«Junker farebbe bene a prendersela con appropriata durezza con il Consiglio europeo, che non ha deciso nulla sulla vicenda dei migranti. Definire “ridicolo” il Parlamento che lo ha eletto e che si è fatto sempre trovare pronto per l’approvazione delle misure che la Commissione metteva a punto è un inspiegabile atto di scortesia e ingratitudine. Davvero fuori luogo». Gianni Pittella, capogruppo dell’Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici al Parlamento europeo, ribatte così al presidente della Commissione Europea, JeanClaude Juncker, che ieri mattina a Strasburgo aveva attaccato l’istituzione per essersi ritrovato in aula con solo una trentina di parlamentari durante il dibattito nella plenaria sui risultati della presidenza maltese del Consiglio Ue.
Onorevole Pittella, lei c’era?
«Io ero uno dei tantissimi che non si trovavano in plenaria non perché assenti da Strasburgo ma perché impegnati in una delle innumerevoli riunioni che nella settimana di Strasburgo si succedono senza sosta. In particolare ero impegnato con un collega di Commissione di Juncker, il delegato alla Salute e alla sicurezza alimentare Vytenis Andriukaitis. Mentre quando si tratta di votare si è presenti massicciamente, capita che altri impegni istituzionali si sovrappongono nella fitta agenda che abbiamo. Mi fa piacere che ci sia stato un chiarimento sul caso tra Juncker e il presidente dell’Europarlamento Antonio Tajani. Aggiungo solo che se il presidente della Commissione deve fare un gesto provocatorio, lo faccia con i capi di Stato e di governo».
Sono proprio i governi nazionali a provocare tensioni nell’Unione: il no di Francia e Spagna all’apertura dei porti, l’Austria che schiera i militari al confme col Brennero...
«La vicenda austriaca mi sembra veramente stupefacente, come se ci fosse il pericolo di un’invasione o di un’aggressione da parte dell’Italia. Giudico davvero gravi questi atteggiamenti e incoerenti e deludenti le scelte di figure come il presidente Macron, eletto proprio sulla base del suo europeismo. Perché questo non sia solo un atto di fede o un movimento muscolare della bocca, c’è bisogno di manifestare concretamente solidarietà».
Perché non succede?
«Perché Macron come altri leader non ha il coraggio di affermare i propri valori avendo paura della reazione elettorale dei cittadini su certi temi sensibili. L’Europa ha invece bisogno di governanti con gli attributi, di persone capaci: mi lasci dire che oggi sono a Parigi per i funerali di Simone Veil, primo presidente dell’Europarlamento, un esempio virtuoso del coraggio anche di sfidare l’opinione pubblica».
Cosa dovrebbe fare l’Italia?
«Noi abbiamo il merito di aver posto con forza e nel merito la questione migranti. C’è bisogno di fare una battaglia politica sul tema, mi auguro col sostegno della Commissione, anche discutendo nuove sanzioni, nel caso. Intanto accolgo con favore il rafforzamento finanziario per la Libia con 46 milioni in più per i movimenti di migranti. O la creazione di centri di accoglienza in Tunisia, Libia ed Egitto. E la decisione di una sorta di monitoraggio e di controllo sull’itinerario subsahariano. “Ridicola”, per usare la terminologia di Juncker, è invece la dotazione di 35 milioni di euro che si danno all’Italia per la emergenza migranti. Meno di una gamba di Higuain, che è ne è costati 90».
Nella trattative del vertice di domani uno dei punti di contrapposizione è la questione ricollocamenti.
«Il vero nodo che manifesta gli egoismi nazionali. L’Italia deve lavorare con grande determinazione per far passare la linea della condivisione del problema, perché per noi la misura è colma. Non ci è possibile sostenere oltre queste ondate».
Nel mirino sono finite le navi delle Organizzazione non governative.
«Io sono convinto che le Ong non sia parte del problema, ma della soluzione del problema. Stiamo molto attenti a non sbagliare bersaglio su questo fronte. Queste imbarcazioni hanno salvato migliaia di persone. Ce ne possono essere una o due che operano in maniera fraudolenta, ma certamente non si può immaginare dimetterle tutte nel calderone della polemica politica».