Uno sguardo politico che si riprometta oggi di analizzare nel quadro internazionale, il ruolo del nostro paese ed il posizionamento del nostro Partito, non può in alcun modo prescindere da ciò che nel mondo è accaduto in questo 2020. Questo non perché la vicenda Covid, abbia rivoluzionato di già gli assetti globali nello scacchiere internazionale, o non perché si siano fermati o riaccesi conflitti locali o regionali in ragione della Pandemia, o neanche perché siano cambiati gli equilibri di forza tra i grandi protagonisti; quanto piuttosto perché l’umanità intera, ha potuto toccare con mano le molte fragilità che percorrono l’intero globo; fragilità è termine che richiama bisogno di protezione, che se da un lato ricorda il Protezionismo, di cui parleremo, non va assolutamente confuso con questo, quella diposizione umana pretende da noi centralità nel nostro agire, come domanda sociale, a cui rispondere non solo con scelte di tipo assistenziale ovviamente, ma con un modello di sviluppo di crescita complessiva; fragilità dunque che rischiano di cambiare quegli assetti come in parte sta già avvenendo; fragilità imputabili ai diversi modelli sociali e sanitari, ovvero risultanti dalla resistenza di molti sistemi e leadership alla razionalità scientifica, oppure derivanti dalla percezione concreta della dimensione che il rischio assume nella nostra vita quotidiana, qualora essa non sia improntata, anche, ad una profonda rivisitazione degli stili di vita, dei modelli di sviluppo e delle forme di relazione con l’evoluzione ambientale. Dunque possiamo dire che nello scenario mondiale, la forza della Pandemia ha portato alla consapevolezza di una grande fragilità del mondo, ad una grande richiesta di protezione e ad una grande necessità di sviluppo complessivo.
Questa crisi ha quindi anche una sua dimensione antropologica; l’epidemia che ha minacciato la vita e la salute di miliardi di persone, che ha rivoluzionato le abitudini e lo stile dei rapporti sociali, che ha cambiato non in modo passeggero anche le forme del lavoro e dunque anche in parte la natura e la qualità dei diritti da difendere, muterà in senso permanente le forme del nostro stare nel mondo. E, oltre a questo, la sua dimensione economica è risultata particolare: questa volta, rispetto al 2008 per esempio, la crisi colpisce non già solo la dimensione finanziaria quanto piuttosto proprio l’economia reale, modificando quindi nel concreto modelli di vita personale e delle comunità, da quelle piccole a quelle nazionali e sovranazionali. Tanto per fare un esempio, non sarebbe infatti forse arrivato questo cambiamento delle politiche economiche europee senza lo scoppio tragico della Pandemia. Qui una fragilità si è trasformata in forza.
Purtuttavia, vi sono, di fronte a questa drammatica cartina di tornasole globale, a questa registrazione del cambiamento che stiamo attraversando, immani emergenze che disegnano invece aspetti non mutati nello scenario mondiale.
Non sono certamente mutati gli effetti di una globalizzazione economica che ha sì meritatamente salvato dalla povertà masse ingenti di popolazione in questi anni, un miliardo di persone si dice, in specie in alcuni grandi paesi, dato che noi non vogliamo affatto dimenticare, ma il risultato di una crescita affidata alla sola competizione totale, continua a risultare drammatico sia per la crescita della diseguaglianza sociale, che della diseguaglianza per aree geografiche, anche per gli effetti della mancanza di regole globali, come ancora per la spinta al protezionismo di intere nazioni. Di questo, peraltro, il conflitto commerciale e non solo, tra Usa e Cina è certamente la punta più avanzata e preoccupante.
Nondimeno lo sono le tendenze fortissime di molti paesi europei al protezionismo dei dazi e delle dogane, la resistenza alle storiche novità delle politiche economiche europee, la volontà di riesumare muri e confini fisici e immateriali.
Possiamo dire anche, quindi, che l’esplosione della Pandemia, ed il suo andamento peculiare, nazione per nazione, sia servita da riscontro del tasso di coincidenza tra livello dei diritti umani e democratici in un paese, e capacità di gestione di grandi emergenze sociali. Ancora adesso mentre ne parliamo, la differente capacità di risposta complessiva di sistemi a Democrazia incerta o a rischio, risulta eloquentemente minore rispetto ai paesi governati in piena democrazia. Grandi paesi i cui regimi mostrano limiti evidenti e gravissimi nella difesa della democrazia e dei diritti sono oggi messi in ginocchio dalla diffusione endemica nel loro paese. Nuovo spunto per una riflessione generale sullo stato di salute della Democrazia nel mondo, anche alla prova della Pandemia globale che ci ha colpiti.
In generale è sicuramente possibile dire che oltre alla débâcle, drammatica, che attraversano molti singoli paesi, anche diverse istituzioni internazionali e sovranazionali, hanno mostrato i limiti della loro capacità di governo globale. Ma ne parlerò dopo.
Abbiamo consegnato un documento del nostro gruppo di lavoro al Segretario (Piero Fassino, Enzo Amendola, Marina Sereni, Lia Quartapelle, Alessandro Alfieri, Andrea Romano, Brando Benifei, Simona Bonafè, Piero De Luca , Gianni Pittella e Luciano Vecchi), dove per esteso vi sono l’insieme di queste brevi considerazioni.
Aggiungo, che la svolta che l’Europa sta percorrendo e per la quale vorrei ringraziare certamente tutti i membri del nostro Governo che si occupano di politica estera ed in particolare Enzo Amendola e Marina Sereni, nonché ovviamente il Commissario europeo Gentiloni, e anche, certamente per i temi che tratteremo, il Ministro Guerini, il cambiamento storico che essa potrebbe introdurre, rafforzando l’Unione, la sua coesione e la sua prospettiva economica, la sua politica sociale, il suo ruolo di baluardo democratico, possono riaffermarne il ruolo mondiale, di cui il multilateralismo ha grande bisogno.
La nostra posizione, saldamente ancorata all’Alleanza atlantica e al multilateralismo, come ad una visione aperta dei mercati, dell’economia e del libero scambio, tradizionalmente condivisa dai paesi del G8, così come dal complesso dei paesi europei, non è più per molte forze politiche, oggi alla guida o all’opposizione in molti paesi occidentali, la cifra della loro impostazione politica.
Populismo, sovranismo, nazionalismo, egoismo, protezionismo, costituiscono un asse di riferimento politico-culturale, che va dagli Usa di Trump all’Ungheria di Orban, e anche l’Italia che disegnerebbero Salvini e Meloni, qualora al governo, rischierebbe una virata radicale in quella direzione. Non va per questo sottovalutato il lavoro che dobbiamo contribuire a compiere perché all’interno del PSE e anche dell’Alleanza progressista mondiale, la nostra linea saldamente europeista e per una nuova Europa, divenga quella comune. A noi ha fatto molta impressione scoprire come Partiti fratelli, appartenenti al PSE, alla guida di paesi cosiddetti frugali, o comunque esistenti in quei paesi, abbiano assunto le posizioni più ostili alla realizzazione del Recovery Fund. Il che dimostra che per quei partiti fratelli conti di più l’appartenenza nazionale piuttosto che l’ideale comune europeo. Una contraddizione in seno all’ide di progresso a cui noi apparteniamo.
Più in generale il nostro Partito dovrà favorire un’iniziativa politica affinché il PSE esca dalla pura dimensione federativa per assumere quella di vero e proprio Partito sovranazionale, asse portante di una nuova Europa. Ulteriore sforzo andrà fatto, affinché il PSE sia capace di allargare il campo delle proprie alleanze a forze diverse dello schieramento progressista, come gli ambientalisti o altro.
Ho scelto delle parole chiave per sintetizzare i punti salienti delle nostre posizioni.
Per la prima parola, metterei al primo posto della nostra scelta di politica internazionale, che è anche carta d’identità del nostro stare nel mondo, l’idea di una visione multilaterale che serva a rafforzare il profilo del nuovo ordine mondiale a cui aspiriamo. C’è una necessità straordinaria di una visione globale e multilaterale del nuovo ordine mondiale; particolarismi, nazionalismo e debolezze, come anche quelle che l’Europa ha mostrato purtroppo negli ultimi anni, fino alla svolta di questi mesi, hanno contribuito ad una paralisi di questa visione multilaterale, con una pericolosa tendenza ad un neo bipolarismo tra Usa e Cina, che mostra di per se i suoi limiti, ma che ha in più nella Presidenza Usa, una costante ritrosia ad ogni forma di condivisione mondiale delle scelte.
Non possiamo dimenticare qui la decisione perlomeno annunciata da Trump di sospendere i finanziamenti all’OMS, ( peraltro dopo molte altre parole sugli accordi o sugli organismi internazionali) e anche dopo aver all’inizio sostenuto che OMS faceva allarmismo, annuncio di Trump che pur se connesso ad una iniziale giusta critica sui ritardi di azione di quella organizzazione e di comunicazione da parte della Cina, porterebbe con sé conseguenze gravi sul piano della condivisione mondiale delle politiche sanitarie.
L’occasione di questo spunto è utile anche per dire la nostra opinione sull’altro gigante mondiale, la Cina: Il gigante cinese ha lanciato da anni una offensiva geopolitica nei confronti dell’Europa, all’interno di una sua iniziativa più vasta e volta a modificare l’ordine internazionale in senso più favorevole ai propri interessi nazionali. Gli strumenti di tale offensiva sono insieme commerciali e politici, ovvero quelli tipici di ogni strategia geopolitica ma che nel caso cinese si tengono insieme in modo molto più stringente e interconnesso. È una strategia che non va demonizzata, come pretende di fare la destra sovranista in Europa e negli Stati Uniti mettendo in conto la radicalizzazione dello scontro strategico e persino militare con Pechino, ma di cui dobbiamo essere ben consapevoli. Perché l’obiettivo del regime cinese è anche quello di conquistare il silenzio o la connivenza della comunità internazionale sulle feroci e massicce violazioni dei diritti umani e civili di cui esso è responsabile: all’interno dei confini nazionali cinesi e ovunque arrivi il suo controllo di sicurezza (come nel caso di Hong Kong, dove Pechino sta già violando gli accordi del 1997 ispirati al principio ‘un paese, due sistemi”). Il nostro impegno, sulla base del valore universale che riconosciamo al tema dei diritti umani e guardando all’obiettivo di preservare il dialogo commerciale e politico con Pechino senza alcuna subalternità ai suoi disegni strategici, dev’essere quello di impegnare la potenza cinese sul piano multilaterale a tutti i livelli. Diversamente dalla strategia conflittuale della destra sovranista, è solo l’ingaggio multilaterale con la Cina che rende possibile sia difendere l’autonomia culturale e politica dell’Europa sia lavorare per ottenere miglioramenti concreti nel rispetto dei diritti umani e civili all’interno dei confini cinesi e nelle aree sottoposte ai suoi strumenti di sicurezza.
E’ chiaro, tornando alla visione multilaterale, che non potrà esserci nessuna ripresa senza una grande spinta alla cooperazione internazionale e all’integrazione, aumentando risorse e compiti delle istituzioni internazionali, coordinando le attività nel campo sanitario, della ricerca medica, della prevenzione e della cura, condividendo risultati e rimedi, sostenendo la mobilità globale delle persone, delle merci e della conoscenza. Pensate al vaccino di Oxford, come emblema di questa visione, sviluppato in Italia e Gran Bretagna, prodotto dall’azienda anglo-olandese AstraZeneca e distribuita dall’indiana Serum. Detto questo sicuramente le culture e le organizzazioni internazionaliste hanno mostrato anche i loro difetti, così come l’ONU mostra i suoi limiti, cosi come altri organismi regionali come la Lega Araba o il Nafta sembrano paralizzati da tensioni e conflitti
Si è parlato negli ultimi anni, in alcune sedi, di fronte alla crescita delle pulsioni isolazioniste, di fine della globalizzazione; a me non pare affatto, credo invece che la sfida che ci attende sia quella di dare una guida democratica e condivisa alla globalizzazione, un ordine al mondo globale, in una direzione di salvaguardia del multilateralismo, come italiani e come europei.
C’è una parola chiave nella tradizione di sinistra della politica internazionale, questa parola è pace, è la seconda parola, la tradizione della sinistra e dei riformismi a cui noi apparteniamo ha sempre frequentato questo termine come stella polare. La pace è sviluppo, promozione dei diritti, dignità della persona umana, regola di convivenza, giustizia, e benessere. La pace richiede strategie globali. Non può essere solo enunciata.
Il mondo, anche quello più vicino a noi conosce invece continui conflitti, conflitti irrisolti, nuovi conflitti, secondo Acled dall’inizio dell’anno abbiamo avuto 46675 eventi di scontro militare e non nel mondo, con 52898 morti, in diminuzione del 28% rispetto all’anno scorso. In un anno 110.000 eventi e 129.000 morti. Se guardate la cartina dei conflitti in corso, vedrete esclusi dalla mappatura l’Europa, a parte la Grecia, e il continente nord americano, nonché la Cina. Se guardo dunque quella carta, nella quale l’Europa è bianca, ho la dimostrazione lampante che la fondazione dell’Unione europea ha garantito ai suoi paesi, pace e prosperità, e dunque che il ruolo storico di cooperazione ed integrazione viene confermato dalla storia, non il contrario.
Noi crediamo che solo il negoziato, il compromesso, il dialogo tra nemici, possano garantire questo valore, che va difeso anche prendendo parte come l’Italia fa con i propri militari e con le forme di cooperazione alle operazioni di peacekeeping e peaceenforcing guidate dalle istituzioni internazionali, e dall’ONU.
Noi mettiamo nel nostro impegno per la pace tutto quello che riguarda lo sviluppo personale e collettivo dell’essere umano, ciò significa investire nello sviluppo globale e locale, garantire crescita, accessibilità, opportunità, istruzione, tutto questo significa lavorare per la pace. Quando dico dialogo con il nemico, intendo un valore molto chiaramente esplicitato dallo scrittore israeliano Amos Oz. Perché la pace, ad ogni angolo del mondo si fa solo con il nemico, con l’amico è inutile. Per questo noi dobbiamo recuperare l’idea di compromesso, come enunciava Oz come valore positivo, fondante.
Per lo scopo della pace noi dobbiamo promuovere uno sviluppo umano che consenta ad ogni donna e uomo di vivere nella dignità nel rispetto dei suoi diritti e delle sue aspirazioni. Sostenere lo sviluppo economico e sociale dei Paesi che lottano per uscire dalla marginalità. Asserire con forza che ogni uomo e ogni donna sono titolari di diritti irrinunciabili e inalienabili.
Il mondo vive di una pluralità di identità, culture, tradizioni, religioni che devono essere riconosciute e rispettate e le loro specificità non possono, mai, essere invocate o utilizzate per violare o voler annientare la specificità dell’altro, o per giustificare violazioni di diritti che appartengono ad ogni persona in ogni luogo del mondo.
Vuol dire allora che noi possiamo accettare qualsiasi forma di pensiero? No, ovviamente, il perseguimento della pace, significa ovviamente anche combattere ogni forma di discriminazione, violenta o meno, di razzismo, di ideologia della separazione e della superiorità razziale, etnica o religiosa, e per l’affermarsi della difesa della libertà secondo le regole consolidate della Democrazia liberale. Lo ribadisco qui, perché la crisi di fiducia nella Democrazia, che indico come terza parola, liberale, guida purtroppo oggi grandi paesi del mondo, e l’appello alla Democrazia illiberale, e in alcuni casi anche a forme pericolose di democrazia diretta, e dunque ad un restringimento degli strumenti della rappresentanza, della libera espressione del pensiero, della partecipazione popolare delegata, va diffondendosi, purtroppo, come dimostrano le note affermazioni di Vladimir Putin e di Orban per esempio, o la battaglia sull’indipendenza della Magistratura polacca che si sta ancora combattendo proprio alla vigilia di elezioni presidenziali.
Per il mantenimento o il raggiungimento della pace serve però anche e sempre, come dicevamo prima, la battaglia per una guida democratica alla globalizzazione, dunque, visione multilaterale, pace, democrazia e diritti, sono ovviamente legati, ed è questa la strada che contrasta anche la vena di chi vorrebbe assenza di regole comuni, ovvero il protezionismo puro e semplice; per questo, noi con convinzione, appoggiamo la strada che la comunità internazionale ha per esempio intrapreso con il Protocollo di Kyoto e gli Accordi di Parigi per affrontare il climate change; con il Tribunale Penale Internazionale per perseguire genocidi e gravi violazioni dei diritti umani; con il Trattato di non proliferazione nucleare per fermare la corsa al riarmo; con i Trattati di Libero Scambio – come gli accordi negoziati dalla UE con Giappone, Canada, Mercosul – per evitare guerre commerciali e neoprotezionismi. Nella stessa direzione è indispensabile oggi riformare e potenziare le istituzioni dedicate a grandi questioni globali: l’Organizzazione mondiale del Commercio (WTO/OMC) per garantire regole e standard omogenei, per assicurare mercati aperti e pari accessibilità, per contrastare ogni forma di sleale concorrenza; l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per una tempestiva prevezione e lotta alle pandemie; l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO/OIT) per una effettiva applicazione delle Convenzioni a tutela dei diritti del lavoro e contro le troppe forme di dumping sociale.Non posso però non dire qui, che ogni organismo di governo mondiale necessita con evidenza di una riforma significativa del proprio funzionamento istituzionale. Penso all’ONU, alle sue agenzie, al Consiglio di Sicurezza, e anche alle grandi agenzie di controllo economico come FMI e Banca Mondiale che necessitano di essere investite di un più chiaro e trasparente mandato orientato allo sviluppo nel senso indicato prima.
C’è purtroppo una quarta parola che va ricordata per articolare il nostro sguardo. Guerra. Vicino a noi l’instabile mediterraneo allargato, continua ad offrire purtroppo al mondo focolai pericolosi di guerra. Mentre nuovi protagonisti si sono ormai insediati con forza nel quadrante, come Russia e Turchia. Il conflitto in Siria di questi anni ha colpito più di metà della popolazione, altrettanto si può dire per il conflitto in corso nello Yemen, parimenti terribile con maggiori implicazioni dirette per l’Italia il conflitto in Libia, ma uscendo dal Mediterraneo e rimanendo vicino all’Europa non possiamo dimenticare lo scontro Russia/Ucraina, così come anche la minacciosa Iran sempre pronta ad annunciare la volontà di annientamento di Israele, cosi come l’irrisolto conflitto Israelo/Palestinese. (qui permettetemi una nota personale io rimarrò sempre fedele alla storica formula cara agli accordi di Oslo di due stati per due popoli, e due democrazie, con la linea del compromesso situata nello scambio di territori in cambio di sicurezza, il mutuo riconoscimento dei due diritti statuali e la rinuncia ad ogni forma di violenza, nella consapevolezza che in quel territorio si scontrano due diritti e non un diritto ed un torto)
Le guerre civili, le instabilità politiche, che scuotono Mediterraneo e Medio Oriente chiamano l’Europa ma anche noi direttamente, ad assumere un attivo ruolo di pace.
Per quanto riguarda la situazione in Libia noi dobbiamo affermare che
– non esiste una soluzione militare alla crisi libica che solo potrà trovare soluzione con gli strumenti del negoziato politico tra tutte le componenti della società libica
– l’Italia si riconosce nelle deliberazioni delle Nazioni Unite e sostiene l’attività dei suoi inviati per una soluzione politica della crisi
– l’Italia sostiene il Governo nazionale presieduto dal Primo ministro Serraj, unico esecutivo riconosciuto dalle Nazioni Unite
– pieno sostegno deve essere assicurato alla missione europea Irini incaricata di garantire il rispetto dell’embargo sulla fornitura di armi e strumenti bellici
– l’assistenza alla Guardia costiera libica deve essere finalizzata alla formazione del personale in funzione del contrasto al traffico di esseri umani, nel rispetto dei diritti umani e delle Convenzioni internazionali, e in coordinamento con le stesse attività in materia affidate alla missione europea Irini;
– In questa direzione, preso atto della disponibilità del Governo libico di accordo nazionale e della possibilità di avviare il negoziato il prossimo 2 luglio, e anche alla luce delle mutate condizioni sul terreno, è per noi non rinviabile la modifica del relativo Memorandum d’intesa stipulato tra Italia e Libia nel 2017.
– è aspetto imprescindibile il rispetto dei diritti umani verso profughi e migranti presenti in Libia e per questo i centri legali di permanenza devono essere aperti al controllo dell’Unhcr e dell’Oim e I centri illegali devono essere smantellati
– corridoi umanitari vanno attivati immediatamente, con la collaborazione della UE, per l’evacuazione e l’accoglienza di donne e bambini oggi trattenuti nei centri di permanenza
– va sostenuta ogni iniziativa utile ad alleviare le sofferenze della popolazione civile, come lo sminamento di edifici civili e del territorio a cui l’Italia è pronta a concorrere
– l’azione di ONG e organizzazioni umanitarie va riconosciuta come preziosa per il salvataggio di vite umane, superando atteggiamenti e misure di profilo puramente punitivo
Per questo chiediamo al Governo di agire nei rapporti bilaterali, nelle sedi multilaterali e nell’Unione Europea sulla base degli obiettivi sopraindicati.
E dobbiamo altresì, in generale, dichiararci contrari ad atti unilaterali che precludano una soluzione negoziata e condivisa del conflitto israelo-palestinese; sostenere i movimenti di società civile che, dal Libano al Sudan all’Algeria, rivendicano diritti e rigenerazione democratica; promuovere pacificazione e stabilizzazione nel Corno d’Africa; dare stabilità all’Irak e alla sua struttura plurinazionale e plurireligiosa;
questi Conflitti e queste criticità richiedono il rilancio di una strategia euromediterranea che offra ai Paesi del bacino sistemi preferenziali negli scambi commerciali, promozione di investimenti, sostegno alla implementazione di politiche sociali, accompagnamento nel rinnovamento delle istituzioni democratiche e dello stato di diritto. E una politica condivisa dei flussi migratori. In questo ambito va anche inserita la nostra relazione con l’Egitto per il quale tema abbiamo proposto alla Direzione il seguente OdG.
Il Partito Democratico,
ribadendo che:
• la difesa dei diritti umani in ogni luogo del mondo fa parte indissolubile della nostra identità politica e dei principi base della nostra visione del mondo
• primaria e irrinunciabile è la ricerca della verità sulla morte di Giulio Regeni
• altrettanto improrogabile è la scarcerazione di Patrick Zaki
• l’Egitto non può sottrarsi alla responsabilità di accertare la verità giudiziaria sull’omicidio di Giulio Regeni e per questo serve un deciso cambio di passo nella collaborazione da parte delle autorità egiziane
· L’Italia ha sin dal primo momento subordinato ogni passo in avanti sul terreno politico diplomatico ad altrettanti passi fatti sul terreno della collaborazione giudiziaria per individuare e colpire i colpevoli.
· Purtroppo con il precedente governo non c’ è stato nessun passo in avanti.
• la ricerca della verità è responsabilità di tutti gli attori che possono contribuire a fare luce sull’omicidio di Giulio Regeni, compreso il governo britannico
• imprescindibile è la ripresa immediata della collaborazione giudiziaria da parte dell’Egitto, implementando le rogatorie internazionali per dar corso agli interrogatori oltre ad ogni altro atto utile all’accertamento dei responsabili dell’omicidio di Giulio Regeni ed al loro possibile giudizio in un regolare processo a partire dall’incontro tra le procure che avverrà il prossimo 1 Luglio
· il rapporto con il Governo di Al Sisi rientra in un quadro più generale di relazioni con l’Egitto, Paese che gioca un ruolo di stabilizzazione del Mediterraneo Orientale, nel contrasto al terrorismo, nelle politiche migratorie ed energetiche.
Noi non rinunceremo mai a qualsiasi atto utile alla consegna dei responsabili dell’omicidio di Giulio Regeni alla giustizia
– il rispetto dei diritti umani è valore fondativo dell’Unione Europea che deve considerare proprio obiettivo l’accertamento della verità sul caso Regeni
– impegna il Governo italiano ad attivarsi con la massima attenzione possibile, anche attraverso il coinvolgimento della UE, per ottenere immediatamente atti concreti per l’accertamento della verità sull’omicidio di Giulio Regeni e la consegna dei suoi responsabili alla giustizia
– impegna il PD a discutere con la maggioranza e il governo la possibile sospensione degli accordi di fornitura militare in assenza di risposte immediate e concrete sull’uccisione di Giulio Regeni.
(Emanuele Fiano, Francesco Verducci, Anna Ascani, Nicola Oddati, Alessandro Alfieri, Debora Serracchiani, Maurizio Martina, Mapi Pizzolante, Giuditta Pini)
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La proiezione mediterranea deve saldarsi ad una innovativa attenzione all’Africa, che a fine secolo raggiungerà 4 miliardi di abitanti: il loro destino è una delle grandi sfide del XXI secolo, resa ben evidente dell’attenzione che Cina, India, Turchia, Brasile, Arabia Saudita e altri players dedicano al continente.
Ad un’Africa percorsa da dinamiche di segno opposto – paesi ricchi di materie prime con alti tassi di crescita e aree afflitte da fame, malattie endemiche, degrado ambientale – l’Europa può offrire non solo i necessari investimenti infrastrutturali, ma anche bisogni altrettanto essenziali: strutture educative per una immensa popolazione giovanile; servizi sanitari e sociali, in primo luogo per infanzia e donne; promozione di sistemi democratici stabili, apparati pubblici affidabili, diritti civili e umani oggi spesso negati o oppressi; sostegno a processi di cooperazione e integrazione regionali.
Così come un Migration Compact Euro-Africano, promosso da Unione Europea e Unione Africana, e accordi bilaterali tra paesi europei e paesi africani, costituirebbero strumentipreziosi per una gestione condivisa dei flussi migratori e per un efficace contrasto al traffico di esseri.
Europa, Mediterraneo e Africa sono sempre più un unico cosmo investito da problemi comuni e da interessi comuni che richiedono soluzioni comuni. A ciò deve dare concretezza e visibilità un forte rafforzamento delle relazioni tra Unione Europea e Unione Africana e una più rapida implementazione dell’Africa Plan lanciato dalla UE.
Una forma di conflitto particolarmente difficile da contrastare è quello asimmetrico legato al terrorismo di matrice jihadista, alla vicenda del Daesh o Isis, più in generale ad una riflessione sul rapporto tra Europa e mondo arabo-islamico, o tra occidente e mondo arabo-islamico, riflessione alla quale non voglio sfuggire, ma che volentieri trattereri in una sessione specifica. Non penso di poter oggi trattare un argomento di tale portata anche se non penso si possa omettere un ragionamento su questo nel nostro Partito.
Quinta parola: Europa.
Noi siamo già, coerentemente e coscientemente dentro una nuova fase dell’Europa. Ce lo dicono i risultati già raggiunti in questi mesi di trattative per gli strumenti comuni di risposta alla crisi del Covid e quelli per i quali stiamo lavorando.
Alle spalle abbiamo un cammino di integrazione che ha consentito di realizzare traguardi economici, sociali e politici che nessuna nazione da sola avrebbe potuto realizzare.
L’integrazione europea ci ha consentito i traguardi di cui abbiamo parlato, altrimenti irraggiungibili.
Senza l’euro – la seconda moneta del pianeta, utilizzata da 330 milioni di cittadini di diciannove nazioni – e senza le politiche della Bce le economie dei paesi più fragili, tra cui l’Italia, sarebbero state via via inesorabilmente erose nella loro qualità e solidità dalle svalutazioni competitive.
Ci sono molte cose di cui andare orgogliosi e che dobbiamo rivendicare ogni qualvolta ci viene offerto il miraggio di un neonazionalismo miracoloso. Dobbiamo essere orgogliosi degli accordi di Schengen, di norme comunitarie che pongono l’Europa all’avanguardia nelle politiche ambientali, nel contrasto al climate change, nella promozione delle energie rinnovabili e nella valorizzazione delle biodiversità, dei fondi strutturali hanno consentito a Regioni e a Comuni investimenti e coesione sociale, di Erasmus ha reso 9 milioni di ragazzi protagonisti della costruzione di una comune identità.
Della cultura democratica europea è il principale bastione di tutela dei diritti civili e umani e per il loro rispetto nei troppi luoghi dove sono negati e repressi.
Sono risultati straordinari che tuttavia non corrispondono all’immagine che della UE ha una parte dei cittadini europei.
Una percezione negativa di tipo simile, che questo continente ha già conosciuto, quando la frustrazione di masse ingenti di europei, la loro paura del futuro, la rabbia per la loro condizione li convinse a seguire pericolosi pifferai magici criminali. Oggi quella percezione è di nuovo legata alla misura della propria condizione materiale, alla ristrettezza del proprio orizzonte, alla fragilità dei propri diritti, legati anche alla rigidità delle politiche finanziarie e di bilancio dell’Unione vissute come causa di bassa crescita e riduzione di lavoro, consentendo a partiti populisti e movimenti antieuropei di accrescere i loro consensi facendo della lotta all’integrazione europea la loro principale bandiera.
Noi sappiamo che non è cosi, ma questo è lo sfondo. Che spiega buna parte del successo dei populismi nazionalistici. Oggi e sempre.
Dalle sue difficoltà l’Unione Europea non uscirà con meno Europa, ma soltanto con un rilancio in avanti delle politiche di integrazione e un cambio di passo radicale e visibile. Dopo l’Europa dei Trattati di Roma, dopo l’Europa di Maastricht e dell’euro, serve una “terza fase costituente” dell’Unione Europea ( Stati uniti d’Europa ed elezione diretta del Presidente, da proporre al PSE) che realizzi un salto di qualità nella integrazione, dia all’Unione un suo profilo sovrano, accresca tempestività e efficacia delle sue politiche, conquisti consenso e fiducia dei cittadini. Un salto di qualità che investa ogni aspetto della vita della UE:
~ coesione e solidarietà siano pietra angolare di ogni azione europea
~ alla centralità degli equilibri di bilancio si sostituisca una politica economica espansiva che promuova investimenti, crei lavoro, riconosca flessibilità finanziaria, allenti vincoli stabiliti in contesti passati
~ una vera Unione Economica: a euro e mercato unico si accompagnino l’armonizzazione delle politiche fiscali e delle regole di investimento, una vera unione bancaria, una politica europea della ricerca e dell’innovazione tecnologica, un grande piano di modernizzazione infrastrutturale nei trasporti, nell’energia, nel digitale, impegnativi programmi europei di formazione. La riconversione ecologica della produzione e dei consumi costituisca l’asse centrale di un nuovo modello di sviluppo green, sostenibile e equo
~ l’UE disponga di “risorse proprie”, attinte non solo da un più alto contributo dei paesi membri al bilancio comunitario, ma anche da forme di fiscalità – carbon tax, una web tax, prelievi sulle transazioni finanziarie transnazionali e sulle attività svolte nei paradisi fiscali – e ricorrendo al mercato dei capitali con l’emissione di eurobond finalizzati a finanziare precisi programmi di investimento in Green economy, alta formazione, infrastrutture strategiche, intelligenza artificiale
~ gli effetti recessivi di Covid19 siano affrontati con uno sforzo finanziario straordinario, rafforzando ulteriormente i poteri di iniziativa della BCE e della BEI, utilizzando i Fondi MES senza condizionalita’ e dando vita ad un Recovery Fund dotato di una ampia disponibilità finanziaria
~ promozione di biodiversità, valorizzazione della tipicità dei prodotti, tutela della fertilità e rinnovabilità delle colture caratterizzino la politica agricola comune
~ si dia centralità al pilastro sociale e ai Fondi strutturali si accompagnino strumenti di tutela del lavoro – come Sure – e armonizzazione delle politiche sanitarie, di assistenza sociale e di sostegno a famiglie e persone fragili
~ l’Europa sia all’avanguardia nella ricerca scientifica, nell’innovazione tecnologica e nelle nuove frontiere dell’intelligenza artificiale
~ la libera circolazione solleciti l’adozione di norme comuni sui diritti di cittadinanza
~ l’immigrazione non può essere affidato soltanto alle singole politiche nazionali e si adottino comuni politiche di asilo, accoglienza e integrazione e si armonizzino le politiche nazionali in materia di cittadinanza e diritti
~ una effettiva Politica Estera e di Sicurezza Comune, rafforzando il ruolo dell’Alto Rappresentante, superando il vincolo dell’unanimita’, parlando con una sola voce e agendo con una sola mano per essere attore globale e promotore di pace, soluzioni negoziate ai conflitti, cooperazione economica e sociale, stabilità e sicurezza
~ una Politica comune di Difesa, con la progressiva integrazione dei sistemi logistici, degli apparati militari, dell’industria degli armamenti e dello spazio
~ alle sfide della competizione globale si risponda con una politica commerciale europea – peraltro già oggi comunitarizzata – che contribuisca a scambi e mercati effettivamente aperti e con standard e accessibilità equivalenti.
Non meno decisivo è superare la lontananza, e talora la estraneità, dei cittadini, con riforme delle istituzioni europee attraverso relazione permanenti e strutturate tra Parlamenti nazionali e Parlamento Europeo, l’elezione diretta da parte dei cittadini del Presidente della Commissione, l’unificazione in un’unica figura di Presidente della Commissione e Presidente del Consiglio Europeo, la presentazione agli elettori di liste europee transnazionali.
Ineludibile è affrontare il nodo della sovranità europea, riducendo la intergovernatività a vantaggio di una maggiore comunitarizzazione e di un ruolo autonomo della Commissione e di piena valorizzazione del Parlamento Europeo.
Un’Unione più tempestiva ed efficace impone una visibile riforma dei suoi meccanismi di decisione – superando il vincolo dell’unanimità -, una riduzione di prescrizioni normative e apparati burocratici, una semplificazione di procedure e un’effettiva attuazione dei principi di sussidiarietà’.
L’Eurozona è oggi lo spazio economico e politico per un deciso salto in avanti nella messa in comune di politiche strategiche, dotandolo di organi – quali un ministro europeo dell’Economia – che diano sostanza a politiche comuni e integrate. L’Eurozona sia il primo ampio e forte nucleo di un’Unione Europea che progredisca nella sua unità politica – aperta anche a successive adesioni – e mantenga all’orizzonte la prospettiva federale.
Infine, si impone secondo me, una riflessione su di un’ultima parola, Occidente.
Non devo chiarirvi che l’Italia èsaldamente radicata nell’Occidente e nei suoi valori di libertà, democrazia, giustizia e nel rapporto transatlantico da più di sessant’anni rappresenta il pilastro fondamentale della comune identità occidentale.
Agli Stati Uniti e al Canada ci legano vincoli profondi: la presenza di forti e riconosciute comunità di origine italiana; il sacrificio di migliaia di ragazzi caduti in Europa per la nostra libertà; la comune appartenenza alla NATO, presidio essenziale della libertà e della sicurezza europea; la comune responsabilità, come membri del G7, di assumere insieme politiche concertate per una globalizzazione regolata; l’impegno a ridefinire strategie per far fronte a nuove sfide: il terrorismo, la cybersecurity, gli armamenti spaziali, l’emergenza energetica, i conflitti commerciali.
Nonostante l’amministrazione Trump ricorra a barriere protezionistiche, guardi all’Unione Europeo come un concorrente più che come un alleato, manifesti disinteresse verso la NATO, gli Stati Uniti restano partner economico e politico essenziale.
Così come strategici sono i rapporti di collaborazione in campo scientifico, nella ricerca, nelle nuove frontiere della tecnologia.
Un mondo libero e giusto ha bisogno di un’America democratica, che rifugga dalla tentazione di esercitare una leadership solitaria per essere invece attore di politiche di cooperazione e di impegno multilaterale. E l’Italia vuole essere in ciò un sicuro e leale alleato.
Saldi e intensi sono i rapporti con il Canada, la cui multiculturalità consente intensi rapporti economici, culturali e politici, resi oggi più solidi dall’Accordo di Libero Scambio sottoscritto con l’Unione Europea, che offre nuove e maggiori opportunità di interscambio e maggiori tutele alle esportazioni e agli investimenti italiani nel Paese.
Questa nostra stabile ed insostituibile appartenenza non ci deve impedire una riflessione sui limiti dell’azione dell’Occidente nei confronti del mondo. E’ del ruolo dell’Occidente che vorrei parlarvi, c’è un tema di crisi dell’egemonia dell’Occidente di cui bisognerebbe parlare, pur nella saldezza della nostra appartenenza., poco più di un secolo fa l’Europa rappresentava il 25% della popolazione mondiale, oggi meno del 10. Verso il 7%. Verso il 2050 Europa Usa e Canada varranno il 12% della popolazione mondiale, l’Asia il 60%, l’Africa il 20%. La nostra età media si avvicina ai 44 anni, in Asia 30, in Africa 19. Nel 1980 la ricchezza del G7 era pari al alla metà della ricchezza con tutti paesi europei del 65%. Oggi vale la meta e la Cina è passata dal 2 al 20%.
Il rischio più grave che io vedo è che l’Occidente viva una vecchiaia ingenerosa e chiusa per cercare di riaffermare la propria potenza senza riuscirci. Così sarebbe se rinunciassimo ai nostri valori, il mondo occidentale deve fare i conti con le nuove forze in campo in una realtà nella quale non avremo piu un ruolo dominante rilancindo democrazia libertà diritti, dobbiamo essere noi a civilizzare la globalizzazione. Lavorando per una guida democratica del nuovo ordine mondiale.
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