Professor Prodi, è quindi arrivato il momento di smontare la tenda e rientrare nella casa madre? Ossia: riprenderà la tessera del Partito democratico?
«Sulla tessera vedremo. La tenda si è già molto riavvicinata. E si riavvicinerà del tutto se si seguirà una linea di apertura e di inclusione».
Fatto sta che la vittoria di Nicola Zingaretti e il successo di queste primarie sono anche figli suoi. Lei, questa volta, si è molto esposto.
«Diciamo che sono soddisfatto. Ieri tra le persone che votavano ai gazebo ho avvertito la rinascita di uno spirito antico. Una riscossa psicologica inaspettata. Ritenevo che un’affluenza importante fosse indispensabile per dare forza al candidato vincente. E un’affluenza importante c’è stata. Le primarie sono la più grande manifestazione di democrazia nel nostro Paese, non i giochini calati dall’alto sulle piattaforme digitali».
Qual era il suo pronostico?
«Un milione per me era già un grande traguardo. Non si possono fare paragoni con le altre primarie. Questi numeri contano perché servono a chiudere con il passato e, allo stesso tempo, danno la possibilità di aprire un nuovo capitolo».
Zingaretti è venuto a confrontarsi con lei, prima di correre alle primarie. Anche stamattina (ieri per chi legge ndr) vi siete sentiti. Quali consigli gli ha dato su questo nuovo capitolo da scrivere?
«Ci siamo parlati a lungo e più volte. Io credo che ora non si debbano più commettere i vecchi errori. Il Pd, ancor più con il voto di domenica, si conferma come la forza maggioritaria del riformismo in Italia. Ma solo le coalizioni possono aspirare al governo. E un dato imposto dalla legge elettorale. Serve una forza larga che guardi al centro e a sinistra».
Uno schieramento inclusivo, come lo definisce lei, che vada da Giuliano Pisapia a Carlo Calenda?
«Queste sono scelte che fa il segretario».
Archiviare il passato significa archiviare il renzismo?
«Perché? Può benissimo essere inclusivo anche Renzi».
Lei ha proposto di esporre le bandiere europee il 21 marzo. E domani sarà a Milano a presentare l’iniziativa. Nella stessa città in cui migliaia di persone hanno manifestato sabato contro il razzismo. C’è un unico filo?
«Sono iniziative diverse, ma c’è un risveglio importantissimo che si somma al desiderio di cambiamento espresso dalla manifestazione di Milano. E anche l’esposizione orgogliosa delle bandiere europee rappresenta un altro passo verso una nostra necessaria coesione».
Il sindaco Sala al «Corriere» ha detto che l’Italia può cambiare se segue l’esempio di Milano.
«È sicuramente vero che Milano è in un momento di grande fioritura e che può essere un esempio trascinante per il resto dell’Italia. Non è certo un caso che la manifestazione, e con quel successo, si sia svolta a Milano».
Parliamo di ricette per questo nuovo Pd. Lei da dove partirebbe?
«Ieri ai gazebo delle primarie c’era, appunto, molta gente. Ma era un elettorato in gran parte anziano. Ecco, dobbiamo partire da qui, dai giovani che non c’erano. E l’Italia deve diventare un Paese che attira i migliori fra loro, non che li allontana, come accade attualmente».
Lei parla di cambiamento. Il Partito democratico sta forse iniziando a recuperare una parte dei consensi conquistati dai 5 Stelle?
«Non so se il Pd stia recuperando quei consensi, dico però che c’è una grande attesa nel Paese. La gente è delusa da questo governo. Quando non aumentano i consumi, ma crescono i risparmi, vuol dire che manca la fiducia. Un tempo chi aveva responsabilità si preoccupava del terzo dell’Italia escluso dallo sviluppo. Se si continua così gli esclusi arriveranno ai due terzi. Il problema è proprio questo: la spaccatura tra i pochi che hanno e i tanti che non hanno. Per il Pd questa è la grande sfida. D’altra parte il Pd è il più grande partito veramente nazionale che, in quanto tale, ha la possibilità di unificare l’Italia».
Perché l’unico? E la Lega?
«Le proposte di autonomia di alcune regioni, se passeranno, spaccheranno l’Italia. E allora resteranno solo il Pd e il centrosinistra a doversene occupare».