Per Dario Parrini, presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, esperto del Pd in materia di legge elettorale, la soglia di sbarramento al 5% è “non discutibile»”. Lo dice in una intervista al Manifesto, aggiungendo che: “la discussione su come si distribuiscono i seggi tra i partiti l’abbiamo già fatta, è stata oggetto di un lungo negoziato durato mesi e il 5% è il punto di incontro migliore. Per il Pd è un elemento decisivo perché dà al sistema elettorale quella componente selettiva che permette di ridurre la frammentazione e rafforzare la stabilità di governo. La discussione con l’opposizione siamo pronti a farla, vedremo i loro emendamenti: non chiudiamo le porte ma per noi la soglia di sbarramento resta quella”.
E aggiunge: “Non credo nella indiscutibilità delle riforme costituzionali senza legge elettorale. C’è solo un collegamento indispensabile e immediato, l’articolo 138. Può rimanere com’è solo se scegliamo un sistema proporzionale. Viceversa, con un sistema maggioritario e il parlamento a numeri ridotti mettiamo in mano al vincitore la possibilità di cambiare la Costituzione da solo e senza referendum. In quel caso il quorum dell’articolo 138 va alzato”.
Sulla ‘freddezza’ del PD nei confronti della proposta dei 5 Stelle di tornare alle preferenze, Parrini afferma che le preferenze non devono essere ‘demonizzate’, visto che “le usiamo per eleggere consiglieri comunali e regionali e parlamentari europei. E non demonizzo nemmeno le liste bloccate corte stampate sulla scheda, quelle che abbiamo adesso con la legge Rosato non sono la stessa cosa che c’era con la legge Calderoli. Ma certo il tema di come far contare di più i cittadini nella selezione dei candidati e degli eletti non è eludibile. Serve però una discussione laica che parta dalla consapevolezza che le vie percorribili sono diverse e che nessuna è perfetta£.
“Per me, ma è solo un parere personale anche se è in sintonia con quello di Zingaretti – aggiunge Parrini – all’interno di un sistema proporzionale il modo migliore per massimizzare i benefici e minimizzare i rischi non sono le preferenze ma sistemi che danno risultati finali proporzionali pur essendo basati sui collegi uninominali”.
Come il sistema con il quale è stato eletto il senato dal 1948 al 1992, quando è arrivato il Mattarellum. Lì però i candidati nei collegi uninominali sono scelti comunque dai partiti e non dagli elettori. Perché i candidati nelle liste da votare con le preferenze chi li sceglie?
“Con questo modelli i candidati nell’uninominale si possono scegliere con le primarie, facendo attenzione però che sia garantita la rappresentanza di genere. Ma il fatto che il partito possa indicare il candidato migliore non lo vedrei come un difetto, il partito ci mette la faccia, si espone”.
Una seconda critica è che un sistema del genere non garantisce l’elezione del candidato vincitore nell’uninominale.
È un difetto che si può risolvere e che sarebbe del tutto marginale nel caso concreto dell’Italia oggi. Ma è sbagliata l’espressione «vincere il collegio» perché in questo sistema la gara, se così si può dire, non è tra candidati di diversi partiti per stabilire chi arriva primo nel collegio, ma tra candidati del medesimo partito per stabilire chi arriva più in alto come percentuale di partito nella circoscrizione. Come ha detto Zingaretti, diversamente che con le preferenze, sparisce la lotta tra i candidati dello stesso partito impegnati a contendersi i voti nello stesso territorio. Un effetto assai positivo”.