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Pitella: “Con la vittoria del No Italia più debole al tavolo europeo”

Gianni Pittella, lucano, eurodeputato, presidente del gruppo «S&D Socialisti e Democratici» dell’Unione.
 
In Italia si gioca la partita del referendum, in Europa quella tra sostenitori della crescita e i falchi dell’austerità. C’è un collegamento?
 
«Innanzitutto ieri (martedì, ndr) c’è stata una svolta della Commissione europea che ha deciso che occorre garantire ai governi nazionali maggiore possibilità di investimenti pubblici per potere attuare politiche economiche più espansive».
 
Come valuta questa svolta?
 
«Una decisione che va incontro al nostro lavoro e alle richieste fatte dal governo italiano. È un esempio delle nostre battaglie per cambiare il paradigma dell’austerità che non ha ridotta il debito e ha creato nuova disoccupazione».
 
Qual è il collegamento con il referendum?
 
«Bisogna comprendere è una constatazione oggettiva che una vittoria del no non sarebbe solo l’affossamento della buona riforma, ma anche l’indebolimento della politica che governo italiano e gruppo socialista stanno portando avanti su questi temi. Mentre stiamo vincendo delle battaglie per far passare la linea della crescita, lo stop al referendum ci renderebbe più deboli nel contesto europeo. È un appello che mi permetto di fare soprattutto ai cittadini del Sud».
 
Si spieghi.
 
«Perché il Mezzogiorno ha pagato di più i danni dell’austerità e ha maggiore interesse che si metta da parte la stagione dell’austerità. E allora, per questo obiettivo, occorre far prevalere il Sì al referendum per aumentare la capacità di pressione e di vittoria del governo italiano e dei socialisti in Europa».
 
Gli oppositori dicono che i toni più accesi di Renzi contro i tecnocrati di Bruxelles abbiano un carattere prettamente elettorale. Come replica?
 
«Non è assolutamente vero. Sono due anni che insieme, Renzi anche durante il semestre di presidenza italiana della Commissione, e io in qualità di presidente del gruppo, portiamo avanti questa battaglia. È una costante iniziativa politica che ha portato già a significativi risultati. Penso alla diversa interpretazione del patto di stabilità, al piano degli investimenti, all’aumento della possibilità di investimenti dei governi nazionali. In tal senso l’esito del referendum è essenziale».
 
Quali sono i rischi che paventa in caso di vittoria del no?
 
«Innanzitutto significherebbe rinunciare a una riforma che non sarà perfetta, ma che migliora il sistema legislativo e decisionale del Paese e poi perché indebolirebbe la battaglia che stiamo facendo in Europa».
 
Quali sono, dal suo punto di vista, i cardini della riforma?
 
«Il primo è la fine del bicameralismo paritario. Non ci possiamo più permettere il peso di due Camere che fanno le stesse cose. In un mondo che va a velocità siderale non possiamo permetterci un sistema che, con il ping-pong sulle virgole, ci mette due anni a discutere un provvedimento che a volte non arriva nemmeno in porto. Un sistema simile in Europa è solo in Romania. Vogliamo viaggiare con la littorina al tempo dell’alta velocità o vogliamo adeguarci?. Poi ci sono gli altri punti, l’abolizione del Cnel, i rapporti più chiari tra Stato e Regioni, i contenimenti dei costi. Le funzioni strategiche su energia, turismo e infrastrutture che tornano al centro».
 
Così, dicono gli oppositori, che le Regioni verrebbero penalizzate?
 
«Ma questo non significa che siano limitate le competenze delle Regioni sulla difesa del suolo e sulle politiche estrattive. Un aspetto è la definizione delle linee generali dell’energia, un’altra è l’estrazione petrolifera la cui competenza rimane in capo alle Regioni».
 
La riforma serve al Sud?
 
«Certo, per le ragioni che ho esposto, ma anche perché si elimina il principio della spesa storica che ha penalizzato fortemente i Comuni del Mezzogiorno».
 
Clima incandescente. C’è il rischio che dopo rimangano solo le macerie nella politica italiana?
 
«Sono per un confronto civile, per il rispetto delle idee dei miei avversari e per non imbarbarire uno scontro che deve rimanere sui contenuti».
 
E di Grillo che dice?
 
«Si commenta da solo. Il linguaggio dei grillini è inaccettabile e i cittadini gidicheranno chi imbarbarisce il confronto e chi mantiene il confronto politico all’insegna della civiltà».
 
Il Pd rischia la scissione?
 
«Mi auguro di no e spero che la stragrande maggioranza degli elettori del Pd e di altri partiti votino per il Sì per avere una buona riforma, perché l’alternativa non è un’altra riforma, ma lasciare la situazione così com’è».

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