“L’Italia non può immaginare di buttare giù le riforme del mercato del lavoro o di mettersi ai margini dell’Europa”
di Paolo Gentiloni
L’Italia merita una seconda stagione di riforme. E il Piano di Confindustria va in questa direzione con un rilevante contributo di proposte e soprattutto con il giusto spirito del tempo. I nostri governi nella legislatura appena conclusa hanno accompagnato l’economia per un tratto di strada importante.
Siamo usciti dall’onda lunga della crisi del 2008, che aveva comportato la perdita di 10 punti di Pil, 25 punti di produzione industriale, e un milione di occupati. Siamo riusciti, gradualmente, a far ripartire la domanda interna, senza gravare eccessivamente sulle finanze pubbliche, a causa di un debito pubblico già molto elevato quando la crisi ci ha colpito.
La capacità di innovazione delle nostre imprese e l’impegno delle famiglie italiane sono stati sostenuti dalle misure per consumi e investimenti che, assieme all’aggancio della ripresa internazionale, hanno fatto tornare gli occupati ai livelli pre-crisi, Pil e produzione industriale, trainati sia da export che dalla domanda interna, sono finalmente su uno stabile sentiero di recupero.
Il tutto è avvenuto garantendo la sostenibilità delle finanze pubbliche, che hanno visto il dimezzamento del deficit (dal 5.3% del 2009 al 2.1% del 2017) e la stabilizzazione del debito.
Un’altra sfida, ben più impegnativa, riguardava criticità profondamente radicate e ha visto l’avvio di importanti riforme strutturali: quelle dei mercati (lavoro, capitale, beni e servizi), della pubblica amministrazione, della giustizia civile, della scuola, del sistema fiscale.
A mio avviso l’Italia vincerà la sua battaglia nella misura in cui sarà in grado nei prossimi anni di completare la prima sfida (riportando la domanda interna su tassi di crescita adeguati), ma soprattutto di vincere definitivamente la seconda.
Per farlo, occorre agire su alcuni temi. Completare la riforma dei mercati: quello del lavoro, con politiche attive che annullino il mismatch tra domanda e offerta e un massiccio investimento nell’istruzione tecnica superiore; quello dei capitali, continuando a sviluppare fonti di credito alternative al sistema bancario per rendere le nostre imprese più grandi, più resilienti e più forti; quello dei beni e servizi, con leggi annuali sulla concorrenza in grado di aumentare il potenziale di attività economica e ridurre i costi in particolare nei settori strategici delle telecomunicazioni, dell’energia, dei trasporti.
Innestare un cammino di riduzione graduale ma costante del nostro debito pubblico, contando, da un lato, sulla ripresa della crescita nominale e, dall’altro, sul mantenimento di una politica fiscale in grado di bilanciare il necessario rigore e la possibilità di fare politiche espansive se servirà. Rendere strutturale la ripresa degli investimenti che giustamente Confindustria mette al centro della sua proposta di investimenti: quelli privati, mettendo a regime gli strumenti selettivi ai sostegno sperimentati in questi anni, e pubblici, la cui ripresa è ancora lenta, non più per la mancanza di risorse ma in virtù di una filiera di funzionamento (progettazione e gara) che è troppo arrugginita dagli anni di vacche magre.
Infine, vincere una volta per tutte la sfida della semplificazione, investendo con decisione sulla digitalizzazione del Paese: semplificazione del fisco, degli adempimenti burocratici, del funzionamento della giustizia.
La strada percorsa non si è ancora tradotta in risultati sufficienti. Per il lavoro, l’inclusione sociale, la riduzione delle diseguaglianze, la competitività. Ecco l’urgenza economica e sociale della seconda stagione delle riforme. Definiremo l’agenda insieme, con Confindustria e tutti gli attori economici e sociali rilevanti. Ma con una certezza: che tutto può essere messo in cantiere, tranne lo sperpero dei risultati fin qui raggiunti.
L’Italia non può permettersi di rinunciare alla serietà sui conti pubblici e alla riduzione del debito. L’Italia non può immaginare di buttare giù le riforme del mercato del lavoro; o di pregiudicare la sostenibilità del sistema pensionistico; o di mettersi ai margini dell’Europa che, nei mesi prossimi, aprirà un cantiere di riforma cruciale del quale l’Italia deve essere protagonista.
Guai a tornare indietro. E guai a restare fermi, paghi dei risultati raggiunti. La credibilità dei governi a guida Pd e delle forze europeiste e riformiste continuerà ad essere indispensabile per il futuro dell’Italia.
Incrementare Pil e occupazione: sono gli obbiettivi del Pd
di Matteo Renzi
Come ho detto questa mattina incontrando a Napoli l’Unione degli Industriali locali, (ieri per chi legge, ndr) esprimo grande apprezzamento per le parole pronunciate dal Presidente di Confindustria Vincenzo Boccia ieri a Verona: il suo è un modo di fare serio, giusto, con una visione concreta. Il suo auspicio di portare il Pil italiano in zona 2%, incrementare considerevolmente l’occupazione e tagliare il debito corrisponde all’obiettivo del Partito Democratico per l’Italia. E proprio di questo parlerò nei prossimi giorni agli industriali che ho in programma di incontrare anche a Firenze e Milano.