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Orlando: Politiche industriali assenti per motivi ideologici, serve un fondo europeo

“Il punto di fondo è che servono politiche industriali, che fin qui sono mancate, anche perché per motivi ideologici se ne negava la ragion d’essere. E serve una sempre maggiore integrazione a livello europeo su questo fronte, prospettiva da sempre contrastata dai sovranisti”. Lo dice il responsabile Forum politiche industriali del Pd Andrea Orlando, in un’intervista su La Stampa, mentre si trovava in Piemonte impegnato nel viaggio del Pd nei distretti industriali italiani.

In tutto il Paese, spiega Orlando, la costante è “la preoccupazione per l’impatto dei dazi e per il costo elevato dell’energia, poi le difficoltà nell’utilizzo delle risorse pubbliche e la mancanza di manodopera, a causa dell’emigrazione e della crisi demografica”.

Sulla missione della presidente del Consiglio a Washington, Orlando osserva: “Penso che Meloni farebbe bene a fare più viaggi a Bruxelles che a Washington, perché il nostro potere contrattuale sui dazi si costruisce lì”. Sulla questione dazi, “Condividiamo l’impostazione spagnola, cioe’ l’uso degli introiti degli eventuali controdazi europei per sostenere le filiere piu’ colpite. Poi i dazi vanno affrontati come uno stress test per la nostra struttura produttiva – osserva l’ex ministro dem – uno stimolo ad affrontarne i limiti, dal trasferimento di tecnologia alla dimensione delle imprese. Bisogna anche aiutare le aziende a differenziare le loro esportazioni verso nuovi mercati e, infine, non si può eludere la questione della domanda interna, che è debolissima ed è connessa al tema dei salari troppo bassi ed erosi dall’inflazione”.

Orlando parla anche della campagna referendaria: “Io penso che dobbiamo guardare a questi referendum per quello che sono oggi, non come una rivincita di un derby del passato dentro al Pd – afferma – La verità è che l’Italia non può competere a livello globale attraverso la svalutazione del lavoro, con il rischio di un colpo ulteriore alla domanda interna e un aumento dell’emigrazione. Questo referendum va letto come un segnale politico che possiamo dare tutti insieme per un’inversione di tendenza rispetto alle politiche improntate alla flessibilità, che risultano del tutto inapplicabili nello scenario di oggi”.

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