pietro rappresenta una cultura giustizialista che noi non abbiamo mai apprezzato e con tutto il rispetto per la sua persona quella storia rappresenta il passato. Quando hanno provato a farmelo candidare io ho detto con sincerità: se volete che il Pd porti Di Pietro in Parlamento dovete trovarvi un altro segretario”.
Chiediamo a Renzi se c’è un volto nelle liste del Pd che più degli altri rappresenta l’idea di Europa che il Pd intende portare in campagna elettorale e il segretario del Pd dice che quel volto oggi è ben rappresentato non solo da Giuliano Da Empoli, capo del think tank Volta, e da Sandro Gozi, attuale responsabile dei rapporti con l’Europa del governo, con i quali Renzi ha incontrato prima Emmanuel Macron (presidente francese) e poi Albert Rivera (Ciudadanos), ma in primis da Tommaso Nannicini: “Nannicini è contemporaneamente il simbolo di unMatteo Renzi: “I tre principi non negoziabili del PD sono Europa, lavoro e protezione sociale” modo di pensare all’Europa molto rigoroso sui conti ma anche di un modo di pensare all’Europa che non si rassegna al grigiore della burocrazia e che cerca di dare una dimensione più politica a molti tempi, a partire dal welfare”.
Dovendo pensare a qualcuno che rappresenti bene le idee di politica economica del Renzi che si presenta per la prima volta in una campagna elettorale politica, il segretario del Pd pensa a un nome su tutti: Pier Carlo Padoan.
Renzi dice che “il suo tratto saggio ed equilibrato sarà una delle sorprese positive di questa campagna elettorale e poi se lo conosco a Siena si divertirà come un matto, come quando giovane professore iniziò proprio dalla città del Palio” e il segretario del Pd ammette che così come Padoan ha cambiato alcune idee grazie a Renzi (sugli ottanta euro) allo stesso modo Renzi ha cambiato alcune idee grazie a Padoan: “Negli anni in cui sono stato al governo, ammetto che io avrei voluto non rispettare il fiscal compact e sforare il deficit. Padoan voleva rispettare il Fiscal compact in modo più dogmatico e non sforare il rapporto tra deficit e pil. Sul Fiscal compact abbiamo trovato una soluzione intermedia: siamo stati una bella coppia, no?”.
Chiediamo a Renzi se la scelta di candidare molti ministri a queste elezioni, in diversi collegi uninominali, sia anche un tentativo di mettere alla prova i ministri e di misurare il loro consenso. Renzi capisce il trabocchetto e dice che no: “Il risultato che porteranno a casa i ministri sarà prezioso per il Pd, ma il risultato dei loro collegi non sarà un’esame di preparazione per un possibile futuro governo”.
Nei prossimi giorni, entro mercoledì, il Pd presenterà la lista completa delle sue cento proposte per cambiare l’Italia e l’occasione è buona per far notare a Renzi un problema della sua campagna elettorale.
Il centrodestra ha la flat tax, il movimento 5 stelle ha il reddito di cittadinanza, il Pd cosa è, cosa ha?
“Il Pd farà campagna elettorale per dimostrare che a differenza dei suoi avversari noi non vogliamo prendere in giro gli elettori con promesse elettorali impossibili. Noi diremo che gli elettori non sono come dei consumatori a cui vendere la merce. Diremo che la flat tax è sbagliata perché la flat tax segue un principio simile allo sceriffo di Nottingham e alimenta le diseguaglianze: togliere ai poveri per dare ai ricchi. Diremo che il reddito di cittadinanza è diseducativo prima che sbagliato perché alimenta i peggiori istinti assistenzialisti del nostro paese. Diremo tutto questo ma poi punteremo su un principio importante: la nostra capacità di saper fare le cose”. In che senso? “Nel senso che vogliamo proseguire nella strada del Jobs Act, rendendo sempre più facile assumere a tempo indeterminato. Nel senso che vogliamo proseguire nella strada degli ottanta euro, dandoli, compatibilmente con le condizioni economiche, alle famiglie che sceglieranno di avere figli, fino al diciottesimo anno di età. Ci saranno molte proposte importanti, e avrete modo di vederle, ma al centro di tutto ci sarà la nostra capacità di governare. I nostri circa 1500 giorni di governo, sommando i mille giorni di Renzi e i quasi cinquecento di Gentiloni. E per dimostrare che non vogliamo prendere in giro gli elettori diremo chiaramente che nel futuro le nostre leggi di stabilità verranno fatte senza superare mai i livelli delle leggi di bilancio fatte in questi mille giorni. Due, tre punti di pil massimo. Mai una legge di bilancio che abbia un centesimo in più rispetto a quello che siamo già stati capaci di fare”.
C’è un problema però. La legge con cui si voterà il 4 marzo costringerà probabilmente i partiti a dover studiare maggioranze non naturali rispetto alle premesse della campagna elettorale e per questo proviamo a fissare con Renzi quali sono oggi i paletti delle alleanze del Pd.
Ovvero sia: quali sono i tre valori non negoziabili rispetto ai quali Renzi non negozierà nel caso in cui il Pd fosse chiamato ancora a una prova di governo?
Tre punti dice Renzi: “Per me non è negoziabile l’idea che abbiamo di Europa. Non è negoziabile l’idea che abbiamo di lavoro, perché l’Italia è fondata sul lavoro e non sull’assistenzialismo. Non è negoziabile l’idea che abbiamo di protezione sociale. Non è negoziabile giocare con l’Euro e il lepenismo. Non è negoziabile avere una visione ideologica sul lavoro – e prima o poi bisognerebbe dire in modo chiaro che il Jobs Act è uno strumento dove gli incentivi servono per lavorare mentre il reddito di cittadinanza è uno strumento dove gli incentivi servono per non lavorare. Non è negoziabile l’idea che la forma migliore per proteggere chi oggi ha paura sia quella di restringere i nostri confini. Di chiuderci in noi stessi. La paura si batte non fuggendo dagli altri ma costruendo con gli altri una rete di protezione. E quella rete di protezione oggi si chiama Europa sociale” . Non le piacerebbe mettere insieme questi principi non negoziabili con una forza di sinistra come Liberi e uguali? “Non penso che quello di Leu sia un progetto destinato ad avere un futuro. D’Alema ha due disegni organici. Primo: tornare a far parte del giro, conquistando uno strapuntino in Parlamento. Secondo: riprendersi in mano la sinistra, cercando di distruggere la leadership. Abbiamo preso il 41 per cento, dal giorno dopo per lui l’obiettivo non è stato valorizzare quel risultato, ma distruggere chi quel risultato ha ottenuto. Non c’è altro, ma almeno riconosciamogli una certa dose di coerenza”.
Il tempo è quasi scaduto e stuzzichiamo Renzi con alcune domande più rapide.
Esiste una differenza tra i 500 giorni di Gentiloni e i 1.000 di Renzi. E quale sarà il modello di governo che Renzi porterà in campagna elettorale?
“Porteremo tutti i nostri 1.500 giorni, noi siamo una squadra. E se c’è una differenza è che durante il governo Gentiloni il Pd è stato impegnato ancora di più rispetto al passato al sostegno del suo governo”.
Cosa può cambiare per l’Europa dalla nascita di una grande coalizione in Germania?
“L’Europa ha bisogno di una Germania forte, ma la presenza di una Francia ancora più forte riequilibra l’asse franco-tedesco. Nulla di nuovo in Europa. L’unica vera novità può essere l’Italia, se riuscirà ad avere un governo forte: noi lavoreremo per quello”.
Ha mai pensato Renzi che le persone che hanno votato alle primarie del Pd, circa due milioni, sono numericamente le stesse che hanno votato per il partito socialista francese, prima del suo collasso alle elezioni.
“Mi guardo in giro per l’Europa e vedo che in Francia, in Olanda e un po’ ovunque il centrosinistra è ai minimi termini. Vedo come sta oggi il Pd, vedo i sondaggi, e dico che il Pd è oggi l’unico grande partito di sinistra in Europa che può ambire ad avere un ruolo guida in un prossimo governo”.
Oggi i sondaggi nel migliore dei casi al Pd danno il 25 per cento. Rispetto al 40 per cento delle Europee e al 40 per cento del referendum sono circa 15 punti in meno.
“In questa campagna elettorale proverò a parlare a quel quaranta per cento. E a tutte le persone non del Pd che ci hanno votato per esempio al referendum del 2016 dico: ma chi altro potete votare, se non noi? Se votate Berlusconi, votate anche Salvini. Se votate per Grasso, aiutate Salvini. Noi non facciamo remake di cose che non siamo riusciti a fare nel passato – perché il centrodestra la flat tax ha già provato a farla nel 2003 e non c’è riuscito. Noi vogliamo giocare all’attacco, puntare sull’orgoglio dell’Italia e dire che il nostro paese è più simile all’Italia meravigliosa fatta vedere ogni settimana da Alberto Angela che all’Italia triste e rancorosa fatta vedere ogni giorno dai talk show. Vogliamo giocare all’attacco, non col catenaccio: più sul modello del profeta Arrigo Sacchi che su quello del pur grandissimo Nereo Rocco. Sapendo che giocando all’attacco qualche volta si prende qualche gol. Ma sapendo anche che un grande paese come l’Italia non può permettersi di vivere di solo catenaccio”.
Un po’ di camomilla, un po’ di Red Bull. La campagna elettorale di Renzi comincia così.