«Dico solo una cosa: era ora». Forse Romano Prodi credeva di aver fatto il callo alle molte delusioni che gli sono arrivate dalla “sua” Europa. Ma il tono di voce con cui commenta le ultime dichiarazioni di Angela Merkel sulla necessità di formalizzare una Ue a due velocità, proprio quando l’Europa è sotto l’attacco concentrico di Trump e di Le Pen, lascia trasparire qualche bagliore del vecchio entusiasmo europeista.
Ha ragione la Merkel, allora?
«Sono due anni che lo ripeto: questa, in mancanza di una condivisa politica europea, è l’unica strada percorribile. Tutti insieme non si riesce a portare avanti il progetto europeo. La mossa della Cancelliera è benvenuta anche perché mi sembra che finalmente dia una prima risposta a Trump e a Le Pen».
In che senso?
«Ma come? Trump fa la rivoluzione, annuncia scompigli, attacca la Germania e cerca di dividerla dal resto d’Europa, mina la difesa europea. Le Pen predica la morte della Ue e perfino della Nato. Siamo di fronte ad un doppio attacco coordinato: dall’estero e dall’interno. Trump e Le Pen sono i due volti dello stesso pericolo: non capisco come mai non si siano ancora sposati. E finora non era arrivata nessuna reazione. Questa è la risposta che aspettavo, anche se avrei preferito che nascesse da un più ampio dibattito politico. Finalmente la Germania sembra cominciare ad assumersi quel ruolo di leadership che non aveva mai voluto esercitare. Va bene così».
Va sicuramente bene per l’Europa. E per l’Italia? Il nostro governo è entusiasta della svolta. Ma siamo sicuri di poter restare nel nocciolo duro? Non è che a Berlino qualcuno pensa di lasciarci fuori?
«Il pericolo esiste. Il fatto che la proposta venga dalla sola Germania e arrivi proprio adesso, lascia adito a qualche timore. L’Europa a due velocità non è e non deve diventare un’Europa di prima e di seconda classe. Soprattutto non un’Europa in cui i passeggeri della prima classe decidono chi deve stare in seconda. Sarà il caso che il governo italiano si prepari bene, perché il vertice di Roma, a marzo, escluda questa eventualità».
Quello delle due velocità è un metodo. I contenuti verranno definiti dai nuovi governi che usciranno dalle elezioni in Francia e Germania. A questo punto non sarebbe meglio anticipare il voto anche in Italia per avere un governo forte quando la vera discussione si aprirà?
«Ho sempre considerato l’ipotesi di elezioni anticipate una prospettiva poco probabile e, in questa fase, politicamente sbagliata. A maggior ragione, ora, credo che il governo italiano debba avere la tranquillità necessaria per affrontare questi temi. La sfida delle due velocità interpella tutto il Paese e l’Italia deve tornare a diventare un protagonista attivo della politica europea».
Come?
«Il problema dell’Italia è la demoralizzazione della società, che non crede più in se stessa. Per aggiustare queste cose, ci vuole il cacciavite. E una politica di lungo periodo, che abbia una sua continuità»,
Che Europa uscirà dal voto francese e tedesco?
«Escludendo l’ipotesi di una catastrofe, come la vittoria di Le Pen in Francia, mi sembra che sarà un’Europa comunque non peggiore di questa. La Merkel, che finora era passiva e immobile, si è lanciata in questa proposta. E il suo avversario, Martin Schulz, è sicuramente più europeista di lei. Quanto alla Francia, mi sembra che tutti e tre i candidati dell’area democratica siano più vicini all’Europa del presidente attuale. Fino a qualche tempo fa, come sono andato scrivendo su Il Messagero, pensavo che questo anno elettorale non avrebbe portato novità sostanziali. Ora vedo possibilità di qualche progresso per l’Europa. E questo anche grazie all’effetto Trump».
In che senso?
«Lo scossone dato da Trump sta diventando un acceleratore della politica mondiale. Prima, l’America era il fratello maggiore e la Germania era il più grande dei fratelli minori che ubbidivano al primogenito. Con l’arrivo di Trump, l’America non è più un fratello maggiore, ma un cugino dispettoso. E i fratelli europei adesso si trovano a dover reagire».
In un’Europa a più velocità non tutti saranno insieme nei vagoni di testa. C’è chi condividerà la moneta e non la difesa, chi parteciperà allo spazio unico di sicurezza ma non all’Europa sociale. Come definire questo nuovo perimetro?
«E chiaro che un’Europa a più velocità avrà partecipanti diversi a seconda degli specifici obiettivi. C’è chi è più pronto a mettere in comune la difesa, chi lo spazio unico di sicurezza e chi l’Europa sociale. È tuttavia essenziale che tutti però abbiano l’obiettivo di pna integrazione sempre più forte. Chi non lo condivide, chi vuole restare all’Europa delle nazioni, si pone automaticamente al di fuori. Certo io avrei voluto un’Europa che si realizzasse in modo veloce e lineare, una specie di discesa libera mentre adesso dovremo andare avanti con un complicato slalom. L’importante però è che il traguardo sia lo stesso per tutti e che si vada finalmente avanti con valori condivisi».
Lei parla di valori, e intanto Le Pen li fa a pezzi uno per uno…
«Proprio per questo è ancora più urgente ricostruire dei valori politici comuni. Tranne forse che in Germania, nel resto d’Europa il vecchio sistema dei partiti si sta slabbrando. La politica appare in stato confusionale. Senza partiti non si riesce certo a tenere saldi i nostri principi fondamentali, a meno che non si riesca a creare un rapporto di collaborazione tra i movimenti che stanno ovunque nascendo dal disfacimento dei partiti tradizionali, siano essi progressisti o conservatori. Senza questo rinnovamento della politica l’Europa non riuscirà a salvaguardare i valori da cui è nata e per cui deve continuare a vivere».