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Poletti: per il lavoro ricette su misura

Con la legge di Bilancio per il 2018 il governo di cui Lei fa parte, si avvicina al compimento del suo mandato. Può trarre un bilancio provvisorio dei progressi che il Paese ha fatto sul fronte cruciale dell’occupazione da quando lei, negli ultimi due esecutivi, ne ha assunto la responsabilità?

Il nostro Paese ha subito due crisi pesantissime che hanno lasciato segni profondi nella società e nell’economia, in particolare nell’occupazione. Adesso i dati ci dicono che si sta consolidando un’inversione di tendenza: si rafforza la crescita del PIL e aumenta l’occupazione. Certo, non abbiamo risolto il problema, ma stiamo andando nella giusta direzione. Abbiamo prodotto dei cambiamenti strutturali, aggiornando l’impianto complessivo delle relazioni contrattuali con l’introduzione del contratto a tutele crescenti, più moderno e in linea con l’Europa, e l’eliminazione di forme particolarmente precarizzanti come le collaborazioni a progetto e l’associazione in partecipazione. Abbiamo modificato gli ammortizzatori sociali ed avviato le politiche attive, con l’obiettivo di realizzare un sistema di sostegno e di accompagnamento dei lavoratori più efficace e coerente con il costante processo di cambiamento legato alla digitalizzazione e all’automazione. Questa nuova strumentazione ha ovviamente bisogno dell’infrastruttura che la metta in pratica: per questo puntiamo a rafforzare i centri pubblici per l’impiego ed a favorire la loro collaborazione con le agenzie private e del privato sociale.

 

Abbiamo prodotto dei cambiamenti strutturali, aggiornando l’impianto complessivo delle relazioni contrattuali con l’introduzione del contratto a tutele crescenti, più moderno e in linea con l’Europa


 
È corretto, a suo avviso, continuare a lavorare sul problema dell’occupazione come se avesse identici connotati ovunque, mentre le statistiche dimostrano che è quasi esclusivamente concentrato nelle regioni meridionali?

Sicuramente vanno articolate le politiche, a partire da quelle di sostegno alla crescita. Per questo abbiamo sottoscritto accordi e patti territoriali che fanno riferimento alle condizioni specifiche di queste aree sul piano sia infrastrutturale che economico. Abbiamo diversificato anche le politiche per l’occupazione, ad esempio con interventi di decontribuzione articolati e più vantaggiosi per il sud. Insomma, c’è la consapevolezza di una diversità di situazioni sulla quale bisognerà sicuramente continuare a lavorare.

 

I nuovi voucher per il lavoro occasionale: la partenza sembra ancora ingessata, quali prospettive offrono?

In realtà i voucher non esistono più. Abbiamo scelto di eliminarli in quanto si erano prestati troppo spesso ad utilizzi impropri. Sono stati sostituiti da tipologie contrattuali diverse, che hanno la caratteristica della piena tracciabilità e di un’utilizzabilità limitata a prestazioni ben definite. Naturalmente, anche questa regolazione ha bisogno di un periodo di sperimentazione e di un monitoraggio costante.

 

Tra i fenomeni positivi del sistema va segnalato l’inedito fenomeno delle “Agristartup”, una rivisitazione in chiave millennial del fare occupazione attraverso il “ritorno alla terra” delle nuove generazioni. L’Italia, con 50.543 imprese condotte da under 35, è leader in Europa nel numero di giovani in agricoltura. Una risorsa eccezionale che però è frenata dalla burocrazia e dal credit crunch. Cosa si può fare per incentivare questa risorsa?

L’impegno dei giovani in agricoltura è un elemento positivo, che merita di essere incoraggiato e sostenuto. È un fronte sul quale stiamo lavorando da tempo insieme al Ministro al ramo, Martina. Già nella scorsa legge di bilancio abbiamo inserito l’azzeramento dei contributi previdenziali per 3 anni per i giovani che aprono un’azienda agricola. Una misura che è andata oltre le aspettative: sono nate 9 mila nuove imprese contro le 6 mila attese. Ci sono poi altri strumenti del Ministero delle Politiche Agricole come i mutui a tasso zero, l’aumento del 25% dei fondi europei e la priorità per l’accesso alle terre pubbliche.
 

Già nella scorsa legge di bilancio abbiamo inserito l’azzeramento dei contributi previdenziali per 3 anni per i giovani che aprono un’azienda agricola

 

Nelle ultime settimane si è discusso molto su alcune derive inappropriate che sarebbero state prese nella prassi operativa della recente alternanza scuola-lavoro. Qual è il suo punto di vista al riguardo, nei limiti in cui le sue deleghe abbracciano questa questione?

Penso che introdurre l’alternanza scuola-lavoro sia stata una scelta positiva, che nel tempo darà risultati importanti per il futuro del Paese. Quando si avviano interventi così significativi, che cambiano la modalità di relazione tra scuola e lavoro, possono verificarsi situazioni non del tutto regolate. Ma questo non può significare una rinuncia allo strumento, bensì porsi l’obiettivo di evitare distorsioni. Da questo punto di vista è importante la scelta del Miur di pubblicare, a breve, una carta dei diritti e dei doveri degli studenti in alternanza. Stiamo inoltre lavorando sul tema del tutoraggio, per assicurare che nelle scuole, nelle imprese e nella relazione tra questi due soggetti via sia una figura di riferimento che possa intervenire se si verificano problemi nella realizzazione dei progetti di alternanza.

 

Parlando di pensioni, recentemente lei si è espresso a favore dell’Ape sociale. Può fare un punto anche su questo fronte?

Siamo intervenuti sulle pensioni per produrre migliori condizioni di flessibilità per l’uscita dal lavoro. L’Ape sociale poggia su un principio di equità: consente un’uscita anticipata alle persone che vivono situazioni di particolare problematicità (disoccupati, disabili, lavoratori che debbono prendersi cura di familiari disabili o impegnati in attività gravose). Credo sia una scelta corretta, che introduce un principio generale giusto: non tutti i lavori sono uguali e, di conseguenza, non tutte le situazioni possono avere la stessa considerazione dal punto di vista previdenziale. Nello stesso tempo, con l’Ape volontaria diamo a tutti gli altri cittadini l’opportunità di anticipare la pensione: ognuno potrà decidere se utilizzarla valutando le proprie condizioni personali e familiari ed i propri interessi.

 

L’Ape sociale poggia su un principio di equità: consente un’uscita anticipata alle persone che vivono situazioni di particolare problematicità


 
Un’ultima considerazione, in questo caso più di scenario. Gli ultimi 10 anni, complice la congiuntura economica gobale e il contestuale avvento della cosiddetta “digital revolution”, hanno rivoltato come un calzino il quadro economico-produttivo del Paese. Settori tradizionalmente trainanti, specie nel segmento della manifattura, sono andati in affanno e altri che in passato invece erano marginali, si sono ritagliati un ruolo sempre più importante sul mercato. Lei, dall’alto della sua esperienza personale e di governo, che idea si è fatto su quella che potrebbe essere la futura identità economica dell’Italia nel medio e lungo periodo?

Continuo a pensare che un pilastro come la manifattura, soprattutto in alcuni comparti, possa rappresentare un motore di crescita e di sviluppo, anche se non potrà, da sola, rispondere all’esigenza di creare nuova occupazione. La digitalizzazione e l’automazione aiutano le imprese a svilupparsi, ma non si traducono automaticamente in crescita dell’occupazione. Credo che il futuro del nostro Paese stia nella capacità di mettere in valore da un lato il suo patrimonio culturale, artistico e territoriale, dall’altro le sue competenze, un “saper fare” ed una qualità spesso unici nell’artigianato e nella manifattura. Credo sia questa la leva per acquisire una leadership in segmenti di mercato importanti.

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