Pier Carlo Padoan è uomo impermeabile alla retorica, ma se gli si chiede se si stia avvicinando uno choc politico-finanziario, stavolta scandisce parole diverse dal solito: «È la domanda che mi fanno e si fanno tutti. Non si può immaginare un giorno “X” però il rischio è che ti svegli la mattina e il mondo in cui vivi, accelera. E ti trovi a sbattere ad alta velocità contro un muro. Speriamo non accada».
Dopo la probabilissima decisione della Commissione di avviare la procedura di debito eccessivo, esiste il rischio di uno choc?
«Viviamo in un mondo nel quale tutti procedono a tentoni. Tutti: il governo italiano, la Commissione europea ma anche i mercati, come dimostra il grafico sul comportamento dello spread. Un andamento a scalino in attesa del prossimo passo. Ma in una situazione del genere le probabilità che le cose scappino di mano sono più alte del solito. Se non c’è una strategia di lungo termine, la reazione alla mossa della controparte può essere di vario tipo».
Davanti alla tetragona resistenza italiana, come sarà calibrata la reazione della Commissione europea?
«A questo punto c’è da chiedersi, non tanto se la Commissione procederà con la procedura di infrazione, ma quali saranno le modalità. Perché una procedura di infrazione può essere diluita nel tempo e puo essere, o meno, accompagnata da sanzioni. E queste possono essere più o meno gravi. C’è una novità importante: se c’è una procedura, questa sarà sul debito. In questi anni, poiché l’Italia è stata sempre ben aldilà del famoso 60 per cento, la procedura di infrazione sul debito poteva essere aperta in qualunque istante. Solo che, d’accordo con la Commissione, di volta in volta si valutava se valessero i fattori rilevanti, come le riforme strutturali ma anche il fatto che il Paese rispettava gli obblighi comunitari per quanto riguarda il deficit».
Lei, da ministro dell’Economia, nel trattare con la Commissione ha sperimentato una sorta di know how, che in quattro anni ha prodotto ben 30 miliardi di flessibilità. Si può immaginare che il governo, se avesse provato a trattare, avrebbe potuto incassare un risultato?
«Primo: sin dall’inizio il governo italiano ha messo in chiaro che non voleva arrivare ad un risultato concordato, ma voleva forzare la mano. Secondo: il vero problema non era tanto il 2,4 per cento, ma semmai il sentiero che il governo avrebbe dovuto imboccare per l’aggiustamento strutturale. Ma questo obiettivo è stato tolto dal tavolo».
Anche le rivoluzioni possono avere un metodo: riesce a capire quale sia la ratio del governo?
«Io mi chiedo se al di là della voglia di mostrare i muscoli, il governo abbia mai avuto una strategia chiara, a meno che spero non sia così la strategia fosse chiara dall’inizio: quella dello sfascio. Con diverse varianti, compresa l’uscita dall’euro, un obiettivo richiamato da alcune dichiarazioni. E dunque scommettendo sul fatto che, dopo le elezioni europee, ci possa essere una Commissione europea diversa e perciò regole diverse».
Ma tutte le proiezioni escludono una maggioranza sovranista nel prossimo Europarlamento : l’avanguardia italiana rischia di restare sola?
«La scommessa del governo si basa su un’idea sbagliata: che un’Italia sovranista possa trovare alleati tra gli altri sovranisti in Europa. Gli alleati sovranisti perseguono il proprio interesse nazionale che in questo caso non è quello di aiutare l’indisciplina fiscale in Italia».
Ma se la situazione finanziaria dovesse precipitare, quali scenari politici, vede?
«Se ci fosse uno choc finanziario forte, in altre parole un Cigno nero fabbricato in casa e se il governo non ce la facesse, ci sono tre soluzioni, almeno in teoria: una nuova maggioranza, magari modello grossa coalizione; elezioni anticipate; un governo tecnico, che ripeterebbe il quadro del 2011. Con una importante differenza, purtroppo: nel 2011 c’era una crisi generalizzata della zona euro e c’era la volontà generale di evitare guai peggiori. Oggi l’Italia è isolata e quindi la benevolenza è più bassa di allora».