In vista del referendum del 17 aprile la segreteria nazionale del Pd ha indicato come preferibile la scelta dell’astensione. Del tema torneremo a discutere nella prossima riunione della direzione, sia perché tra i promotori ci sono diverse Regioni governate dal centrosinistra, sia perché alcuni esponenti della minoranza del nostro partito hanno già dichiarato l’intenzione di recarsi alle urne. Non credo abbia molto senso drammatizzare questa differenza di opinioni.
Vale però la pena cercare di fare chiarezza sulla natura di questa consultazione. I promotori del referendum avevano assunto un’iniziativa molto più ampia con sei differenti quesiti, cinque dei quali non ammessi per le modifiche introdotte in materia di trivellazioni con l’ultima legge di stabilità. Il quesito rimasto in vita non riguarda le attività estrattive sulla terraferma né le nuove eventuali ricerche in mare, essendo tra l’altro state esplicitamente vietate nuove trivellazioni entro le 12 miglia dalla costa. Esso si riferisce invece esclusivamente alla durata delle concessioni già in essere per l’estrazione di petrolio e gas metano da alcune piattaforme collocate in mare.
Personalmente ritengo del tutto legittimo per un partito, ed ovviamente per ogni elettore, decidere di non andare a votare tanto più di fronte ad una questione parziale e mal posta come in questo caso. La politica energetica che l’Italia – e l’Europa – si sono impegnate a realizzare per i prossimi anni va verso il superamento dei combustibili fossili e verso lo sviluppo delle fonti rinnovabili. Gli obiettivi internazionali che abbiamo assunto sono assolutamente seri e le nostre tecnologie sono molto avanzate, come dimostra la centrale Enel di Stillwater che in questi giorni il Presidente Renzi ha inaugurato in Nevada.
Questa prospettiva richiede tuttavia, tanto più per un Paese che ha scelto di rinunciare al nucleare, una fase di transizione che le politiche pubbliche debbono accompagnare ed indirizzare. Ecco perché il referendum è sbagliato, nel merito e nel metodo. Mettere a repentaglio alcune migliaia di posti di lavoro, professionalità impegnate in impianti in funzione da molti anni e regolate da norme di sicurezza assolutamente rigorose, non ha nulla a che vedere con la necessità di favorire una riconversione ecologica della nostra politica energetica.
Un unico rammarico possiamo esprimere circa il fatto che non si sia potuta evitare questa consultazione referendaria che, qualunque sarà l’esito, risulterà inutile e non avvicinerà in alcun modo una maggiore consapevolezza sui temi della tutela dell’ambiente e delle energie pulite. Tuttavia ho detto all’inizio che non enfatizzerei le opinioni diverse al nostro interno. Semmai partirei da qui per organizzare, dopo la scadenza del 17 aprile, un grande appuntamento del Pd sullo sviluppo sostenibile, chiamando a raccolta le migliori energie culturali, scientifiche e imprenditoriali del Paese, per fare con loro un bilancio – a mio avviso molto positivo – dei provvedimenti che abbiamo adottato in questa legislatura e individuare i prossimi obiettivi da porre alle politiche pubbliche nazionali e territoriali.
Ci sono alcuni temi sui quali si misurerà nel prossimo futuro, nel mondo sviluppato e democratico, il discrimine tra conservatori e progressisti e anche la differenza tra chi esprime una cultura di governo e chi sa fare solo opposizione o propaganda demagogica. Uno di questi è quello delle migrazioni e dell’integrazione, l’altro sarà senza dubbio quello della qualità dello sviluppo, della capacità di coniugare valorizzazione delle risorse ambientali, sapere, creatività, nuovi stili di vita e nuove competenze imprenditoriali.